1. La statistica ci insegna che
non c’è una perfetta “unidirezionalità”, in quanto esistono sempre
probabilità che un evento si verifichi e, nello stesso tempo,
probabilità contrarie al suo verificarsi. Accanto a una strada, molto
praticata, ce ne può essere un’altra, con opposta direzione, che
probabilmente non imboccheremo. A volte, le probabilità che un evento
negativo si verifichi sono elevatissime, tali da rendere insignificanti
le probabilità contrarie. E’ questo il caso italiano o, più esattamente,
della probabilità che ha l’Italia di salvarsi e di uscire da una crisi
interminabile, che potrebbe “terminare” il paese.
Di seguito, vedremo perché l’Italia ha
bassissime probabilità di uscire dal tunnel della crisi, con
l’aggravante che non c’è più il tempo per invertire la direzione di
marcia e tutti gli indicatori volgono inesorabilmente al brutto.
E’ bene definire, in primo luogo, quali sono questi indicatori:
a) Indicatori economici e finanziari.
b) Indicatori, o meglio, aspetti sociali e politici.
c) Situazione internazionale e possibile evoluzione geopolitica, nel breve, della stessa.
Se si concentra l’attenzione
esclusivamente su parametri, pur importanti, di natura economica,
finanziaria, monetaria e patrimoniale si limita il campo visuale e non
si riesce a cogliere tutta la gravità della crisi “terminale” che sta
attraversando il paese. Un mix estremamente sfavorevole, per l’Italia,
di indicatori economici, di aspetti di natura non economica e di eventi
internazionali affonderà con buone probabilità la penisola, senza che si
debba attendere troppo a lungo. La caduta definitiva si verificherà
nell’arco di un biennio da oggi (volendo essere prudenti), ben prima
delle elezioni politiche previste nella prima metà del 2018, se mai si
faranno veramente.
2. Per quanto riguarda il punto
a), faccio riferimento a due editoriali, che non lasciano speranza,
comparsi sul numero di settembre-ottobre della rivista online Italicum,
dedicato alla Quarta guerra mondiale (e alla memoria di Costanzo Preve).
I due editoriali sono
Quanto durerà la “gabbia d’acciaio” europea? di Luigi Tedeschi e
Dove portano queste riforme di Marco della Luna, ai quali rinvio per gli aspetti economici, raccomandandone caldamente la lettura integrale.
Il link alla rivista online del Centro culturale Italicum di Luigi Tedeschi è il seguente:
https://centroitalicum.wordpress.com/2014/11/06/la-quarte-guerra-mondiale/
Per Luigi Tedeschi, che affronta il tema
della totale subalternità italiana alle politiche economiche europidi
(da Monti a Renzi, quantomeno, facendo perno sul pd), gli ingredienti
del disastro italiano corrispondono ad altrettanti capitoli del suo
editoriale: Immobilismo europeo e dominio tedesco, L’Europa dei rimedi
impossibili, L’insostenibilità del debito pubblico italiano. A tale
riguardo, Luigi Tedeschi ci ricorda quanto segue: “Renzi, al di là
delle declamazioni parolaie verso la Commissione Europea, si è rivelato
un puntuale esecutore delle direttive europee in tema di osservanza dei
parametri europei di stabilità e riforme strutturali del lavoro. Renzi
infatti, ha ottenuto una minima soglia di flessibilità del parametro
deficit / Pil, ma qualora i parametri non dovessero essere rispettati,
la UE imporrà nuove ulteriori manovre fiscali per l’Italia suicide, pur
di drenare le risorse necessarie, quali l’aumento programmato dell’IVA,
che nella fase di deflazione attuale avrebbe effetti devastanti. La UE
pretende inflessibilmente il rispetto dei parametri, a prescindere dalle
conseguenze distruttive sulle economie degli stati membri.”
Tedeschi ha ragione da vendere. Sappiamo
che gli organismi sopranazionali europidi di controllo hanno approvato
“con riserva” la cosiddetta legge di stabilità dell’esecutivo
piddino-renziano. Il gioco è chiaro, addirittura scoperto, perché tali
organismi si riservano un giudizio finale e insindacabile, sulla
finanziaria renziana, all’inizio del prossimo anno, dopo la fine del
semestre europeo di presidenza italiana. Un semestre che non ha portato
(e non porterà nel mesetto che resta) alcun cambiamento di rilievo nel
rigore asfissiante impostoci. Hanno deciso semplicemente di rinviare di
qualche mese il loro giudizio negativo.
Osservanza assoluta dei diktat europidi e
menzogna conclamata, rivolta alla popolazione da gabbare,
caratterizzano la squallida figura del collaborazionista euroservo e
filo-atlantista Matteo Renzi, nonché la politica di tutto il pd.
L’obiettivo finale delle signorie finanziarie, bancarie e assicurative,
alle quali obbediscono Renzi e il suo partito, è di ristrutturare con
violenza l’economia italiana e il sistema produttivo nazionale,
riposizionando il paese in basso, molto in basso (fino all’irrilevanza
completa) nella cosiddetta economia globale. Immaginiamo quanti
disoccupati e veri poveri ci saranno, fra un annetto, nella penisola che
fu, un tempo, moderatamente benestante. Persino un buffone mediatico e
un sindacalista giallo come Maurizio Landini, aduso a prostrarsi davanti
alla democrazia (ovviamente) liberale e al politicamente corretto, se
n’è accorto, e si è lasciato scappare che gli onesti (gli uomini retti, i
difensori di un principio di giustizia distributiva e dei diritti reali
dei lavoratori) non stanno dalla parte di Renzi, pur ritrattando un
attimo dopo.
Secondo Marco Della Luna, le linee di
riforme “indispensabili per la crescita” (come la intendono le élite
neocapitaliste e il sopranazionale ue) sono due, pericolosamente
convergenti. Una linea istituzionale-strutturale che riguarda la
“cessione” dell’autonomia dei vecchi stati nazionali, come quello
italiano e il dominio, che si sviluppa in parallelo, degli organismi
sopranazionali. La politica monetaria, in tali contesti, è sottratta al
controllo dei governi nazionali e le banche centrali devono, di fatto,
essere “indipendenti”, cioè sottratte al controllo governativo. Ne
consegue che la decisione politico-strategica e la definizione degli
obiettivi perseguiti competono esclusivamente al sopranazionale,
controllato dalle aristocrazie del denaro senza “fastidiose” intrusioni
popolari. Ciò riguarda intimamente la vera natura del sogno europeo,
pubblicizzato proditoriamente dai lacchè di sinistra del grande capitale
finanziario, partendo da Renzi fino ad arrivare all’attore Roberto
Benigni.
C’è una seconda linea di riforme,
ricalcate guarda caso da quelle renziane, che riguarda il modello
capitalistico adottato, l’economia e la finanza. “La seconda linea di
riforme, iniziata alla fine degli anni ’70, è quella
economico-finanziaria e punta essenzialmente a difendere e tutelare gli
interessi dei creditori finanziari con sacrificio degli altri interessi
sociali: il modello di sviluppo keynesiano, caratterizzato dallo Stato
che corregge il mercato e fa investimenti anticiclici per evitare la
recessione e assicurare l’occupazione, al prezzo di una costante,
fisiologica inflazione, viene sostituito con un modello da alcuni
ritenuto hayekiano, ma che tale non è perché F. Von Hayek voleva non
solo il libero mercato come unico regolatore dell’economia, ma anche uno
stato che tenga il mercato libero dai monopoli e che si astenga
dall’assistenzialismo sociale e imprenditoriale. Il modello
economico-finanziario imposto all’UE fa per contro tutto questo, anzi in
esso i grandi monopoli bancario-finanziari dettano la politica degli
Stati e dell’Unione. Il detto modello raggiunge lo scopo della tutela
degli interessi dei creditori finanziari mediante alcuni principali
strumenti: indipendenza irresponsabilità delle banche centrali dai
parlamenti, vincoli di bilancio pubblico (proibizione della spesa
pubblica antirecessiva), stretta monetaria, compressione salariale (e
della domanda interna) per assicurare un pareggio o un surplus della
bilancia estera, socializzazione delle perdite delle banche.”
Non resta molto da aggiungere alle parole
di Marco Della Luna, tranne una necessaria puntualizzazione: le
(contro)riforme di Renzi e le sue “leggi di stabilità” si muovono
ineluttabilmente su questa linea, che fu la linea distruttiva di Monti,
anche se le giustificazioni pubbliche e propagandistiche nascondono i
veri obiettivi. Ad esempio, con la finanziaria si millanta un calo delle
tasse di 18 miliardi che non ci sarà (pronti per l’anno horribilis
2015?) e lo jobsact “a tutele crescenti” pensato contro i lavoratori,
fonte di libertà di licenziamento, precariato ad libitum e distruzione
dei diritti (art. 18, svuotamento dello Statuto dei Lavoratori),
dovrebbe servire per estendere le tutele a chi non le ha.
Per tutto quanto precede ringrazio
Tedeschi e Della Luna. In breve, gli indicatori economico-finanziari non
potranno che continuare a volgere al brutto anche nei prossimi mesi –
più chiusure aziendali, più disoccupazione, sprofondo dei consumi
interni e contrazione dell’economia, debito pubblico alle stelle,
ennesima stretta creditizia e via elencando – mentre le possibilità di
un’improvvisa inversione di rotta nelle politiche economico-finanziarie,
a livello unionista e a livello nazionale, continueranno a essere
irrilevanti. Dopo sette anni di vacche magre arriveranno puntualmente
quelle scheletriche, prossime alla morte.
2. Gli aspetti
sociali e politici, di cui al punto b), sono ovviamente legati a quelli
economico-finanziari, ma subiscono l’influenza decisiva della dimensione
storico-culturale in cui ci si muove, e così avviene anche nel caso
italiano. Anche gli indicatori sociali, come quelli economici, da alcuni
anni a questa parte volgono al brutto e al peggio, se si pensa ai molti
milioni di italiani sotto la soglia di povertà (almeno dieci milioni in
povertà assoluta, con circa quattro milioni di minori) e al fatto che
da qualche mese, nel meridione, le morti hanno superato le nascite com’è
accaduto in Grecia (redditi insufficienti, cibo spazzatura,
inquinamento, malasanità, elevato costo dei medicinali e delle cure,
contrazione della spesa sociale, natalità in picchiata, abbandono del
territorio da parte dei giovani, eccetera). I soli disoccupati
ufficiali, censiti dall’Istat, nel mese di ottobre erano oltre 3,4
milioni a livello nazionale, senza contare l’esercito di inoccupati che
“sfugge” alle rilevazioni statistiche (altri tre milioni di unità?). Non
serve ricordare la situazione critica in cui versa la maggioranza dei
pensionati, sotto i mille euro mensili (e senza la regalia degli ottanta
di Renzi), o i dipendenti pubblici a più basso reddito, con aumenti
retributivi bloccati anche per tutto l’anno venturo.
Nella violenta e accelerata
trasformazione dell’ordine sociale imposta dagli onnipotenti
mercati&investitori ed eseguita dal pd di governo, pesa la fiscalità
(volutamente) eccessiva, che prevediamo in crescita anche nel 2015
grazie soprattutto alle tasse locali. La fiscalità di rapina colpisce le
vecchie “classi subalterne” e di conseguenza parte rilevante del ceto
medio produttivo, soprattutto se di fascia bassa, che subisce un vero e
proprio processo di plebeizzazione. Si tende, attraverso l’azione dei
collaborazionisti di governo (in prima linea il pd e la sinistra), a
creare una vasta neoplebe precaria relativamente facile da gestire.
Operai, cassaintegrati, sotto-occupati e disoccupati, impiegati con la
retribuzione bloccata, pensionati al minimo, artigiani vessati
dall’agenzia delle entrate/equitalia, imprenditori falliti o prossimi
alla chiusura ne fanno parte a pieno titolo. Sopportano in silenzio
tutto il peso della schiavitù per debiti imposta allo stato italiano
(valendosi dell’azione di basisiti politico-istituzionali come
Napolitano) e qualche volta si suicidano, senza riuscire a mettere in
discussione il sistema che li opprime. I trattati-capestro europei hanno
agito contro di loro e contro la popolazione italiana in generale, che
ne sconta gli effetti sulla propria pelle. Se Standard & Poor’s
taglia il rating sul debito sovrano(!) dell’Italia a BBB-, appena un
gradino sopra di quella che considerano spazzatura, chi ci rimetterà di
più, chi sconterà gli effetti del “declassamento” del paese, sarà la
neoplebe, sempre più numerosa nell’ordine sociale neocapitalistico che
si prefigura.
Eppure, in questa situazione che annuncia
il collasso, non c’è traccia di un’estesa, sacrosanta e sanguigna
reazione popolare. Soltanto innocui grillini, felicemente approdati in
parlamento, qualcuno che lancia le uova contro le automobili di ministri
o prefetti e qualche sporadica scaramuccia, nelle città, fra polizia e
centri sociali. Per il resto, tutto sembra tacere e il silenzio diventa
assordante.
E’ evidente che la passività sociale,
apparentemente sconcertante, manifestata dal popolo italiano davanti
all’applicazione forzata di politiche economico-finanziarie che lo
danneggiano, non può avere un’origine esclusivamente economica. Un lungo
e intenso lavoro preparatorio ha preceduto, e poi accompagnato,
l’applicazione delle politiche neocapitalistiche de-emancipanti,
mancando il quale già da un po’ si sparerebbe per le strade. L’azione si
è concentrata sull’uomo e sul suo ambiente culturale, modificandolo per
renderlo adatto a sopportare il peso della trasformazione
neocapitalistica complessiva. Senza questa premessa non si riuscirebbe a
comprendere perché le neoplebi, postproletarie e postborghesi, non si
ribellano con ampio uso della violenza, e perché il consenso è cresciuto
a dismisura, intorno al principale partito euroservo e filo-atlantista,
cioè intorno al pd.
Il nuovo ordine sociale è frutto, perciò,
della precarizzazione lavorativa ed esistenziale di massa, della
riduzione dei redditi popolari, nonché della manipolazione mediatica
incessante e della diffusione propagandistica della menzogna ( “il
privato è più efficiente”, “piccolo è bello” riferito alla Pmi, “diventa
imprenditore di te stesso”, “io credo nel mercato”, “le ideologie sono
morte”, ”diventare competitivi”, eccetera). L’unico alfabeto ammesso è
quello sistemico, politicamente corretto, che trasforma e indirizza il
pensiero nel senso voluto, ben sapendo che l’azione manipolatoria
concentrata sul linguaggio e sul pensiero è un potente veicolo per
l’assoggettamento. Il risultato è che la combattività delle neoplebi è
inferiore persino a quella della classe proletaria, che nel dopoguerra
si stava gradatamente “imborghesendo”, alimentando l’allora ceto medio
figlio del welfare. Dalla tripartizione sociale precedente – borghesia
proprietaria, proletariato e ceto medio – ci stiamo muovendo rapidamente
verso la dicotomia classe globale dominante/classe povera (ridotta a
neoplebe senza nerbo), così come dal capitalismo inclusivo del
produttore/consumatore, caratterizzato da un compromesso fra stato e
mercato, ci stiamo muovendo verso le terre non più incognite del nuovo
capitalismo finanziarizzato ultraliberista (“anarchico” e senza
redistribuzione della ricchezza), che genera i profili del precario e
dell’escluso e consegna per intero la decisione politica al mercato.
Non mi dilungherò su temi
antropologico-sociali come l’imbecillità socialmente organizzata,
sull’uso del cibo, degli psicofarmaci e delle droghe per infiacchire la
popolazione e renderla malleabile, gestibile senza una vasta, costosa e
rischiosa azione repressiva. Sono discorsi che ho già fatto in passato,
molte volte, e che non serve riassumere ancora una volta in questa sede.
Recentemente ho avanzato la provocatoria ipotesi che è nata, da uomo e
donna, sulle macerie culturali, sociali e politiche del novecento una
nuova specie, diminuita quanto a facoltà critiche e “libera volizione”,
il cui immaginario è totalmente colonizzato e il cui vocabolario è
quello imposto dal sistema. Fattore-lavoro oppure, mancando il lavoro,
eccedenza umana da smaltire, inutile per il capitale sovrano. Questo è
il destino che puntualmente riserveranno a chi non si ribella.
In Italia, i collaborazionisti piddini
delle eurocrazie e delle signorie finanziarie occidentali
internazionalizzate hanno buon gioco, perché la manipolazione
antropologico-culturale di massa ha prodotto gli effetti “sperati”. Come
si nota, osservando questo paese, il passaggio all’ordine sociale
neocapitalistico, velocizzato da Monti a Renzi, si sta compiendo senza
scossoni di rilievo (riots estesi, jaquerie post-medioevale di massa,
rivolte urbane armate, “terrorismo” diffuso, eccetera). Non stiamo
vivendo nella quiete prima della tempesta (sociale), ma nella calma
ferale della pax neocapitalista che regna incontrastata.
Anche per i predetti motivi, di natura non economica e non finanziaria, l’Italia è condannata.
3. La situazione internazionale e
la sua possibile evoluzione nel breve, di cui al punto c), non ci
lasciano troppe speranze. Anzi, le probabilità di un cambiamento
positivo, di qui a un paio d’anni, si riducono al lumicino e la
probabilità di un collasso definitivo del “belpaese”, nel breve-medio
termine, è ormai altissima. Di seguito mi spiegherò meglio.
Se non vi sarà un’inversione di rotta
nelle politiche economiche rigoriste-europidi, depressive e deflattive,
com’è molto probabile (punto a), se non ci sarà una vigorosa reazione
interna, sociale e politica, a questo stato di cose (punto b), non resta
che sperare in un’evoluzione della situazione geopolitica favorevole
per il paese. Ridotta nelle condizioni di asservimento che possiamo
osservare, l’Italia non avrebbe altra chance che attendersi un rapido
mutamento della situazione internazionale, non solo in Europa.
Dovrebbe accadere quanto segue: I) un
indebolimento degli usa e della loro capacità d’intervento (militare ed
economica), di pressione e di destabilizzazione; II) una rapida
ricomposizione della frattura fra la Federazione Russa e alcuni
importanti paesi europei, a partire dalla Francia, e l’auspicabile
débâcle dello stato-canaglia filo atlantista ucraino; III) una
stabilizzazione della situazione in Medio Oriente e nel Nord Africa,
dopo un significativo indebolimento dell’organizzazione criminale
mercenaria (al servizio degli islamosauditi, degli usa e dei sionisti)
nota come stato islamico, nonché un’affermazione definitiva di Assad in
Siria; IV) una decisa e repentina vittoria del Front National francese
(possibilmente in elezioni presidenziali anticipate, prima del 2017),
l’auspicabile fine dell’unione monetaria europide e il ridimensionamento
del ruolo della germania. Già che ci siamo, possiamo aggiungere al
novero V) l’affacciarsi di una crisi economica e/o politica in Cina (che
ridimensionerebbe un pericoloso concorrente).
E’ chiaro che simili eventi avrebbero
un’influenza decisiva sulla situazione interna del nostro paese:
riavvicinamento alla Russia utile dal punto di vista economico e
occupazionale, collasso del pd e dell’infame sinistra conseguente al
collasso della ue e all’indebolimento usa, fine del rigore contabile
economicamente e socialmente asfissiante, probabile riacquisizione della
sovranità monetaria con riattivazione della spesa sociale e degli
investimenti pubblici, eccetera. E’ altrettanto chiaro, però, che si
tratta soltanto di un “libro dei sogni” (a essere prudenti) e che la
situazione internazionale, nell’arco di uno o due anni, non potrà
cambiare in modo così deciso e positivo.
Al contrario, è molto più probabile: I)
che gli usa mantengano buona parte della loro capacità d’intervento
(militare ed economica), di pressione e di destabilizzazione dei paesi
ribelli; II) che non si ricomponga, o non si ricomponga del tutto, nel
breve la frattura fra la Federazione Russa e i paesi europei soggetti
alla nato e alla ue, e non collassi definitivamente l’ucraina filo
atlantista (tenuta in vita dagli americani); III) che continui
l’instabilità in Medio Oriente e in Africa settentrionale, proseguano i
conflitti, le “pulizie” etnico-religiose e le attività criminali degli
islamisti sunniti (così conviene anche agli usa) e in Siria non ci sia
un vincitore; IV) che il Front National sia costretto a starsene “buono
buono” fino alle presidenziali del 2017, rischiando di scontare
un’erosione del consenso, con l’aggravante che i due maggiori partiti
euroservi francesi, l’ump di Chatel e il ps di Cambadélis, potrebbero
coalizzarsi in funzione anti-Le Pen. Già che ci siamo, aggiungiamo pure
V) che la Cina continuerà a espandersi a nostro danno (pur con
rallentamenti del tasso di crescita), perché al momento non vi sono
segnali d’imminente ridimensionamento economico e/o dell’insorgere di
una forte instabilità politica (nonostante le proteste a Hong Kong,
dietro le quali ci sono gli americani).
In passato confidavo, almeno un po’,
sull’evolversi della situazione internazionale e su un cambiamento
geopolitico che avrebbe potuto essere benefico per l’Italia,
impossibilitata a salvarsi motu proprio. Oggi ho motivo di ritenere che
tale cambiamento è altamente improbabile, soprattutto in tempi brevi, e
che il nostro paese anche per questo è condannato.
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