L’ideologia del gender arriverà
nelle classi italiane e il ministero sta a guardare. «È inaccettabile»
dicembre 9, 2014
Francesco Amicone
Così i movimenti Lgbt tornano
all’attacco delle scuole italiane con il loro cocktail educativo sul
sesso senza differenze. Il ministero non alza un dito, ma alcune
associazioni non ci stanno

Si tratti di discriminazioni o di sessualità, l’agenda politica
delle associazioni Lgbt pare destinata ad assurgere al rango di materia
scolastica. Anche in Italia il cocktail educativo a base di
“orientamenti sessuali” e “studi di genere” esce dalla nicchia e diventa
prodotto sempre più diffuso nelle scuole, somministrato a infanti e
adolescenti con un’altra etichetta e, spesso, all’insaputa delle
famiglie. La novità degli ultimi mesi è che la
pedagogia Lgbt, finora lasciata in balia delle scelte dei singoli istituti e dell’
Unar, ufficio antidiscriminazioni razziali, sta ottenendo perfino la benedizione del ministero dell’Istruzione.
L’ultimo caso a far discutere è stato un
corso di formazione, organizzato settimana scorsa, «per la prevenzione e
il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e
sull’identità di genere», destinato agli alti dirigenti scolastici e
promosso dallo stesso ministero dell’Istruzione insieme all’Unar. Nel
convegno di due giorni si è parlato di bullismo, stereotipi, popolazione
omosessuale in Italia, e di «buone pratiche» delle associazioni Lgbt
nelle scuole italiane. Il seminario ha suscitato le proteste del mondo
cattolico, dei parlamentari di Nuovo centrodestra e del Forum delle
associazioni familiari, che in un comunicato ha denunciato come nel
convegno «sono stati coinvolti i partner della Rete RE.A.DY, le
associazioni del Gruppo nazionale di lavoro istituito dall’Unar e
nessun’altro». Il Forum ha osservato che «nessun esponente
dell’associazionismo di matrice non omosessuale è stato convocato,
nessun rappresentante delle famiglie o delle associazioni accreditate
presso il Miur ha potuto dare il suo contributo».
Anche il sottosegretario all’Istruzione,
Gabriele Toccafondi, si è dissociato dall’iniziativa, ricordando che, al
di là delle discriminazioni e della violenza, «sul tema dell’educazione
alla sessualità il compito primario spetta alla famiglia, e non può
essere nessun altro istituto educativo, neppure la scuola, a imporre una
sua visione. Tutto ciò che viene sottoposto agli studenti deve essere
deciso attraverso la collaborazione dei genitori. Stiamo difendendo
questo diritto/dovere delle donne e degli uomini italiani senza nessuna
difesa partigiana».
Il convegno cade a nemmeno un anno di
distanza da quando il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, aveva
promesso di includere nel tavolo di lavoro sulle iniziative anti
discriminatorie le associazioni dei genitori. Questo la scorsa
primavera, poco dopo il ritiro di alcuni opuscoli sulla tematica Lgbt
prodotti da Unar e distribuiti a insaputa del Miur in alcune scuole. In
seguito allo stop deciso dal ministero, Giannini aveva promesso di
tenere informate sulla questione le associazioni dei genitori e di
«agire in modo laico, non ideologico, rispettando tutte le sensibilità
presenti, in un confronto il più ampio possibile, aprendo un tavolo con
tutte le parti interessate, comprese le associazioni dei genitori e
quelle degli studenti».
L’idea di «realizzare una larga
condivisione su contenuti e strategie di comunicazione» riguardo a
questi temi era stata ribadita dal ministro a maggio che comunque, in un
comunicato stampa, aveva specificato che «il contrasto alle
discriminazioni, di cui l’omofobia è uno degli aspetti non secondari, si
fa anche e soprattutto a scuola. È fra i banchi – aveva dichiarato –
che deve partire l’educazione all’alterità attraverso percorsi didattici
e progetti condivisi da insegnanti, famiglie, studenti».
Altro che condivisione dei progetti
I progetti, però, non sembrano finora godere di una grande
condivisione, e vengono proposti in sordina, fin da quando fu proposta
la prima strategia nazionale sui temi Lgbt, nel febbraio del 2012, in
seguito a circolare interna dell’allora ministro del Welfare, Elsa
Fornero, che aveva aderito a un progetto del Consiglio d’Europa
denominato “Combattere le discriminazioni basate su orientamento
sessuale e identità di genere”. La strategia è stata affidata per
decreto a 29 associazioni, tutte rigorosamente Lgbt.
La prassi di promuovere per via
amministrativa, in silenzio, l’agenda Lgbt, pare anche un connotato del
Miur. Ciò è stato confermato da una circolare di inizio novembre,
dedicata alla “Settimana contro la violenza e la discriminazione” (in
corso in questi giorni), nella quale il ministero dell’Istruzione,
invitando le scuole a «promuovere la cultura del rispetto e
dell’inclusione», sponsorizza «azioni mirate», in particolare, anche per
la lotta alle discriminazioni «sulla base dell’orientamento sessuale e
dell’identità di genere». Il Miur sollecita gli istituti scolastici a
proporre «opportuni e significativi percorsi di sensibilizzazione, di
informazione, di prevenzione e di contrasto», con «adeguati percorsi
formativi». In concreto, le scuole devono «mettere a tema, almeno per
una settimana nel corso dell’anno scolastico, le iniziative, prevedendo
anche percorsi formativi stabili».
La circolare ha spinto alla protesta le
associazioni familiari cattoliche, secondo cui la discriminazione è solo
un pretesto per portare nelle scuole il tema “gender”, tesi suffragata
dalle linee guida prodotte dal Miur e dall’Unar per gli anni 2013-2014,
contenute nell’opuscolo Tante diversità, uguali diritti, dalle quali
emerge più attenzione alle tematiche sessuali che a quelle
discriminatorie. Nel libretto si spiega, fra l’altro, che l’orientamento
sessuale «definisce il gruppo di persone in cui è possibile trovare le
relazioni romantiche soddisfacenti e appaganti», che «la scuola è il
luogo della scoperta del proprio orientamento e della conseguente
identità» e che «la consultazione delle associazioni Lgbt è determinante
per agire nelle scuole».
La strategia per la “lotta alle
discriminazioni” sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità
di genere, per il biennio 2014-2015, è ancora più ambiziosa, ed è stata
già oggetto di un’interpellanza parlamentare
del Nuovo centrodestra. Per capire che, anche in questo caso, il tema
della discriminazione è secondario, basta leggere i primi tre punti
della strategia in materia di educazione scolastica. Stando alle linee
guida, la formazione sui temi Lgbt, rivolta a studenti, insegnanti e
personale scolastico (compresi i bidelli), dovrà riguardare, prima di
tutto «lo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente, l’educazione
affettivo-sessuale» e la «conoscenza delle nuove realtà familiari».
Non solo si prevede l’accreditamento
delle associazioni Lgbt presso il Miur, in qualità di «enti di
formazione», ma «la valorizzazione dell’expertise delle associazioni
Lgbt in merito alla formazione e sensibilizzazione dei docenti, degli
studenti e delle famiglie. Si propone l’integrazione delle materie
“antidiscriminatorie” nei curricula scolastici «con un particolare focus
sui temi Lgbt», la «predisposizione della modulistica scolastica
amministrativa e didattica in chiave di inclusione sociale, rispettosa
delle nuove realtà familiari, costituite anche da genitori omosessuali»,
e infine l’«arricchimento delle offerte di formazione con la
predisposizione di bibliografie sulle tematiche Lgbt e sulle nuove
realtà familiari, di laboratori di lettura e di un glossario dei termini
Lgbt che consenta un uso appropriato del linguaggio».
La protesta delle famiglie
Secondo gli interpellanti di Ncd «è intollerabile un indottrinamento
degli alunni sin dalla scuola primaria alla teoria del gender, tramite
un organismo come l’Unar che non garantisce le condizioni di
imparzialità previste dalla legge, con pesanti giudizi negativi sulla
religione cattolica, la famiglia e la società e inaccettabili offese
contro questi istituti fondamentali nella storia e nella cultura del
nostro paese». Per il Forum delle associazioni familiari è
«inaccettabile che i genitori debbano avere paura che i loro figli siano
indottrinati da un’ideologia nociva per il loro sviluppo senza che il
ministro alzi un dito». Fra i gruppi che si battono contro
l’introduzione del tema “gender” a scuola c’è anche l’associazione
“Nonni 2.0”, che ha chiesto al ministro Giannini la «compresenza delle
associazioni dei genitori nei processi educativi che verranno posti in
essere dal ministero».
Una associazione di genitori, “Comitato articolo 26”,
invece, dopo aver constatato che «l’azione torna a essere ministeriale»,
ha adottato una soluzione più drastica, consigliando ai genitori di
sottoscrivere un modulo per il consenso informato da inviare ai presidi
delle scuole dei propri figli. Citando l’articolo 30 della Costituzione e
il 26 comma 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sul
diritto-dovere di educazione, i genitori chiedono di ottenere dalla
scuola «la notifica della programmazione di ogni lezione, progetto,
attività didattica che si tiene dentro e fuori l’istituto, riguardante
questioni fisiche e morali connesse con la sfera affettiva e sessuale»,
comprese quelle a tematiche Lgbt. Senza notifica o senza consenso, i
figli dovrebbero poter essere esonerati dalle lezioni.
Nessun commento:
Posta un commento