di Saverio Lodato
Rivedo a ritroso i miei ultimi trent’anni, trascorsi a rac- contare per «l’Unità» quello che accadeva in Sicilia. Quante volte, dietro i grandi fatti di cronaca che succedevano, ho avvertito la presenza oscura di una mano forte che tirava le redini. Quante volte ho avuto la sensazione che la parolina «mafia», tanto usata e abusata, non potesse essere, da sola, la combinazione esatta per scardinare il forziere dei segreti e dei misteri. Quante volte le campagne dei veleni che infe- stavano Palermo e la Sicilia mi davano la sensazione di rimandare ad altro, alludere ad altro, sottintendere altre spaventose verità.
E se fosse stato vero che il «mostro criminale» era cresciuto da solo, all’insaputa del Potere, come spiegare che la lotta alla mafia, anche nell’ultimo trentennio, è stata un’i- ninterrotta via crucis di polemiche e alti tradimenti, cla- morose omissioni e perniciosi ritardi, grandi cavalcate in territorio nemico e brusche frenate, improvvise ritirate, mentre la mafia, di contro, si caratterizzava, e si caratteriz- za ancora, per la sua longevità quasi unica nell’intero mondo dei poteri criminali?
Il risultato è che all’opinione pubblica è stata scippata la possibilità di capire, sottratto il diritto alla verità, negato un fondamentale principio di democrazia. E si avvertiva costantemente la presenza di un limite. Una sottile linea di confine – non indicata dalle mappe ufficiali – che non andava in alcun modo superata.
Noi non sappiamo se il libro che il lettore ora ha tra le mani è riuscito a rispondere agli interrogativi che ci siamo posti.
Sappiamo però che, nelle pagine che seguono, quella sottile linea di confine è stata abbondantemente superata.
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