Privatizzazioni. L’Italia si è venduta tutto
ROMA - C’è un
fenomeno che da molti anni ormai, a fasi alterne, finisce sulle prime
pagine dei giornali, ma, non si sa perché, non viene mai visto nel suo
insieme, ma solo a spezzoni, come le puntate di un serial tv.
È il fenomeno delle
privatizzazioni. La stagione delle privatizzazioni iniziò negli anni
Novanta, ai tempi di Amato (uno dei possibili candidati alle prossime
presidenziali, lo stesso che propose la patrimoniale per “salvare
l’Italia”). Chi non ricorda il “caso” Telecom Italia, ex Stet, azienda
ricca di assets, agli albori di una liberalizzazione delle
telecomunicazioni che avrebbe segnato un cambiamento degli equilibri del
mercato: in pochissimi anni passò da una situazione di prosperità ad
un indebitamento che portò alla necessità di svenderne le quote. Un vero
affare, ma non per gli italiani.
E chi non ricorda le
polemiche a proposito della svendita di Alitalia. Erano gli anni del
governo Berlusconi, anche lui di fronte alla necessità, almeno così
disse, di svendere “fette” d’Italia. Tra queste, la compagnia di
bandiera nazionale. Polemiche, interessi privati e situazioni
ingarbugliate. Alla fine, Alitalia fu divisa in due parti: una (la CAI),
la parte “buona” dell’azienda, fu messa all’asta e svenduta agli arabi
(che hanno subito provveduto a licenziare parte del personale e a
trasferirne molti altri nel proprio Paese, dove i sindacati sono ben
diversi rispetto a quelli italiani); l’altra (la LAI) ha fatto il suo
ultimo volo nel 2009.
Poi fu la volta di Monti, che
promise di salvare l’Italia grazie alle sue abilità “tecniche”. Abilità
che non impedirono al deficit di continuare a crescere anche dopo che
erano stati messi in vendita alcuni “gioielli di famiglia”. “Non solo
non escludiamo la cessione di quote dell'attivo del settore pubblico, ma
la stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, disse
Monti rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa seguita
alla consegna del premio Responsible leadership award. Entrate che
avrebbero dovuto portare nelle casse degli italiani da cinque a otto
miliardi di Euro, stando alle previsioni (ma l'area potenziale di
intervento, riferì il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero
Giarda, poteva arrivare a 100 miliardi complessivi). Per questa
decisione l’allora premier Monti ricevette addirittura le lodi dal
ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, che lo definì «l'uomo
giusto al posto giusto» e pronosticò il ritorno alla crescita per
l'Italia. Ovviamente i beni nazionali furono svenduti, l’economia del
Bel Paese non fu risanata e l’unica cosa che tornò a crescere fu il
debito pubblico.
Quindi fu il turno di Letta.
Con il motto “Fare cassa per ridurre il debito pubblico”, Letta decise
di mettere in vendita un cospicuo pacchetto di beni pubblici, anzi un
“grande pacchetto di dismissioni e incentivazioni per l’attrazione degli
investimenti” come fu definito nel piano “Destinazione Italia”. Il
progetto prevedeva entrate per oltre 40 miliardi di Euro, provenienti
dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali e
altri miliardi dalla vendita di beni patrimoniali e ditti dello Stato
“disponibili” e “non strategici”. Sulla questione dismissioni interviene
Francesco Boccia (Pd): “50 miliardi di Euro sarebbero già una bella
botta al debito pubblico” disse in un’intervista a Skytg24.
Che fine abbiano fatto tutte
queste decine di miliardi di Euro non si sa, di certo però il debito
dello Stato, anche durante il governo Letta, ha continuato a crescere (e
il patrimonio nazionale a diminuire).
Ora è il momento di Renzi,
che non avendo più beni “non strategici”, nei giorni scorsi ha
annunciato la decisione del governo (ma simili decisioni non dovrebbe
prenderle il Parlamento?) di svendere tutto quello che restava
dell’Italia. Obiettivo dichiarato: portare nelle “casse del governo” (ma
le casse italiane non sono dello “Stato”?) circa 10 miliardi di Euro,
entro il 2015. Intanto, si è pensato a rinominare il prossimo anno:
l'”anno delle privatizzazioni” (e fino ad ora cosa hanno fatto i capi di
governo che si sono succeduti?). Senza contare che le quote azionarie
che Renzi intende mettere in vendita appartengono ad aziende che
dovrebbero essere considerate strategiche: Poste, Enav, Ferrovie, ENI e
molte altre.
Non importa. In pratica,
tutto quello che può essere privatizzato, verrà messo in vendita al
miglior offerente. E forse anche qualcosa di quello che non dovrebbe
essere privatizzato, come l’acqua. C’è stato, addirittura, chi ha
proposto di svendere il Colosseo.
Il 2015 sarà l'anno delle
privatizzazioni. A ribadirlo è stato il Ministro dell'Economia, Pier
Carlo Padoan, che ha aggiunto: “Nel 2014 il mercato non ci è stato
favorevole, tuttavia abbiamo portato in Borsa Fincantieri e RaiWay,
quest'ultima ci ha dato grande soddisfazione. Per il 2015 abbiamo in
cantiere Poste, Enav e probabilmente Fs. Prima però collocheremo
un'altra quota di Enel”.
Soddisfazione? In questo
momento lo Stato sta facendo quello che molte famiglie italiane sono
state costrette a fare a causa della crisi che va vanti da molti, troppi
anni: vendere i gioielli di famiglia nei vari “compro oro” spuntati
come funghi in tutte le città italiane. Solo che quando escono da uno
di questi negozi nessuno di loro prova”soddisfazione”. A finire sul
mercato (e nelle tasche di qualche grosso gruppo finanziario) saranno il
40 per cento di Poste, il 49 di Enav, il 40 di Ferrovie dello Stato e
molto altro ancora, come RaiWay, STM e addirittura Cdp Reti, società
controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, (il 35% è già passato in
mano ai cinesi). Sarebbe naturale aspettarsi che, dopo avere svenduto
praticamente tutto ciò che poteva essere commercializzato almeno sia
stata risanata la situazione economica del Bel Paese. Niente affatto.
Con la massima semplicità è stato lo stesso ministro Padoan a dirlo: “Il
debito, crescerà ancora, probabilmente per buona parte del 2015”.
L’unica cosa a non essere
stata messa in vendita è l’orgoglio italiano. Ma dato che, ormai anche
di questo pare ne sia rimasto ben poco, probabilmente non basterà a
pagare i debiti conseguenza delle scelte politiche degli ultimi governi.
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