L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 22 febbraio 2014

L'unico peccato di un governo legittimo è stato rifiutare l'Europa

La destabilizzazione nato-europoide dell’Ucraina 

di Eugenio Orso


Se in un paese un branco di mercenari tagliagole, di picchiatori e di assassini mette in pericolo la stabilità interna e la sicurezza della popolazione, incendia automezzi per le strade, occupa con un’estrema violenza edifici pubblici e uccide indiscriminatamente, è giustificato un duro intervento delle forze di sicurezza. Se la situazione è molto grave e le forze di sicurezza non bastano per risolvere, si può giustificare, come estrema ratio, un intervento delle forze armate, per neutralizzare criminali, mercenari e infiltrati. Questa regola, che dovrebbe essere scontata e accettata da tutti, non vale però per l’Ucraina, come non è valsa per la Siria aggredita.
Il legittimo governo ucraino di Viktor Yanukovych e la popolazione non possono difendersi, devono subire l’attacco criminale senza muovere un dito, lasciandosi massacrare e permettendo che il paese sia distrutto. Oppure devono arrendersi senza condizioni. Lo impone, minaccioso, in concerto con Washington e le principali “cancellerie” europoidi, il segretario generale della cosiddetta alleanza atlantica, ossia della nato, la peggiore organizzazione criminale soprannazionale della storia: “Invito fortemente il governo ucraino ad astenersi da ulteriore violenza. Se i militari interverranno contro l’opposizione [i criminali saccheggiatori che uccidono e devastano sventolando gli stracci stellati della ue, n.d.s. ], i legami con la Nato saranno seriamente danneggiati”. Nel frattempo le bande di insorti si permettono di far prigionieri una cinquantina di poliziotti. Una chiara minaccia, quella della nato, corroborata dalle già annunciate sanzioni ue. Un ribaltamento ipocrita della situazione reale in Ucraina, perché in questo caso – come dovrebbe essere evidente anche a un idiota – non è il governo che attacca pacifici manifestanti, ma sono le bande criminali di mercenari assassini filo-nato e filo-ue che attaccano indiscriminatamente, uccidono e fanno prigionieri, per destabilizzare quel paese e defenestrare con inaudita violenza Yanukovych. Tutto questo non c’entra con le dinamiche politico-parlamentari e il confronto fra le forze politiche nel paese, e la situazione rivela chiaramente “lo zampino” esterno.
Qual’è la grande “colpa” di Yanukovych, del suo governo e di quello sfortunato paese, popolato da ucraini e da una robusta minoranza russofona? Di non aver accettato la proposta di entrare subito nella Nato, mettendo a disposizione il territorio nazionale per basi militari dell’”alleanza” e per l’accerchiamento della Federazione Russa (in ciò, il “softpower” del serpente Obama). La “colpa” è di non aver aderito incondizionatamente all’unione europoide – contro l’interesse di tutti, ucraini e russofoni – abbassando la testa e lasciandosi fagocitare nell’eurolager. L’Ucraina martire non ha piegato il capo, davanti alle ragioni del grande capitale finanziario occidentale, e quindi deve essere duramente punita, suscitando al suo interno la guerra civile.
Gli stragisti nato e i criminali europoidi hanno giocato sulla storica rivalità che divide ucraini e russofoni, hanno infiltrato provocatori e hanno finanziato assassini, bande di delinquenti spacciate per “attivisti”, partiti e movimenti collaborazionisti. Hanno portato quel paese, di oltre quarantacinque milioni di abitanti, esteso quasi quanto la Francia, al limite del disfacimento violento. Sono determinati a suscitare, in Europa, una nuova, sanguinosa Jugoslavia, piuttosto che permettere accordi fra uno stato sovrano – l’Ucraina – e un altro stato sovrano, la Federazione Russa. Solo la prudenza e il senso di responsabilità dei russi, che conoscono bene il criminale disegno geopolitico di nato e ue orchestrato contro di loro, potranno evitare un’esplosione futura del conflitto, se questo non si placherà a partire dall’Ucraina. Il vero aggredito è la Russia, anche se il proditorio attacco passa attraverso l’Ucraina, il cui nome, in slavo, guarda caso significa “terra confinante”. I tagliagole di piazza Maidan, a Kiev, hanno fatto finora un buon lavoro, al servizio dei disegni geopolitici di dominio dei bracci del capitale finanziario occidentale, quello armato atlantista e quello sopranazionale europide.
La rabbia m’impedisce di analizzare a mente lucida la situazione. Le menzogne dei media europoidi, a questo punto, mi fanno infuriare. Chi può credere che un intero popolo, come quello ucraino, possa volere le armi nato sul proprio territorio, mettendosi in grave pericolo, e la politica del “rigore” antipopolare imposta dall’unione europoide, con la mannaiata finale dell’euro? Può crederci solo un idiota, un povero stronzo, un’inutile merdaccia politicamente corretta che crede nei “diritti umani” e in questa splendida “democrazia”. Tipico esempio di opinione pubblica in occidente. Eppure in Italia, anche quando si manifesta “pacificamente e democraticamente”, gli sbirri non si fanno scrupolo di bastonare, senza risparmio, operi disperati e disarmati vicini al licenziamento o studenti giovanissimi e innocui. Siccome le “rivoluzione colorate” e twitterate possono lasciare il tempo che trovano, fallendo miseramente, gli stragisti internazionali ed europoidi sono passati alle vie di fatto, hanno scelto direttamente il massacro, sperimentando nuove forme di aggressione e d’intrusione, per le vie brevi, proprio in Ucraina. Quello che vale in “occidente”, cioè il pacifismo strumentale, la democrazia, il dialogo, la coesione sociale, il “bon ton” nei confronti di altre correnti politiche del pensiero unico, e corbellerie propagandistiche del genere non vale più in Ucraina. In quel caso si è scelta la violenza più brutale, il mercenariato di minoranze delinquenziali, l’infiltrazione e la provocazione, per dividere, distruggere e un giorno occupare. Questa è la realtà. L’impero del male non si smentisce.
Chiudo con una debole speranza. Se in questo momento drammatico per la sopravvivenza del paese io fossi Viktor Yanukovych, mi rifiuterei di lottare con le mani legate dietro la schiena, sapendo quale nemico ho di fronte. Chiederei con urgenza un forte appoggio, anche militare, da parte della Federazione Russa, che se non è del tutto “infiacchita” potrebbe ammassare le divisioni corazzate della guardia ai confini con l’Ucraina, mostrandosi pronta a intervenire per evitare il peggio. All’interno imporrei a forze di sicurezza e militari di passare al contrattacco, magari rispolverando le vecchie mitragliatrici sovietiche KPV da 14,5 mm, per falciare senza pietà i delinquenti di Piazza Maidan e sulle altre piazze, ben consapevole che sono gli emissari dei grandi assassini internazionali. La nato e l’unione europoide. Se l’Ucraina resisterà a questo attacco brutale, rientrando nell’orbita russa, non solo la popolazione ucraina ne trarrà vantaggi (in termini di approvvigionamento energetico, di finanziamenti, di investimenti), ma forse qualche vantaggio potremmo averlo noi, seguendo l’esempio e buttando in mare atlantisti ed europoidi.

Perché gli Stati Uniti e l'Europa non smettono di giocare con l'Ucraina?

Ucraina, le verità in scatola

Quanto è spontanea la rivolta ucraina? Quante delle drammatiche immagini che circolano sulle televisioni e si condensano nelle foto, offrono una testimonianza e non invece una tesi prefabbricata? Che ci fanno a Kiev 300 ucraini naturalizzati Usa e tornati ben dotati di verdoni a fare una rimpatriata? Che ci fa Radio Maria in piazza Maidan? Come mai l’ambasciatore cinese si allinea all’Europa in cambio di mano libera in Crimea e compaiono come servizio d’ordine dei manifestanti proprio i tartari della piccola repubblica autonoma?
La risposta a questi interrogativi è intuibile e fa parte di una balcanizzazione dell’Ucraina che, come ho già detto in questo post , si serve dei movimenti ultra nazionalisti e neonazisti che ormai hanno preso del tutto la padronanza della piazza. Ognuno poi si dia le risposte che vuole e che gli convengono, ma una cosa è certa: che non è una battaglia per la democrazia formale visto che in Ucraina già si svolgono libere elezioni e che le pressioni della piazza vengono considerate indebite e antidemocratiche in tutto il continente, come per l’Italia, ad esempio, dimostra  la vicenda dei no tav.
Certo ci sono i morti e un governo che sta perdendo la bussola, ma probabilmente anche questo era stato messo in conto, anzi calcolato, quando si è dato spago alle formazioni più estremiste che peraltro in Ucraina hanno spesso un cotè di malavita comune, come del resto è tipico dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica. Infatti solo arrivando alla questione umanitaria c’era la possibilità di intervenire dall’esterno e di smuovere l’opinione pubblica europea. Una cosa però è certa, la rivolta spontanea è una barzelletta come dimostrano queste istantanee che non campeggiano sui nostri media.
Polizia? No manifestanti
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Probabilmente i giornalisti non si rendono del lavoro organizzativo necessario per dotare di scudi con scritte apposite, elmetti, giubbotti antiproiettile spontanei manifestanti che hanno invece tutta l’aria di essere truppe paramilitari tutt’altro che improvvisate
Servizio di ristoro per i rivoltosi. Ci sono persino le lattine targate Euromaidan. Sarà un caso di inscatolamento ed etichettatura spontanea?
Euro 2
Euro

Basta Euro


Coloro i quali ci hanno portato nell’Euro hanno fat- to l’errore più grande della storia e ora sono disposti a tutto pur di non ammetterlo. Sono disposti a sacrificare il lavoro di milioni di Italiani, i risparmi accumulati con vite intere dedicate alla prudenza e alla sicurezza, un pa- trimonio inestimabile di imprese che sono sempre state un modello per il mondo. Presto arriveranno addirittura a pretendere la svendita delle opere d’Arte e a consen- tire la sparizione dell’oro detenuto in Banca d’Italia. Per l’Europa stanno vendendo le nostre vite, ci hanno infila- to in una depressione peggiore di quella del 1929, han-
no piegato ed umiliato interi Popoli, come i Greci, pur di tenere in piedi lo strumen- to infernale dell’Euro: un peso che ci sta facendo dimenticare che cosa sia la libertà. Questo disastro è coperto da una catena fittissima di menzogne che ci vengo- no raccontate ogni giorno da televisione e giornali: bugie urlate sempre più forte

man mano che cresce la paura che il colossale danno venga scoperto.
Anch’io ero stato ingannato all’inizio ma adesso tutto è chiaro. Ho quindi pen- sato a questo manualetto come un’arma di difesa dalle falsità più frequenti che vengono diffuse ogni giorno e anche per rispondere ai più comuni dubbi o timori che chiunque di noi possa avere se si parla della moneta e di che cosa voglia dire


tornare ad essere indipendenti e padroni a casa nostra.
Occorre prepararsi, perché rottamare l’Euro non è una scelta: questo sistema

è destinato INEVITABILMENTE a finire, l’unico dubbio è QUANDO, e non è una dif- ferenza da poco. Prima finirà questo incubo e meno macerie ci saranno da spazzare e prima si potrà ricominciare a ricostruire e fare quello che abbiamo dimostrato nel tempo di saper fare meglio: lavorare.
Ci aspetta un periodo di ricostruzione e rinascita, simile agli anni gloriosi del dopoguerra, però dipenderà da noi fermare i “bombardamenti” economici per tempo prima che facciano troppe vittime.
Le prossime elezioni Europee saranno un momento importante: la scelta non sarà fra destra e sinistra, e nemmeno fra Nord e Sud. Sarà, invece, fra chi vuol man- tenere ostinatamente in piedi questo strumento di distruzione economica che è l’Euro e chi invece lo vuole incenerire per sempre, senza se e senza ma, per poter riprendere le chiavi di casa e ricominciare a crescere e produrre.
Ringrazio sentitamente la Lega Nord e Matteo Salvini che ci hanno creduto fin dalla prima volta in cui ho raccontato questi “punti” che ora, grazie a loro, potete leggere anche voi.
Claudio Borghi Aquilini
Economista, docente dell’Università Cattolica di Milano, giornalista ed ex managing director di Deutsche Bank

dobbiamo ricominciare a sognare a nutrire la nostra anima

Perché la gente non si ribella?

di Marino Badiale


Se “gente” suona troppo populista alle vostre orecchie, potete tirare in ballo il popolo, le masse, il proletariato, la classe operaia, i ceti subalterni, come meglio vi piace. Comunque sia, il problema è chiaro, ed è fondamentale. Dopo tante analisi sociopoliticoeconomiche, possiamo dire di aver capito, almeno in linea general, cosa “lorsignori” stanno facendo, e perché. Ma la possibilità di una politica di contrasto ai ceti dominanti è appesa a questa domanda: perché la gente non si ribella?

Non ho risposte, lo dico subito. Mi sembra però di poter argomentare che alcune delle risposte che più comunemente vengono ripetute sono poco convincenti. Proverò allora a spiegare questo punto, nella convinzione che togliere di mezzo le spiegazioni deboli o incomplete possa aiutare ad elaborare spiegazioni migliori.


Risposta n.1: “La gente sta bene, o meglio, non sta ancora abbastanza male”. Il sottinteso di questa risposta è che l'ora della rivolta scocca quando si sta davvero male, quando arriva la fame. Ma questa idea è sbagliata. Se fosse corretta, il lager hitleriano e il gulag staliniano sarebbero stati un ribollire di rivolte, e sappiamo che non è andata così . La miseria non è condizione sufficiente per la rivolta, ma neppure necessaria: gli operai protagonisti di lotte dure, fra gli anni Sessanta e i Settanta del Novecento, non erano ricconi ma nemmeno miserabili ridotti alla fame.


Risposta n.2: “le condizioni non sono ancora peggiorate davvero”. Il sottinteso di questa risposta (che tiene conto delle obiezioni appena viste alla risposta n.1) è che la ribellione scatta non quando si sta male ma quando si sta peggio: quando cioè si esperisce un netto peggioramento delle proprie condizioni di vita. Tale tesi è facilmente confutata dall'esempio del popolo greco, che da anni vede le sue condizioni di vita peggiorare di continuo senza che questa faccia nascere una autentica rivolta (al più, qualche manifestazione un po' dura).


Risposta n.3: “mancano i gruppi dirigenti”. Qui si vuol dire che i ceti subalterni non hanno ceti dirigenti che li sappiano guidare in una lotta dura e intransigente. Questa risposta coglie ovviamente una parte di verità: è proprio così, mancano le persone capaci di essere leader della lotta. Ma a sua volta questo dato di fatto richiede di essere spiegato. Il punto è che non sempre, nei grandi mutamenti storici, c'è un gruppo dirigente già formato. Ci sono certo persone più capaci di capire e di dirigere, ma difficilmente è già pronto un autentico gruppo dirigente, unito e lucido. In Francia nel 1789, per esempio, un tale gruppo dirigente non c'era. È la lotta rivoluzionaria che lo ha forgiato. In molti casi, anche se non in tutti, i gruppi dirigenti si formano nel fuoco della lotta. Ma se il fuoco non divampa non si possono formare.


Risposta n.4: “la gente è corrotta”. Ovvero, ormai la corruzione, l'illegalità, la prevaricazione hanno contaminato anche i ceti subalterni, che non si ribellano contro l'orrido spettacolo offerto dai ceti dominanti perché lo trovano normale, e al posto loro farebbero lo stesso. Anche qui, si tratta di una risposta che coglie qualche elemento di verità, soprattutto in riferimento all'Italia, ma che mi sembra insufficiente. Non mi pare che nel sentire comune vi sia questa accettazione maggioritaria del farsi gli affari propri, eventualmente in modo illecito e senza guardare in faccia nessuno. Il diffuso disprezzo per i politici testimonia del contrario. È vero che, notoriamente, l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù, ma se anche si trattasse di ipocrisia questo testimonierebbe del fatto che un tale omaggio è necessario. Neppure in Italia è possibile dire apertis verbis “sono un ladro, siatelo anche voi”, e questo perché evidentemente la cosa non potrebbe reggere, perché non è vero che sono tutti ladri.


Risposta n.5: “siamo diventati tutti individualisti”: qui si  vuol dire che l'ideologia neoliberista è penetrata talmente in profondità che ormai tutti ci comportiamo come l'homo oeconomicus dei libri, calcoliamo freddamente i nostri interessi materiali e non ci facciamo smuovere dalle ideologie. L'obiezione però è semplice: proprio dal punto di vista del freddo interesse materiale appare evidente la necessità della rivolta collettiva. È evidente infatti, come diciamo da tempo in questo blog, che il progetto dei ceti dirigenti italiani e internazionali è la distruzione di diritti e redditi dei ceti subalterni, ed è pure evidente che il singolo individuo può ben poco. Ma allora la rivolta collettiva dei ceti subalterni appare come l'unica strategia razionale, proprio dal punto di vista dell'interesse personale.


Risposta n.6: “è venuta meno l'idea di una società alternativa” : insomma il crollo del comunismo ha trascinato con sé ogni tipo di rivolta popolare. Il capitalismo attuale viene concepito come l'unica realtà possibile e ciò che succede ai ceti popolari appare come una catastrofe naturale rispetto alla quale la ribellione non ha senso. Anche in questa risposta ci sono elementi di verità ma la spiegazione appare insufficiente: infatti i contadini si sono ribellati infinite volte, in Occidente e altrove, senza nessuna idea di una società nuova e alternativa, ma anzi chiedendo il ripristino dei vecchi rapporti sociali, turbati da innovazioni recenti o dall'arrivo di “nuovi signori”. La grandi rivolte contadine in Cina non hanno mai sovvertito l'ordine socioeconomico ma, quando erano vittoriose, portavano a sostituire una dinastia con un'altra. Qualcosa di simile si può dire delle rivolte di schiavi, che quasi mai mettevano in questione l'ordine sociale basato sulla schiavitù. Insomma, la  rivolta può esserci anche senza basarsi sull'idea di una società futura alternativa.


Risposta n.7: “non ci sono più i legami comunitari”, ovvero siamo tutti individui isolati che in quanto tali non riescono a lottare. Anche qui, c'è una verità ma è parziale. Se è vero che le lotte contadine sopra ricordate erano basate su legami comunitari, è anche vero che in altri casi dei legami comunitari si può dire quanto detto sopra a proposito dei gruppi dirigenti: ovvero che essi si formano nel fuoco della lotta. Le lotte operaie della fine degli anni Sessanta in Italia mettevano assieme operai immigrati da varie regioni del sud e operai del nord che magari chiamavano i primi “terroni”: i legami non erano dati a priori, si sono formati sulla base della condivisione degli stessi problemi e sull'individuazione degli stessi nemici.


Risposta n.8: “la gente non capisce, sono argomenti difficili”, o più brutalmente, “la gente è stupida”: ovvero la gente (il popolo, la classe ecc.) non capisce i suoi propri interessi, non capisce come essi siano messi in pericolo dagli attuali ceti dirigenti. L'argomento “la gente non capisce” è facilmente confutato dal fatto che i contadini cinesi o francesi in rivolta non erano necessariamente degli esperti di politica o di economia. Insomma per ribellarsi non è necessario avere le idee chiare sulle dinamiche socioeconomiche. Quanto alla tesi più brutale “la gente è stupida” si tratta di una tesi che è difficile da discutere, per la sua indeterminatezza (cos'è la stupidità? Come si misura?).

In ogni caso, anche ammettendo questa “stupidità” (qualsiasi cosa ciò voglia dire) essa non sarebbe una spiegazione ma a sua volta un problema da risolvere. Perché la gente è diventata stupida, ammesso che lo sia? Sembra poi strano dire che la stragrande maggioranza della popolazione, formata da tutti coloro che hanno da rimetterci dalle attuali dinamiche sociali ed economiche (casalinghe e operai, pensionati e professori universitari, scrittori e droghieri) sia diventata stupida nella sua totalità. Se si va al fondo e si cerca di capire cosa si intenda con questa “stupidità”, si vede alla fine che, per chi dice che “la gente è stupida”, la motivazione principale è appunto il fatto che non si ribella. Ma allora dire che la gente non si ribella perché è stupida vuol dire che non si ribella perché non si ribella, e abbiamo una tautologia, non una spiegazione.


Questo è quanto mi sembra di poter dire. Come ho detto sopra, non ho risposte da dare. Ciascuna delle risposte indicate contiene qualche elemento di verità, ma nessuna mi sembra cogliere davvero il problema, e anche mettendole assieme non mi pare si guadagni molto. Chiudo suggerendo  che forse abbiamo bisogno di altri strumenti, diversi da quelli della politica e dell'economia, abituali per me e per gli altri autori di questo blog (e, probabilmente, per la maggioranza dei nostri lettori). Altri strumenti che possono essere: filosofia, antropologia, psicologia. Si accettano suggerimenti, anche e soprattutto di lettura.



giovedì 20 febbraio 2014

ecco la fretta del Renzi chi?


Scritto il  da  & archiviato in Politica.
Immaginerenzi
Matteo Renzi, forte dell’incoronazione di ben 136 voti della direzione Pd, in un minuto e mezzo ha fatto le scarpe a Letta e si è fiondato a Palazzo Chigi. Ma non è scattato sull’attenti al richiamo dell’inno nazionale, come qualcuno vuol farci credere. La verità è che ha fretta di gestire la prossima infornata di poltrone. A breve, infatti, dovranno essere assegnati i posti di comando nelle aziende chiave del Paese. Renzi, dopo aver scalato il Pd e il Governo, vuole prenderne il controllo per manovrare gli enormi interessi economici e finanziari in gioco. Per questo io dico che il neopremier è un cinico arrivista, un arrampicatore politico senza scrupoli. Ci dimostri che non è così: invece di occupare militarmente le poltrone, adotti una procedura trasparente per il rinnovo dei vertici dei più importanti gruppi d’Italia.

Nelle prossime settimane saranno decise le nuove nomine nei cda e nei collegi sindacali di Finmeccanica, Enav, Eni, Enel, Terna, Poste e tante altre aziende. Renzi non ha voluto lasciare a Letta questa abbuffata a base di stipendi, fondi, consulenze e appalti. Si tratta di circa 600 manager pubblici nei posti chiave per il tessuto produttivo e sociale del Paese: una “Camera dei deputati” ombra, con altrettanta influenza e potere. La distribuzione di poltrone è necessaria per creare la propria rete di consensi nel sottobosco dello Stato, con un sistema feudale di dominio. Lo sa l’ex premier, che ha assegnato ben 558 incarichi in 10 mesi, e lo sa il Presidente del Consiglio in pectore, che si appresta a ridisegnare la geopolitica del potere in Italia.
Le interferenze indebite dei partiti nella gestione delle risorse pubbliche rappresentano un vulnus enorme per il Paese. È necessario garantire la massima trasparenza nelle procedure di nomina, evitando ogni possibile conflitto di interessi con gli incarichi assegnati e rispettando criteri di professionalità, autorevolezza e terzietà. Per questo, il M5S propone che il rinnovo delle posizioni dirigenziali avvenga tramite un bando pubblico e che la procedura sia convalidata da un parere parlamentare. Invece di affidarsi all’usato sicuro della lottizzazione, Renzi può scegliere la nuova strada della trasparenza. Altrimenti avremo la prova che è riuscito a rottamare solo se stesso e che l’unico suo obiettivo è quello di accentrare il potere per saccheggiare le risorse economiche e produttive del Paese.

Gli Stati Uniti non demordono

Disordini in Venezuela
di alessandra_riccio
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Il quotidiano di Caracas El Nacional, intitolava nei giorni scorsi il suo editoriale “Cubanos go home” e dava la notizia che un contingente di “fucilieri”, addestrati a reprimere le manifestazioni di piazza “una specialità nella quale hanno dato prova di grande efficacia e crudeltà”, era partito dall’Avana con destinazione Caracas. Davvero una notizia sballata visto che a Cuba nei più di cinquanta anni di governo “castrista”, le manifestazioni di piazza represse da corpi speciali o no, non si sono mai viste. Comunque, la notizia serve ad acuire le tensioni che stanno attraversando il Venezuela nell’ultima settimana. A tanta distanza, non è facile capire come stanno veramente le cose, e non aiutano certo le documentazioni fotografiche sulle quali ormai sappiamo bene quanto sia facile falsificarle.
Il sito di Rebelión (http://www.rebelion.org/noticia.php?id=180977) dà conto di una serie di foto attribuite agli attuali disordini in Venezuela che invece sono state prese in tempi diversi in Siria, in Egitto, in Spagna e in Cile. E’ davvero utile dargli un’occhiata per capire che oggi come oggi non possiamo neanche più credere a quel che vedono i nostri occhi. Le notizie più recenti ci informano che Obama ha fatto appello al governo di Maduro perché rilasci tutte le persone detenute a seguito delle manifestazioni antigovernative di questa settimana. In quel “tutti”, immagino sia compreso il capo delle sommosse Leopoldo López, che si è appena consegnato alle autorità in una scenografia ben costruita, vestito di bianco e con un fiore in mano, accompagnato dai suoi seguaci e mostrandosi piangente nel momento del suo arresto. Non sembra la stessa persona che, durante il golpe contro Chávez del 2002, aveva fatto irruzione nella casa del ministro degli Interni e della Giustizia, Ramón Rodríguez Chacín, di sua moglie e dei sui figli di sei e nove anni e li aveva esposti alla rabbia popolare, arrestando il ministro ormai ridotto in cattive condizioni. In quell’epoca, López era ormai tornato dagli Stati Uniti dove la sua famiglia gli aveva consentito un’istruzione di primo ordine nell’esclusivo Kenyon College, molto stimato dalla CIA per come educa i suoi studenti. Ha poi frequentato la Kennedy School of Governement presso l’Università di Harvard. Tornato in patria, López entra in politica nel movimento Primero Justicia, oggi guidato da Henrique Capriles, sfidante di Maduro nelle ultime elezioni e oggi contrario ala politica avventuristica di Leopoldo López. Ha poi partecipato al golpe contro Chávez del 2002, si è fatto notare durante le proteste del 2004 nel Chacao di cui era sindaco e ha poi fondato un suo movimento, Voluntad Popular, e promuove le “Redes Populare”, finanziate dalla USAID. Il Tribunale Supremo di Giustizia lo ha condannato a sei anni di proibizione di occupare incarichi di elezione popolare dopo che si era liberato delle imputazioni che gli erano toccate dopo il caso del Ministro della Giustizia.
Oggi López, che ha guidato le violente manifestazioni dei giorni scorsi, si è consegnato alla giustizia dopo averlo annunciato in un video e facendosi ritrarre di bianco vestito, con un fiore in mano e le lacrime agli occhi.

mercoledì 19 febbraio 2014

I ricchi per difendere i soldi hanno e continueranno sempre ad uccidere

Finalmente! L'atteso ritorno del nemico principale.
Considerazione politiche e filosofiche
di Costanzo Preve

"Nella prima metà del novecento (ed in particolare nel periodo 1919-1945) la risposta su chi è il
nemico principale del pensatore pio e politicamente corretto non sarebbe più stata l’assolutismo
monarchico anti-costituzionale, ma sarebbe stata: il nemico principale è il Fascismo, e cioè il
Male Assoluto (anche se allora questo termine religioso non si usava ancora, essendo del tutto
posteriore al 1990, e cioè in un’epoca caratterizzata dall’Antifascismo rituale e cerimoniale in
completa e conclamata assenza di fascismo). Questo richiede, ovviamente, una discussione
teorica e politica a tutto campo.

In questa sede non c’è lo spazio, e neppure la necessità, di discutere ancora una volta sulla natura politica e sociale del fascismo europeo 1919-1945, e sulle differenze e concordanze fra il caso italiano (Mussolini), tedesco (Hitler), spagnolo (Franco), eccetera. Il solo aspetto del problema veramente rilevante e decisivo sta nel fatto che il fascismo è irreversibilmente finito nel 1945, e dopo non è mai più esistito. I cosiddetti fascismi storici sopravvissuti alla sconfitta militare del 1945 perché “tenutisi fuori” dalla seconda guerra mondiale (Spagna e Portogallo), a partire dal 1947 non hanno più nulla a che vedere con il fascismo propriamente detto, perché sono stati incorporati con un ruolo subalterno all’interno della alleanza occidentale “liberale”. In quanto al kemalismo turco, alla dittatura dei colonnelli greci 1967-1974 ed al cileno Pinochet (1973), tutti questi regimi, e decine di altri ancora, non hanno assolutamente nulla a che fare con il fascismo storico, e vengono “battezzati” così per ragioni del tutto ideologiche, e non certamente storiche.

E allora, perché dopo il 1945 è stato mantenuto, ed anzi sempre più accresciuto mano a mano che ci si allontanava dal 1945, un Antifascismo rituale, sacrale e cerimoniale in assenza palese,
completa e totale dal fascismo? Si tratta di uno dei problemi di filosofia politica più importanti in senso assoluto del novecento, e qui non potrò che accennarne rapidamente. Primo, il liberalismo capitalistico è una delle forme più amorali, immorali ed oscene della convivenza umana, dal momento che ha come unico parametro di riconoscimento sociale la ricchezza privata, ed allora ha bisogno di una serie di ideologie di legittimazione etica integrativa, la principale delle quali in Europa Occidentale è stata storicamente quella degli “immortali valori dell’antifascismo”. Lo stesso movimento comunista in Europa Occidentale li ha adottati come riferimento ideologico fondamentale, non accorgendosi che in questo modo segava lo stesso ramo in cui era seduto, perché sarebbero bastati solo due o tre “passaggi ideologici” per far passare il comunismo come un totalitarismo, e quindi come un fascismo rosso, indistinguibile dal fascismo nero. Ma qui si ha un ennesimo esempio di un fattore dimenticato dal materialismo storico, e cioè il ruolo decisivo dell’imbecillità umana nella storia. Secondo, il mantenimento destoricizzato di un antifascismo in assenza totale di fascismo (defunto nel 1945) permetteva appunto la creazione di un clima culturale di destoricizzazione integrale, adatto alla natura nichilistica ed astorica del dominio capitalistico realizzato. Ridotto il fascismo ad una sorta di maschera multiuso si poteva applicarla a chi si voleva. In Italia la maschera di “fascismo” fu volta a volta applicata a De Gasperi, Scelba, Andreotti, Fanfani, Craxi, Berlusconi, eccetera, ma il vero inizio di questa tecnica fu Nasser, chiamato “fascista” perché antisionista, cui seguirono poi personaggi a piacere (Milosevic, Saddam Hussein, i generali birmani e sudanesi, eccetera). Chi, pur coltivando onorevoli sentimenti politici antifascisti retroattivi (come è del resto il mio stesso caso) non ha ancora capito il ruolo ideologico di mistificazione e di oscuramento attuale del Fascismo come Male Assoluto (1) e come Nemico Principale (2) dovrebbe essere sconsigliato di occuparsi di storia e di politica, dal momento che ci sono argomenti interessantissimi nel meraviglioso mondo della natura.

Per coloro che non si fanno acchiappare dai nemici principali dell’assolutismo, del fascismo, del fondamentalismo religioso, eccetera, e che richiedono pietanze simbolicamente più sostanziose, il nemico principale è oggi il Violatore dei Diritti Umani, da portare possibilmente in giudizio, modello Norimberga. C’è però un piccolo particolare, e cioè che, in assenza di un’univoca sentenza divina  erga omnes, chi decide quali siano i diritti umani violati non sono giudici imparziali venuti da altri pianeti, ma sono le parti in causa più potentemente armate. E quindi gli USA nel 1999 (Kosovo) e nel 2003 (Iraq) non hanno violato i diritti umani, anche se è palese che hanno invaso ed assassinato in base a menzogne totali (un’inesistente genocidio nel 1999, un’inesistente presenza di armi di distruzione di massa nel 2003), mentre invece i capi di stati piccoli e militarmente deboli lo hanno fatto (Serbia, Iran, Birmania, Sudan, Corea del Nord, eccetera). Ora la cosa è talmente oscena e vergognosa che soltanto una condizione di
sottomissione morale e culturale può spiegarla, e questo verrà discusso più ampiamente nel nono capitolo.

Il liberalismo resta quindi il nemico principale. Questo non significa, ovviamente, che alcuni
suoi “valori” promossi nella prima fase della sua storia (libertà di opinione, di stampa, di
religione, eccetera) non siano tuttora buoni, e non meritino di essere conservati, sviluppati, difesi e tutelati. Ma quando si parla oggi di critica al liberalismo non si intende affermare l’irrilevanza di questi ”valori”, che peraltro si concretizzano sempre e soltanto in forme oligarchiche (pensiamo a Sky-Tv, Fox-Tv, eccetera). Si intende invece l’attuale involucro politico della forma attuale di dominio capitalistico della società di mercato integrale. È questo il nemico principale.
Tutti gli altri, ammesso che ci siano, sono del tutto secondari".


la demagogia del Pd può funzionare in Italia ma non in Europa



L’EUROZONA HA GIA’ UCCISO IL GOVERNO RENZI di Paolo Barnard


Pubblico oggi un articolo comparso nel blog di Paolo Barnard, ripreso da ComeDonChisciotte, Arianna e molti altri. Un articolo sull’avvento del pericoloso buffone piddino Renzi, che dovrà fare i conti con i “vincoli europei”, a partire dalla moneta, dal deficit e dal debito. Le osservazioni macroeconomiche e sociali di Barnard sono condivisibili, e così le sue proiezioni per il futuro. Per quanto mi riguarda, Renzi non può non essere consapevole di tutte le implicazioni che questi vincolo-capestro comportano, sul piano socioeconomico. Sa che dovrà fare il “rottamatore” del paese e il tagliagole interno, massacrando il popolo italiano. Credo che sia perfettamente lucido, nonché consapevole di tutto questo. Nonostante l’immagine mediatica che i collaborazionisti europoidi hanno creato, Renzi non potrà non rivelare, stando al governo, il suo vero volto di tagliagole. Così in tantissimi, fin troppi, capiranno cosa sono veramente il pd e la sinistra e quali interessi rappresentano.
Link per l’articolo originale: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=778
L’EUROZONA HA GIA’ UCCISO IL GOVERNO RENZI.
Tragica cosa per le persone di questo Paese, non per sto egocentrico servo della finanza europea. Renzi fallirà come un cretino qualsiasi. Perché neppure può provarci.
Non sto provocando, è che la sua è una missione impossibile. Se non fosse sto pupazzo pompato che è, se conoscesse l’Eurozona e la macroeconomia, non si sarebbe cacciato in questo pasticcio (e badate che sto dicendo che pure i suoi padroni speculatori ci smeneranno il muso, perché sto gioco di creare una moneta unica per distruggere mezza Europa e fare un gran banchetto si è già ritorto contro chi l’ha pensato. Gli speculatori ci hanno fatto un po’ di fortune per pochi anni, ma sta finendo).
NO SOVRANITA’ MONETARIA.
Per prima cosa Renzi si ritrova senza sovranità monetaria, quindi senza nessuna delle leve economiche fondamentali di cui deve godere un governo degno di questo nome, e di cui godono gli USA, la GB, la Svezia o il Giappone. Non ha una Banca Centrale che possa controllare inflazione, prezzo del denaro, tassi d’interesse, né monetizzare la spesa decisa dal Parlamento. Renzi non possiede una moneta, e deve usare gli euro, da restituire con tassi non decisi da lui ai mercati di capitali internazionali. Dovrà dunque tassarci a morte sempre, per fare quanto appena detto. Dovrà quindi mentire all’Italia fingendo col gioco delle tre carte di spostare fondi e investimenti essenziali (lavoro, infrastrutture, crescita…) da qui a lì, per poi rimangiarseli tutti con gli interessi. Dovrà rispettare il Pareggio di Bilancio, che peggiora ciò che ho appena scritto. Ovvero: Chemiotassazione garantita, impossibilità di investire per le aziende e tagli alla spesa. Qui abbiamo la garanzia della decapitazione di: speranze di posti di lavoro; salari; pensioni; modernizzazione del Paese; Sanità; risparmi privati; piano industriale; risanamento bancario; crescita del PIL; e domanda aggregata. Potrei finire qui, ce n’è già a sufficienza, ma purtroppo…
I DEFICIT NEGATIVI.
Renzi si ritroverà in una spirale di Deficit Negativi mortali, cioè di tutte quelle spese di Stato imposte dalla crisi dell’Eurozona ma che non risolvono nulla, non producono nulla e che aumentano il debito di Stato. Per prima cosa l’economia continuerà a contrarsi, come è già previsto per l’Italia dal FMI, Bloomberg, OCSE, Commissione UE, e quindi calerà sempre il gettito fiscale, che quindi va a ingrandire il debito. L’economia impantanata significa che il miliardo di ore di cassa integrazione rimarranno e aumenteranno, pompando di nuovo il debito. I fallimenti aziendali non caleranno, la curva dei prestiti bancari insolventi aumenterà, e le banche italiane che già sono in parte fallite, dovranno essere ri-salvate, a suon di denaro pubblico, e ancora il debito sale. Assieme ad esso salgono gli interessi da pagare, sempre spesa di Stato, ancora più debito. Ma stando in Eurozona, un debito che lievita è grave (con la Lira non lo sarebbe) perché porta all’allarme delle agenzie di rating, che porta all’allarme dei mercati di capitali che prestano a Renzi gli euro, che porta a tassi più alti sui titoli di Stato, che porta a più debito. Che farà Draghi a sto punto? Si metterà a comprarci i titoli di Stato per far scendere i nostri tassi? Farà cioè la famosa Outright Monetary Transaction? Se lo fa, la Germania lo ammazza. Non lo farà. Renzi rimane nel letame.
NO CRESCITA E DEFLAZIONE.
Renzi si ritrova con un’economia che si è contratta del 18% dalla fine degli anni ’90. Per riportarci a quel livello di vita, dovrebbe riuscire a far crescere l’Italia del 20%. No, calma, visto che oggi cresciamo dello 0,1% se va bene…. Il 20% fa ridere. Renzi non è Roosevelt e non ha la sua testa. Poi abbiamo il problema della deflazione che sta aggredendo tutta l’Eurozona, con la BCE disperata perché non sa più che fare per fermare il crollo dei prezzi (deflazione = contrario di inflazione). E quel che è peggio, è che in un clima di crisi di queste proporzioni la gente corre a risparmiare disperatamente per il timore del domani (mica scemi), ma questo sottrae denaro in circolo, cosa che non solo affama tutta l’economia, ma peggiora la deflazione stessa. Vorrei che capiste che questo è uno dei mali economici peggiori e che c’è tutta la tecnocrazia europea che non sa più come fermarlo. Immaginatevi Renzi, il bulletto del PD.
CROLLO BANCHE.
Renzi, poi, fra otto mesi si ritroverà l’implosione del sistema creditizio europeo, quando i test dei regolamentatori dell’EBA inevitabilmente mostreranno che alcune delle maggiori banche sono irrecuperabili. Da qui il terremoto delle piccole medio banche, fra cui quelle italiane sono quelle messe peggio d’Europa sia come buchi di bilancio che come capitale di copertura. Prometeia stima che solo per i prestiti insolventi le banche italiane siano scoperte per 150 miliardi di euro. E chi le salva? E con che soldi? No, Renzi, la sovranità monetaria non ce l’hai, non le puoi nazionalizzare. Che fai? Chiami Benigni?
SVENDITA PUBBLICA INUTILE.
Ma Renzi almeno ha la carta delle privatizzazioni… Vendi il vendibile, incassa l’incassabile. Funziona? No. Non ha funzionato in nessun Paese del mondo, meno che meno da noi quando proprio il centro sinistra si mise negli anni ’90 a svendere pezzi di beni di Stato a un ritmo talmente forsennato che fece il record europeo delle privatizzazioni nel 1999. Sapete di quanto ridussero il debito di Stato italiano? Di un maestoso 8%… E che allora i prezzi contrattati per i beni pubblici da alienare erano, circa, decenti. Oggi, con l’Italia sprofondata dall’Eurozona in una svalutazione della sua economia da piangere, Roma deve svendere a prezzi stracciati qualsiasi cosa offra, con margini che saranno patetici. Renzi, farà la Thatcher dei poveri.
DISOCCUPAZIONE
E la disoccupazione? Sapete cosa costa all’Italia avere il 12% (fasullo, è molto di più) di disoccupati? Trecentosessanta miliardi all’anno perduti. E i giovani? Il 76% di loro è costretto alla flessibilità, con limiti invalicabili all’acquisto di una casa o al matrimonio. L’Eurozona fu pensata ed edificata proprio per ridurre il sud Europa a un serbatoio di lavoratori pagati alla kosovara ma in strutture moderne. Il futuro di questo ragazzi è ormai certo: stipendi dai 600 agli 800 euro per i più qualificati, al lavoro per investitori stranieri. Questo non è più un Economicidio, è un olocausto economico e generazionale, che Renzi dovrà gestire sotto l’egida della Germania che già oggi sta affossando il resto d’Europa coi suoi diktat criminosi. Tradotto in termini specifici: il potere Neomercantile della mega-industria tedesca, quello della Bundesbank, quello dei maggiori speculatori-rentiers del mondo, contro Renzino da Firenze. Matteo tu fai fesso qualcun altro. Perché è vero che ignori il 70% di tutto questo, ma sul restante 30% sei pienamente d’accordo, da bravo leader del partito di destra finanziaria peggiore d’Italia, il PD.
CONCLUSIONE.
Renzi non si rende conto di cosa lo aspetta, ma soprattutto del fatto che la catastrofe dell’economia italiana è un MACROPROBLEMA STRUTTURALE nell’Eurozona, e finché esisteranno i parametri economicidi dell’euro non esiste salvezza. Il governo Renzi è morto prima di nascere. Poi, sapete, uno si stufa di scrivere sempre le stesse cose.

niente fiducia a questa classe dirigente che sperpera i soldi pubblici

F-35, rapporto accusa ministero Difesa: “Ha comprato di nascosto 14 aerei”

La campagna "Taglia le ali alle armi" lancia la sua 'operazione verità' sui cacciabombardieri e, date e cifre alla mano, accusa Mario Mauro di aver "aggirato le prescrizioni del Parlamento" e di avere acquistato altri aerei, nonostante le mozioni votate a metà 2013 che imponevano la sospensione degli ordini

F-35, rapporto accusa ministero Difesa: “Ha comprato di nascosto 14 aerei”
L’ombra degli F35 si allunga sulla nascita del governo Renzi. In attesa di capire chi finirà a guidare la Difesa (in lizza ci sono Roberta Pinotti, Federica Mogherini e Arturo Parisi), la campagna “Taglia le ali alle armi”, promossa da Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della Pace, lancia la sua ‘operazione verità’ sui cacciabombardieri della discordia e, date e cifre alla mano, muove una grave accusa al ministro Mario Mauro: aver “aggirato le prescrizioni del Parlamento” procedendo di nascosto all’acquisto di quattordici dei costosissimi aerei da guerra americani, nonostante le mozioni votate a metà 2013 che imponevano la sospensione degli ordini.
Nel rapporto “F35, la verità oltre l’opacità“, presentato a Roma dai pacifisti, è spiegato nel dettaglio come lo scorso autunno (27 settembre) la Difesa, “non informando correttamente il Parlamento” e sfruttando surrettiziamente “la pratica dei pre-accordi non vincolanti”, abbia non solo completato l’acquisto dei primi tre aerei, ma abbia anche confermato definitivamente l’ordine per ulteriori tre velivoli. “Non contento di una scelta già grave”, prosegue il rapporto, il ministero della Difesa “pochissimi giorni dopo l’approvazione delle mozioni” (il 18 luglio 2013) ha avviato da zero una nuova tornata di ordini versando anticipi per ulteriori otto F35. “Un precedente grave – secondo i promotori della campagna – che rischia di compromettere qualsiasi controllo parlamentare sul programma F35 e un meccanismo che forse si cercherà di mettere in moto anche nelle prossime settimane”.
Il riferimento è alle insistenti voci di un ordine definitivo che starebbe per essere firmato per due di questi ulteriori otto aerei proprio in questi giorni: “Un’azione che chiediamo ai parlamentari di fermare con decisione presentando documenti che possano vincolare il governo a un effettivo stop o cancellazione della partecipazione al programma Joint Strike Fighter“. Oltre a non informare il Parlamento degli acquisti – denuncia il rapporto – la Difesa italiana, al contrario di quella statunitense, tace sui “gravi problemi tecnici” degli F35 che “portano a continui abbassamenti anche degli standard operativi, tali da mettere in dubbio il raggiungimento di quelle capacità militari che hanno spinto le forze armate di molti paesi ad imbarcarsi nel programma”.
Per non parlare della tendenziosa sovrastima fornita riguardo alle ricadute occupazionali: “Fonti della Difesa ed esponenti politici in Parlamento continuano a rilanciare i 10mila posti di lavoro (i vertici di SegreDifesa sono passati a 6mila) non considerando che la stessa industria (Finmeccanica) è passata da una stima di 3-4mila addetti ad una più realistica di circa 2.500 (vicina a stime sindacali) e parla di 5mila addetti solo se riferiti a una fase successiva alla produzione industriale: manutenzione e alle altre attività tecniche che accompagneranno la vita operativa degli aerei.
Secondo Analisi Difesa per la fase produttiva probabilmente valgono ancora i dati di un recente documento riservato di Alenia Aermacchi secondo cui a Cameri almeno fino al 2018 il totale degli addetti tecnici e impiegatizi non raggiungerà le 600 unità”. Lo stesso dicasi per i ritorni economici, su cui la Difesa e i vertici militari hanno sempre fornito previsioni e stime mirabolanti: “Anche nella migliore delle ipotesi – si legge nel rapporto – siamo di fronte a un ritorno di meno di 700 milioni di euro a fronte di una spesa già effettuata di almeno 3,4 miliardi di euro (fasi di sviluppo + primi acquisti) con un ritorno quindi pari a circa il 19 per cento”. Qui si arriva all’altro spinoso argomento: quello dei costi dei contratti finora sottoscritti per i primi F35.
“La Difesa ha sempre cercato di diffondere notizie tranquillizzanti relativamente ai costi di acquisto dei caccia, riferendo anche in sedi ufficiali (audizioni presso Commissioni parlamentari con documenti annessi) stime non aggiornate o costi di sola produzione base, incapaci quindi di dare conto dell’effettivo costo per le casse dello Stato di ogni singolo velivolo. L’opacità nelle comunicazioni non ha poi permesso un accesso diretto ai dati contrattuali del programma tramite le strutture del nostro Ministero della Difesa, ma grazie ai dati recuperabili da fonti ufficiali del Dipartimento della Difesa statunitense si può a questo punto della partecipazione italiana programma definire già un primo consuntivo di costi per gli aerei acquisiti: nel triennio 2011-2013, ovvero nella fase più acuta della crisi, l’Italia ha sottoscritto contratti di acquisto relativi a velivoli F-35 per complessivi 735 milioni di euro (di cui 480 solo nell’anno 2013).
In mancanza di una revisione del proprio impegno – si legge nel rapporto – il governo italiano impegnerà nel triennio 2014-2016 quasi 2 miliardi di euro per l’acquisto di altri 8 F35, in media 650 milioni l’anno. Parallelamente, solo per fare un confronto esemplare, secondo quanto previsto dalla Legge di stabilità 2014, gli stanziamenti per il Servizio sanitario nazionale subiranno un taglio di 1 miliardo e 150 milioni di euro negli anni 2015-2016″. Seguono altri numeri e altri confronti esemplari. “La nostra stima di costo medio finale per un F-35 si attesta sui 135 milioni di euro. Con questa cifra si potrebbero assumere 5.400 ricercatori per un anno, oppure si potrebbero costruire 405 nuovi asili per 12.500 bambini creando 3.645 nuovi posti di lavoro, o ancora si potrebbero mettere in sicurezza 135 scuole o acquistare 21 treni per pendolari con 12.600 posti a sedere. Gli oltre 14 miliardi complessivi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri (che diventano almeno 52 miliardi per l’intera gestione del programma) potrebbero essere spesi molto meglio: ciascuna componente acquistata di un F-35 sottrae le risorse necessarie per affrontare le vere priorità del Paese, quelle con le quali i giovani, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione, gli abitanti di territori abbandonati all’incuria si confrontano ogni giorno”.
Il rapporto della campagna “Taglia le ali alle armi” non può che concludersi con la richiesta di rinunciare agli F35. Una richiesta considerata non utopistica, bensì in linea con le decisioni già prese dai governi di altri Paesi alleati: “Il Canada ha azzerato (soprattutto in ragione dei costi esplosi rispetto alle previsioni) la propria partecipazione facendo ripartire la gara d’appalto per la fornitura di caccia alla propria Aeronautica Militare, i Paesi Bassi hanno confermato solo 37 degli 85 velivoli inizialmente previsti e recentemente la Gran Bretagna ha definito l’acquisto di soli 14 velivoli in versione B – con l’esorbitante costo di 2,5 miliardi di sterline – sui 48 in attesa di conferma entro il 2015″. Ora vediamo cosa deciderà l’Italia guidata dal nuovo governo Renzi che, giova ricordarlo, durante la campagna per le primarie del Pd aveva dichiarato: “Gli F35 sono soldi buttati via, io sono per il dimezzamento”.

FRONTE UNICO PER USCIRE DALL'EURO


Fuori dall'euro: le motivazioni dell'economista Claudio Borghi spiegate a Matteo Salvini

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Sabato 22 febbraio a Milano Matteo Salvini chiederà a Claudio Borghi di illustrare le sue idee sull'euro

Sarà a Milano, il prossimo 22 febbraio alle ore 15, presso la sala congressi di via Corridoni 16, la nuova tappa del tour ''Basta Euro: come uscire dall'incubo'', con l'on. Matteo Salvini e l'economista Claudio Borghi Aquilini. Durante questa serie di convegni sarà presentato un manuale con 31 domande comuni sull' Euro e sugli effetti dell'uscita dalla moneta unica, e le 31 risposte date dall'economista.
Una prima tappa di presentazione del manuale Basta Euro è stata domenica 16 febbraio a Firenze e ha avuto un ottimo successo.
Il manuale spiega ai non addetti le posizioni anti Euro della Lega Nord, che si basano sulle opinioni di un emerito scienziato, chiaramente non allineato alle grandi potenze e ai grandi interessi economici, che affronta l'argomento in modo semplice e diretto illustrando, oltre ai danni che la moneta unica con il cambio sfavorevole ha portato alla nostra economia, anche i modi con cui si può uscire da questo incubo e ritornare ad avere una moneta locale senza che vi siano grandi stravolgenti, se non quelli dipendenti da un miglioramento delle condizioni economiche.
Alla fine del convegno il pubblico potrà rivolgere delle domande all'economista e all'europarlamentare che risponderanno, chiarendo dubbi e perplessità sulle teorie economiche che sostengono la tesi della fine dell' Euro.
Di fatto non si può fare a meno di notare che il paese più vicino a noi che non usa l'euro come moneta è la Svizzera, con cui si confina, e che è anche uno dei paesi più ricchi e economicamente stabili d'Europa. Pur non essendo la moneta ufficiale, l'euro circola liberamente in Svizzera; sono molti i negozi che lo accettano e le aziende che lo usano per gli scambi commerciali, ma che ogni bene e ogni servizio ha un doppio prezzo: uno espresso in franchi svizzeri e uno diverso, dovuto al cambio attuale espresso in euro. In questo modo, la nazione Svizzera ha il controllo su cambio esterno e può tranquillamente proteggere la sua economia interna dalle ingerenze e dalla concorrenza da parte di altri paesi. Il manuale con le domande di Matteo Salvini a Claudio Borghi Aquilini sarà a disposizione di chi sarà presente al convegno Basta Euro.
La prossima tappa del tour Basta Euro è prevista a Padova.

http://www.diggita.it/v.php?id=1324950&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

martedì 18 febbraio 2014

300 miliardi, 300 miliardi di titoli tossici nelle banche italiane, vogliono che il debito sia accollato agli italiani

CREDITO DETERIORATO
Bad bank, maxi deposito da 300 miliardi
di La Redazione di EconomiaWeb.it
La proposta  Visco (Bankitalia): unire tutte le sofferenze. Il Governo: timori per il rating. Ghizzoni (Unicredit): più utile per banche piccole.

Ignazio Visco
Un ‘deposito’ per oltre 300 miliardi di crediti deteriorati, che non convincerebbe Palazzo Chigi. L’ipotesi di una bad bank di sistema ventilata dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco all’Assiom-Forex, secondo il Financial Times, che cita fonti di governo, non troverebbe sponda nel premier Enrico Letta.
Secondo le fonti citate dal quotidiano infatti «l’idea di una bad bank potrebbe essere controproducente per l’Italia» e il timore sarebbe quello di «accelerare il processo di un downgrade da parte delle agenzie di rating nei prossimi mesi».
INTESA E UNICREDIT STUDIANO IL PIANO. Il dibattito sulla creazione di una bad bank italiana per i crediti deteriorati delle banche che zavorrano i bilanci e non permettono di far ripartire il flusso del credito, è partito da giorni. Anzi: è più che partito considerando che Intesa e Unicredit hanno già allo studio, con il fondo statunitense Kkr, un veicolo ‘privato’ di questo genere.
La novità, semmai, è proprio il lancio da parte di Visco di un’ipotesi, “ambiziosa”, di una bad bank di sistema. Le iniziative private, ha detto il governatore, “vanno nella giusta direzione. Interventi quali quelli in corso presso alcune banche, volti a razionalizzare la gestione dei crediti deteriorati con la creazione di strutture dedicate in grado di aumentare l’efficienza delle procedure e la trasparenza di questi attivi”.
IL RAPPORTO SOFFERENZE IMPIEGHI E’ PASSATO DA 0,86% A 4%. Progetti “più ambiziosi” sono comunque “da valutare anche nella loro compatibilità con l’ordinamento europeo e non sono da escludere, possono consentire di liberare a costi contenuti risorse da utilizzare per il finanziamento dell’economia”. Il totale dei crediti deteriorati (sofferenze, incagli ristrutturati e scaduti) e’ oltre 300 miliardi, soglia toccata a giugno 2013. Le sole sofferenze lorde a novembre hanno raggiunto i 149,6 miliardi (di cui 100 verso le imprese e 31 verso le famiglie). Quelle nette 75,6. Due anni fa erano rispettivamente 50 e 100 miliardi. Il rapporto sofferenze/impieghi e’ oltre il 4%: era 0,86% prima della crisi. Solo a fine anno il flusso delle nuove sofferenze ha iniziato a calare.
IPOTESI DI ACQUISTO DA PARTE DELLA BCE. Questo lo scenario delle cifre. E se il dibattito entra nel vivo, con le differenziazioni fra istituti maggiori e piccoli, c’è anche chi, come gli economisti Alberto Alesina a Francesco Giavazzi, ipotizzano strade diverse, che magari procurerebbero qualche ‘prurito’ dalle parti di Berlino. Si potrebbe – affermano infatti in un editoriale sul ‘Corriere della Sera’ – far acquistare dalla Bce un po’ dei prestiti che le banche hanno fatto alle imprese: “in questo modo alleggerirebbe i loro bilanci e farebbe ripartire il credito”.
INSORGONO LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI. Immediato anche l’intervento, nel dibattito, delle associazioni dei consumatori, da cui già partono i primi ‘siluri’. «Le dichiarazioni del Governatore Visco, sulla ‘Banca d’Italia che guarda in modo positivo alle iniziative in corso da parte delle banche, le cosiddette bad bank, per liberarsi del fardello dei crediti in sofferenza che frenano la concessione del credito e non esclude una iniziativa di sistema», dicono Adusbef e Federconsumatori – confermano i legittimi sospetti, circolati nei giorni scorsi perfino in bozza, con il Governo pronto a presentare proposte per addossare ai contribuenti e risparmiatori, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, il fardello di 135 miliardi di sofferenze, per i restyling di bilancio».
GHIZZONI (UNICREDIT) UTILE PER LE PICCOLE, NON PER NOI. Una bad bank potrebbe essere piu’ utile per le banche medie e non per banche come Unicredit che «può e deve risolversi i suoi problemi da sola». Lo ha detto l’ad dell’istituto di credito Federico Ghizzoni ai giornalisti. «A meno non ci venga offerto qualcosa di veramente interessante noi andiamo avanti per la nostra strada”, ha affermato, spiegando di non ritenere che, quando ne ha accennato al Forez, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco avesse in mente un intervento pubblico quanto una cooperazione fra banche.
TESORO: SI’ ALLE BAD BANK SENZA RISORSE PUBBLICHE. Il Tesoro ”valuta positivamente iniziative anche di natura consortile di operatori di settore” a proposito di ipotesi di bad bank nel comparto bancario “ma ritiene che a tale scopo non sia necessario l’impiego di risorse pubbliche nazionali o comunitarie”. Lo si legge in una nota del ministero dell’Economia. Nel comunicato il Ministero dell’Economia e delle Finanze afferma di guardare “con favore a tutte le iniziative che gli operatori del credito e della finanza stanno mettendo in campo per alleggerire il proprio patrimonio dai prestiti deteriorati, liberando così capitale da impiegare a sostegno delle imprese e dei consumi” In Italia questo settore, rileva, può beneficiare delle innovazioni rese possibili da pratiche già diffuse in altri paesi e per le quali esiste una consistente esperienza presso diversi operatori internazionali, tra i quali il ministro Saccomanni ha raccolto manifestazioni d’interesse per il mercato italiano, anche durante le sue visite ai mercati finanziari di Londra e New York.
Per il Tesoro “su questa stessa linea si è espresso recentemente anche il Governatore della Banca d’Italia, il quale ha auspicato un’evoluzione del settore nella direzione di una razionalizzazione della gestione dei crediti, attraverso maggiore efficienza delle procedure e trasparenza negli attivi. Il Governatore ha anche ricordato che interventi più ambiziosi sono possibili”. Il Governo – conclude la nota – contribuisce con la propria azione a rimuovere le cause della stretta creditizia anche attraverso fondi di garanzia e veicoli di sostegno degli investimenti – quali la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e il Fondo Italiano d’Investimento (Fii) – e valuta positivamente iniziative anche di natura consortile di operatori di settore ma ritiene che a tale scopo non sia necessario l’impiego di risorse pubbliche nazionali o comunitarie”.

lunedì 17 febbraio 2014

la vergogna della procura di Torino: terrorismo di stato

Lettera familiari arrestati Chiomonte: “Ci rivolgiamo ai giornali, agli intellettuali, alla società intera”

“Questa lettera è stata scritta dai familiari di Chiara, Claudio, Matteo e Niccolò, arrestati il 9 dicembre con l’accusa, ancora da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte”
no-tavDi seguito riportiamo la mail inviata alla nostra Redazione (redazione@cronacatorino.it), riguardante gli arresti del 9 dicembre 2013, eseguiti il 9 dicembre 2013 nei confronti di 4 giovani, dopo l’assalto al cantiere di Chiomonte. La mail è stata scritta dai familiari dei 4 ragazzi:

“Questa lettera è stata scritta dai familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.

In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, ancora da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte.

In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché in quel “contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo d’immagine.

L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario, quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze, e di recente quelle in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione.

Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?

Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile, in una democrazia. Se vincesse questa linea, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.
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Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari, ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla Procura protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro tra loro e in alcuni casi l’isolamento totale, perché sono “pericolosi”, grazie ad un’interpretazione giudiziaria, che non trova riscontro nei fatti .”

Questa lettera si rivolge: Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trovino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, ha danneggiato una macchina o era presente quando è stato fatto.

Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.

Alla Società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi. Grazie”