LA TRASCRIZIONE INTEGRALE DELL'INTERVISTA di Enzo Biagi
Fava: I
mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi
stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono
banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici
della nazione. Se non si chiarisce questo equivoco di fondo…, cioè non
si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la
taglia sulla tua piccola attività commerciale. Questa è roba da piccola
criminalità che credo faccia parte ormai, abiti in tutte le città
italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più
tragico e più importante, è un problema di vertice della gestione della
nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al
decadimento culturale definitivo l'Italia.
Biagi: E’ vero che la realtà spesso supera la fantasia?
Fava:
Sì anche perché dalle mie esperienze personali mi sono trovato quasi
sempre di fronte a fatti, fenomeni, personaggi che io non avrei osato a
volte nemmeno immaginare. Se tu vuoi io posso citare…
Biagi: Io voglio, sì sì.
Fava: Tu forse conosci la storia di Placido Rizzotto.
Biagi: Sì.
Fava:
Placido Rizzotto era un sindacalista pazzo, pazzo alla maniera nobile
del termine, il quale si illudeva negli anni ’40-’50 di poter redimere i
poveri di Corleone e come un pazzo andava all’occupazione delle terre
con delle bandiere tricolore, con delle bandiere rosse guidando folle di
contadini affamati per l’occupazione del latifondo. Evidentemente era
un uomo che dava molto fastidio al potere, alla proprietà, al padrone
perché in effetti espropriava le terre sia pure abbandonandole,
costretto ad abbandonarle perché non c’era acqua, non c’erano strumenti
di lavoro, non c’erano case. Però era un uomo che gettava il seme della
rivolta in un luogo, in una terra, in un territorio dell’isola che era
stato sempre tradizionalmente dominato dalla mafia. E accanto a lui
(ecco la cosa stupefacente) camminava, correva (perché i rivoluzionari
corrono secondo tradizione) dietro alle bandiere rosse, alle bandiere
tricolore seguiti da queste torme di contadini una ragazza che il mito
descrive scarmigliata, bella, alta, bruna come le siciliane, come una
Anita Garibaldi. Ed era la sua fidanzata, si chiamava Leoluchina Sorisi.
Lavorava con lui, si batteva con lui, lottava con lui, occupava le
terre insieme ai contadini finchè un giorno Placido Rizzotto scomparve.
Placido Rizzotto è uno degli eroi dimenticati. Io qui vorrei fare una
piccola parentesi e ti chiedo scusa ancora. Io vorrei che gli italiani
sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani
lottano da trenta secoli contro la mafia, lottano alla loro maniera
naturalmente. Il fatto è che tutti gli uomini che sono caduti negli
ultimi tre o quattro anni sono tutti siciliani. Gli eroi della lotta
contro la mafia sono tutti siciliani con l’esclusione di Dalla Chiesa
soltanto, il quale tutto sommato era anche lui un siciliano perché era
stato a comandare i carabinieri di Palermo per tanto tempo. Ecco Placido
Rizzotto era uno di questi eroi siciliani che spesso vengono
dimenticati dall’opinione pubblica italiana. Placido Rizzotto scomparve,
morì come credo nessuno sia morto, nel modo più orrendo possibile.
Venne precipitato in fondo ad una spelonca del monte Busambra, un
precipizio, una voragine di 300-400 metri e ritrovato dopo due anni.
Venne precipitato giù vivo ed incatenato, cioè morì di fame e divorato
dalle bestie della campagna. Quando i carabinieri e gli speleologi
tirarono su questi miserabili resti umani, che vennero credo
identificati attraverso una catenina che ancora quei resti avevano al
collo, era presente Leoluchina Sorisi che riconobbe il cadavere e disse
(riferiscono le cronache di allora) sicilianamente una cosa molto bella
che io da siciliano non condivido ma che poeticamente amo: “Di chi lo
uccise io mangerò il cuore”. Passò del tempo. Si seppe che l’assassino o
comunque il mandante dell’assassino (o si ritenne di sapere che il
mandante dell’assassino) era Luciano Liggio il quale era il Napoleone
della mafia, il potere insorgente della mafia ed era inafferrabile, era
una primula rossa. Beh, Luciano Liggio venne catturato in casa di
Leoluchina Sorisi, nel letto di Leoluchina Sorisi, accudito e curato da
questa donna. Non che ci fosse un rapporto umano. Però era nella sua
casa. Io ho cercato questa donna, l’ho cercata a Corleone, l’ho cercata
dovunque, da tutte le parti, non l’ho trovata più. Ecco qui la realtà va
oltre qualsiasi immaginazione. Perché una donna che è innamorata di un
uomo, che assiste alla sua fine e ama anche la sua maniera di morire,
poi può far tenere dentro la propria casa e curarlo, accudirlo e
nasconderlo l’uomo che si presume lo abbia ucciso?
Biagi: Tu hai fatto una conoscenza diretta del mondo della mafia come giornalista?
Fava:
Sì, ho conosciuto diversi personaggi dell'una e dell'altra parte
attraverso quelle che erano le cronache, le inchieste, le indagini che
andavamo conducendo e che puntualmente abbiamo riferito sui nostri
giornali.
Biagi: Chi ricordi di più di questi tipi? Dei vecchi mafiosi per esempio? Sono cambiati?
Fava:
Un uomo sì. C'è un abisso (anche questa è una grande confusione che si
fa) tra la mafia qual era vent'anni fa, quindici anni fa e quella di
oggi. Allora il mafioso per eccellenza era Genco Russo. Io sono stato a
casa di Genco Russo e, mi si perdoni il termine, ho avuto (con molta
ironia lo dico) l'onore di essere stato l’unico ad intervistare Genco
Russo, ad avere da lui un memoriale da lui firmato che iniziava con ''Io
sono Genco Russo, il re della mafia''. Genco Russo era un uomo che
governava il territorio di Mussomeli dove, da vent'anni, non c'era non
dico un omicidio ma uno schiaffo. Non c'era un furto, dove tutto
procedeva nell’ordine, nella legalità più assoluta. Era la vecchia mafia
agricola, la quale governava un territorio ed aveva una forza
straordinaria che il mondo di allora non poteva ignorare, governava 15,
20 mila, 30 mila, 40 mila voti di preferenza di una parte della
provincia. Nessun uomo politico poteva ignorare questa potenza
determinante perché bastava che Genco Russo spostasse non da un partito
all'altro, ma anche all'interno dello stesso partito quella massa di
voti per determinare la fortuna o l’infelicità di un uomo politico. Ecco
perché poteva andare alla Regione siciliana e spalancare con un calcio
la porta degli assessori: perché lui era il padrone. Poi dopo la società
corse avanti, si modificò tutto ed i mafiosi non furono più quelli come
Genco Russo. I mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono gli
esecutori, anche al massimo livello. Si fanno i nomi (non lo so, io non
li conosco personalmente) dei fratelli Greco. Si dice che siano i
mafiosi vincenti a Palermo, i padroni della mafia, i governatori della
mafia, i vicerè della mafia. Non è vero: sono anche loro degli
esecutori. Sono nella organizzazione, stanno al posto loro e fanno
quello che gli altri…non lo so, io adesso parlo di persone che sono
incensurate, quindi presumo secondo l’accusa.
Biagi: L’America, i nostri compatrioti all’estero che parte giocano in tutta la faccenda?
Fava:
La loro parte è senza dubbio importante, cioè loro sono gli apportatori
di masse di denaro incredibili. Io ritengo che la loro parte
soprattutto sia in quello che oramai è l’argomento fondamentale della
strategia mafiosa, cioè il mercato della droga. Io ho fatto delle
indagini piuttosto sommarie debbo dire che può fare chiunque. Mi sono
reso conto di quella che attualmente è la struttura finanziaria della
mafia. Questi sono degli studi che chiunque può leggere. Esistono
attualmente al mondo circa 100 milioni di drogati. La cifra è molto più
alta, ma ufficialmente sono quelli. Un milione dei quali muoiono ogni
anno per overdose. Dieci milioni restano definitivamente inabili a
qualsiasi attività umana. Gli altri 90 milioni che restano vengono
continuamente aumentati di numero eccetera. Si presume che consumino
questi cento milione di persone (che vivono soltanto nel mondo
occidentale) dalle 15 alle 20 mila lire di droga al giorno. Secondo
calcoli piuttosto banali, piuttosto facili (basterebbe una macchinetta)
si tratterrebbe di qualcosa come 100 mila miliardi l’anno, i quali
vengono manovrati quasi esclusivamente dalla mafia. Ora io mi sono posto
questa domanda che credo si sia posta qualsiasi persona costretta per
motivi professionali o per passione politica oppure per pura umanità ad
interessarsi del problema. Un'organizzazione che riesce a manovrare
centomila miliardi l'anno, più, se non erro, del bilancio di un anno
dello Stato italiano, in condizione di armare degli eserciti, in
condizione di possedere delle flotte, di avere una aviazione propria. In
effetti sta accadendo che la mafia si sia ormai pressocchè impadronita,
almeno nel medio oriente, del commercio delle armi, del mercato delle
armi. Ecco gli americani contano in questo. Però neanche loro avrebbero
cittadinanza in Italia come mafiosi se non ci fosse il potere politico e
finanziario che consente loro di esistere. Diciamo che di questi
centomila miliardi, un terzo, un quinto resta in Italia e bisogna pure
impiegarlo in qualche modo, bisogna riciclarlo, ripulirlo, reinvestirlo.
E allora ecco le banche, le banche nuove, questo pullulare, questo
proliferare di banche nuove dovunque che servono per riciclare. Il
Generale Dalla Chiesa lo aveva capito, questa era stata la sua grande
intuizione, quella che lo portò alla morte. Era dentro la banche che
bisognava frugare perchè lì c’erano decine di migliaia di miliardi
insanguinati che venivano immessi dentro le banche e ne fuoriuscivano
per andare verso opere pubbliche. Ritengo che molte chiese siano state
costruite con appalti avuti da denari mafiosi insanguinati.
Biagi: Il padrino è quello raccontato da Mario Puzo o è un altro tipo?
Fava:
Sì in parte penso di sì. E’ un uomo saggio e crudele, il quale ha
saggezza su tutto e una crudeltà senza limiti, disposto ad ammazzare o a
fare ammazzare anche il figlio se dovesse essere il caso. Per il
mafioso è una causa. Per Genco Russo la mafia era una causa. Per il
mafioso moderno nella mafia moderna non ci sono padrini, ci sono grandi
vecchi, i quali si servono della mafia per accrescere le loro ricchezze.
Questo è un dato che spesso viene trascurato. L’uomo politico non cerca
attraverso la mafia soltanto il potere, cerca anche la sua ricchezza
personale, perché dalla ricchezza personale deriva potere e deriva la
possibilità di avere sempre quei 150 mila, 200 mila voti di preferenza.
Perché purtroppo la struttura della nostra civiltà politica è questa.
Chi non ha soldi 150 mila voti di preferenza non riuscirà ad averli mai.
Biagi: Una volta si diceva che la forza dei mafiosi era la capacità di tacere. E adesso?
Fava:
Io sono d'accordo con Nando Dalla Chiesa: la mafia ha acquistato una
tale impunità da essere diventata perfino tracotante. Le parentele si
fanno ufficialmente. Sì certo, si cerca di tirar fuori le mani, di
tenerle in alto quando c’è qualcuno che sta per essere ammazzato,
l'alibi personale, l’alibi morale. Ma non credo ci sia questa paura,
questa necessità di far silenzio. Io ho visto molti funerali di Stato.
Ora dico una cosa di cui solo io sono convinto, quindi può non essere
vera: ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità.
Biagi: Come sono le donne dei mafiosi?
Fava:
Quasi inesistenti. Io non ne ho conosciuta alcuna. Ho conosciuto le
donne delle vittime dei mafiosi e loro sono delle donne straordinarie.
Biagi: Cosa vuol dire essere ''protetti'' secondo il linguaggio dei mafiosi?
Fava:
Essere “protetti” significa poter vivere dentro questa società. Ho
letto un'intervista esemplare nei giorni scorsi a quel signore di Torino
che ha corrotto tutto l'ambiente politico torinese. Diceva una cosa
fondamentale. E’ una legge mafiosa che è stata esportata, è venuta su
dalla Sicilia, fa parte ormai della cultura nazionale: non si fa niente
in Italia se non c’è l'assenso del politico e se il politico non è
pagato. Ecco noi viviamo in questo tipo di società e in questo tipo di
società la protezione è indispensabile se qualcuno non vuol condurre la
vita da lupo solitario. Che può essere anche una scelta, può essere
anche affascinante, essere soli nella vita e non avere né aderenze né
protezione da alcuna parte, orgogliosamente soli fino all'ultimo. Questa
può essere una scelta, ma 60 milioni di italiani non potranno farlo.
Biagi: Non hanno questa vocazione alla solitudine. Secondo voi cosa bisognerebbe fare per eliminare questo fenomeno? Fava.
Fava:
Tu fai una piccola domanda che avrebbe bisogno di una enciclopedia.
Posso dirti soltanto che a mio parere tutto parte da una assenza dello
Stato e dal fallimento della società politica italiana. Bisogna
ricominciare da lì. Forse è necessario creare una seconda Repubblica in
Italia. E’ tempo di creare una seconda Repubblica che abbia delle leggi
e
una struttura di democrazia che eliminino il pericolo che il politico
possa diventare succube di se stesso o della sua avidità o della
ferocia degli altri o della paura o comunque in ogni caso che possa
essere soltanto un professionista della politica. Tutto nasce da lì, dal
fallimento della politica e degli uomini politici, della nostra
struttura politica e forse della nostra democrazia così come noi
l’abbiamo in buona fede appassionatamente costruita e che ci si sta
sgretolando fra le mani. Dovremmo ricominciare da lì.