Questa mattina (2 di agosto) ho letto sul forum
di ComeDonChisciotte un articolo di Guido Viale, tratto da Il Manifesto
[http://ilmanifesto.info/], dal titolo suggestivo di Warfare vs.
Welfare. Di seguito il link:
Articolo
interessante, ben scritto, apparentemente di opposizione, ma ipocrita
nella sostanza come tutte le elaborazioni della sinistra postcomunista
che ha ingurgitato liberalismo in dosi massicce.
Indubbiamente, dare i soldi (e quote sempre più grandi del
prodotto) al capitale finanziario privato, come scrive Viale, significa
alimentare, oltre che le disparità sociali con la sistematica
distruzione del welfare, anche i numerosi conflitti armati dell’epoca,
di conquista e di dominazione. Le solite tiritere di una sinistra
trasformista, fagocitata da un neoliberalismo propagandistico e
cialtrone nei suoi apparati culturali e politici, si nascondono neppure
troppo bene nell’articolo di Viale. Una sinistra infame, serva del
neocapitalismo fino al midollo, adusa al doppio linguaggio, che cerca di
far passare tesi come la seguente: << Quella cultura e quelle politiche da ragionieri, gestite dalle istituzioni dell’Unione Europea di cui i Governi degli Stati membri, soprattutto nella zona euro,
sono meri esecutori, hanno aperto una voragine tra l’ideale
dell’Europa unita e la difesa, sempre più debole, delle condizioni di
vita della maggioranza dell’elettorato.>> (G. Viale, nel citato articolo)
Si vuole suggerire subdolamente,
turlupinando il popolo bue “mentecattizzato” riducibile in ogni momento a
elettorato, che un’altra Europa è possibile (lista Tsipras e affini),
che le politiche europoidi contro le popolazioni e le classi dominate si
possono correggere, che questa meravigliosa democrazia, ma soprattutto
le istituzioni europoidi possono essere mantenute in vita, preservate in
secula seculorum scongiurando il “pericoloso” ritorno alla sovranità
assoluta degli Stati. Basterebbe cambiare un po’ di cose, senza prendere
la Bastiglia con le armi, e naturalmente
aumentando le briciole di pil da gettare ai lavoratori, ai pensionati,
agli studenti, esattamente come il granone che si lancia ai piccioni
(destinati comunque allo spiedo).
La menzogna del riformismo “radicale”
(Toni Negri), e quella di un’altra Europa possibile (Alexis Tsipras e
Barbara Spinelli come promoters), continuano a imperversare contro ogni
evidenza e trovano i loro principali veicoli nell’infame sinistra
euroserva. In ciò, gli apostati del comunismo immemori della sostanza
della lotta di classe e del vero pensiero di Marx, non sono
diversi dalla palude collaborazionista piddina, dichiaratamente
liberista (“fiducia” nel mercato e totale sottomissione ideologica), che
aderisce in blocco al neoliberalismo. Nel caso di Rienzi, si millanta
la possibilità di utilizzare i (risicatissimi) margini di flessibilità
che sarebbero già previsti nei trattati europei. Un “miracolo”, questo,
(e che tale resterà, senza esiti concreti) da compiersi nel semestre
italiano di presidenza del consiglio europide. A livello interno, nel
frattempo, c’è stata la super-pubblicizzata elemosina elettorale degli
ottanta euro (il granone che si getta ai piccioni, destinati allo
spiedo). Nel caso della sinistra alla manifesto e simili (rifondazione,
fiom, parte di sel, qualche altro nanetto superstite) il miracoloso
rimedio da adottare sarebbe rivedere i trattati, riformarli, cambiarli:
<< … si moltiplicano i vertici sui decimi di punto di
sforamento del deficit da concedere ai governi di paesi ormai al
collasso per via di vincoli ben più sostanziosi imposti da debiti e
trattati insostenibili che non vengono messi in discussione (una
riedizione del dibattito sul sesso degli angeli che impegnava i governanti di Bisanzio mentre i Turchi la stavano espugnando) …>> (G. Viale, nel citato articolo)
E’ persino scontato che la “messa in
discussione dei trattati europei” è una chimera evocata per ragioni di
consenso (e di voto liberaldemocratico), essendo chiarissimo che
mantenendo questo impianto di potere sopranazionale europoide – a
partire dall’eurozona – non vi potrà mai essere un’inversione di
tendenza nei rapporti di forza fra il lavoro e i popoli, da una parte, e
il capitale finanziario dall’altra. Infatti, i trattati europidi sono
vincolanti e senza una vera flessibilità proprio per operare un
gigantesco e (come sperano gli euroglobalisti) irreversibile spostamento
di quote di pil dal lavoro al capitale finanziario, da imporre agli
stati nazionali firmatari. Se questa è la finalità neocapitalistica dei
trattati, non ci sono reali margini di flessibilità al loro interno né
può esistere la possibilità concreta di “riformarli”, cioè di “diluirli”
e “addolcirli” per far digerire la pillola ai lavoratori e al popolo.
L’impianto di potere europoide funziona benissimo così, per gli scopi
che persegue, e tutti coloro che lo subiscono possono solo combatterlo e
distruggerlo, non certo
“sfruttare spazi di flessibilità” nei suoi interstizi o “riformarlo
radicalmente”, partendo dai trattati, ma tenendolo comunque in piedi.
Queste cose le sanno sia
il “sinistro” giullare delle oligarchie del denaro, Matteo Renzi, sia i
sinistri “radicali” che millantano opposizione, ma rigorosamente
democratica, alle politiche eurounioniste per nascondere (a differenza
di Renzi) la loro sostanziale adesione alle logiche del capitalismo
finanziarizzato. Logiche che prevedono, fra l’altro, l’affermazione di
centri di potere sopranazionali, la distruzione della sovranità degli
stati, e su altri versanti il “politicamente corretto”, le “battaglie”
per i diritti umani-civili e delle minoranze (ipocrisia tipicamente
liberale e libertaria per “distrarre” e idiotizzare le popolazioni).
A parte la riproposizione di temi tanto
cari alla cosiddetta sinistra radicale e al manifesto, ricordati di
sfuggita in precedenza, l’articolo di Guido Viale lancia come un monito
l’allarme della guerra che avanza,
ai confini dell’Europa (e già dentro l’Europa, se consideriamo il caso
ucraino), prevedendo conseguenze severe anche per noi: <<Le conseguenze non tarderanno a farsi sentire. Perché quei paesi in fiamme hanno molto peso
nell’approvvigionamento energetico dell’Europa, e la potrebbero
portare al collasso. Perché tutto il continente verrà investito
sempre più da flussi di profughi di dimensioni bibliche: oggi si
trova insostenibile l’arrivo di qualche decina di migliaia di
derelitti, che pagano la loro fuga con un pesantissimo tributo di
morte, senza rendersi conto che i profughi prodotti dalle guerre che
ormai circondano l’Europa sono milioni…>>
E’ ovviamente vero che i conflitti
intorno all’Europa (e dentro i suoi confini) si ripercuoteranno
sull’intero continente con riflessi negativi, e financo drammatici, ma
nell’articolo Vitale non individua con chiarezza i responsabili di un
tale disastro, e cioè la sua sorgente neocapitalistica che determina la
stessa ”architettura” unionista europoide, limitandosi a stigmatizzare
genericamente l’<<espansionismo della Nato (cioè degli Stati Uniti, verso cui l’Unione Europea mostra sempre più la propria sudditanza) …>>.
Con il chiaro intento di non mettere in discussione fin dalle
fondamenta l’unionismo nuovo-capitalistico, voluto dalla grande finanza
che alimenta il warfare in corso, per continuare a sbandierare in salsa
radical-riformista, come fa la sinistra ipocritamente, l’”ideale
europeo” sopranazionale.
Se la guerra, quella combattuta con le
armi, si avvicina a noi, se lo stato di guerra rischia di diventare
permanente, allora ci vuole (viva dio!) una revisione culturale e
soprattutto dei concetti di democrazia e lavoro, per raggiungere la
(mitica, irrealizzabile, ma oggetto di culto peloso per la sinistra)
“democrazia integrale”, da estendere, si presume, a tutto il vecchio
continente unionista e poi a tutto lo spazio globale. Siamo sempre alla
bufala di un’altra Europa possibile, mantenendo in vita gli organismi
sopranazionali e l’euro. Scrive infatti G. Vitale: <<È solo
facendosi protagonista di una lotta politica e culturale per
queste forme di democrazia integrale che l’Europa, cioè i suoi
popoli, possono offrire al resto del mondo, e innanzitutto a chi
abita ai suoi confini, una prospettiva di pace e di solidarietà che
ne faccia un modello. E che prospetti una strada per sottrarsi a
quello stato di guerra permanente …>>
Peccato che la “democrazia integrale” non
sia che un espediente propagandistico, neppure troppo definito, per non
dover mettere in discussione, dalle fondamenta, l’unionismo europide, e
di conseguenza i processi neocapitalistici che l’hanno generato e
tenuto a battesimo. Come un animale mitologico e immaginario, la chimera
della <<democrazia integrale>> (da estendere agli
spazi globali dopo aver fatto fuori stati e nazioni sovrane) non esiste
in natura. Esiste invece lo sfruttamento integrale del lavoro, difficile
ormai da nascondere, come sanno anche i sinistri “radicali”. Al punto
che Viale scrive: << Ma democrazia e lavoro si intrecciano
inestricabilmente. Non il lavoro nelle forme coatte in cui esso si
esercita oggi in tutto il mondo; cioè emarginando e deprimendo
salute, vita, desideri, capacità e creatività di chi lo svolge …>>
La verità è che oggi il capitalismo
finanziarizzato, espressione dei soli interessi privati della classe
globale dominante, è all’attacco contro tutti combattendo fino in fondo
la sua guerra, senza scrupolo alcuno e senza alcun residuo di umanità.
Combatte contro di noi da posizioni di forza (economica e politica),
deprimendo i redditi popolari, facendo evaporare il lavoro e
distruggendo il sociale. Combatte contro le popolazioni africane e
asiatiche e i loro governi, fomentando conflitti distruttivi, di
sterminio di massa, che frantumano gli stati fino al loro “fallimento”,
anziché unirli nel cosiddetto spazio globale.
L’esempio che da e che darà l’Europa,
prigioniera dell’unione, è quello di un’entità neocapitalistica che si
allinea e supporta senza fiatare queste strategie, nonostante le
baggianate propagandistiche che ci propina la sinistra euroserva.
Perciò, il primo passo per una futura liberazione (oggi più che mai in
forse) è quello di distruggere la sinistra euroserva e neoliberista, in
tutte le sue molteplici e ingannevoli sfaccettature, in Italia come nel
resto d’Europa.
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