L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 10 maggio 2014

Fronte Unico per Uscire dall'Euro è il primo mattone per rompere i rapporti di produzione del Capitalismo

Sovranità e (è) lotta di classe?



di Rodolfo Monacelli
Nel variegato mondo “sovranista” italiano c’è un grande assente: la lotta di classe. Una precisazione è d’obbligo: in quest’articolo non leggerete affermazioni politicamente corrette della serie “il problema non è l’euro, ma il capitalismo”, tipiche di una certa sinistra ormai in svendita. Al contrario, l’autore di quest’articolo ritiene che il problema sia “l’euro come strumento del capitalismo”. Proprio per questo, pensiamo però che l’assenza nel dibattito sovranista della lotta di classe (con chi? come esercitarla? eccetera) sia un grave errore di analisi e che rischia di andare a rimorchio dei “gattopardi no-euro e dell’ipocrisia interclassista” (cit. Emiliano Brancaccio).
Intendiamoci: quando parliamo di lotta di classe non vogliamo rifarci a nostalgie ottocentesche e operaiste, ma cercare di analizzare se e come la lotta per la sovranità (politica, monetaria, economica) vada integrata, e come, con una lotta di classe adatta a questi tempi storici.
Prima di iniziare, però, e per comprendere come e in che modo la lotta di classe sia oggi necessaria, bisogna distinguere tra il concetto di modo di produzione capitalistico secondo Marx e il concetto di società capitalistica, come si è delineata nell’attuale momento storico. Il primo è un processo storico dialettico, caratterizzato da salti qualitativi: conseguentemente, se si condivide questa valutazione, non è possibile identificare i concetti di borghesia e proletariatocome concetti fissi e immutabili, ma vanno inseriti all’interno di un mondo storico, artistico, letterario, filosofico. Per questo, cambiato ormai irrimediabilmente il mondo, le categorie di borghesia e proletariato – che sono classi polarmente complementari, in cui l’una non può esistere senza l’altra – non sono più sufficienti per interpretare l’attuale società capitalistica globalizzata fondata sulla «mercificazione universale dei beni e servizi, per cui oggi sono mercificati beni e servizi che la borghesia classica intendeva invece preservare dalla sua stessa attività mercificante. I marxisti sciocchi e superficiali naturalmente non capiscono questa distinzione elementare, e continuano a definire “forze conservatrici” le forze economiche e politiche capitaliste, laddove ovviamente è il contrario. Esse non ‘conservano’ proprio nulla». (Costanzo Preve, Marx inattuale, p. 184).
Chi scrive ritiene che, per evitare le semplificazioni interclassiste a cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, le categorie da utilizzare nell’attuale momento storico siano, invece, quelle dei dominanti e dei dominati, cioè gli «agenti storici attivi e passivi della riproduzione sociale complessiva del modo di produzione capitalistica» (Costanzo Preve, La crisi culturale della terza età del capitalismo. Dominati e dominanti nel tempo della crisi del senso e della prospettiva storica, Petite Plaisance, 2010).
Di conseguenza, quali sono i settori sociali nostri interlocutori, quale il “blocco storico” a cui riferirsi e, soprattutto, come inquadrare la lotta di classe all’interno di una battaglia sovranista? Prima di tutto è necessario essere onesti, soprattutto con sé stessi. Siamo vicini a una nuova rivoluzione, a un nuovo 1917 (costruzione del partito comunista del proletariato e dei contadini)? Non lo crediamo, almeno nel breve periodo. Riteniamo, invece, che la polarizzazione estrema verso un polo oligarchico-capitalistico da un lato, e un immenso e politicamente espropriato “Terzo Stato” dall’altro (composto da lavoratori dipendenti, precari, piccoli commercianti e imprenditori, abbandonati all’insicurezza della vita e al lavoro sottopagato, flessibile e precario) porti più credibilmente verso un nuovo 1789 (unificazione di un nuovo Terzo Stato).
Per fare questo, però, la sinistra dovrebbe operare un “riorientamento gestaltico” o, più semplicemente, una riflessione teorica e politica sulla propria azione politica. Come bene ha scritto ultimamente Moreno Pasquinelli:
«Cos’è che abbiamo non solo intravisto, ma toccato con mano? Che lo sfascio del tessuto sociale ha generato un’ampia e magmatica zona di emarginazione e di esclusione; che in questa zona si sono depositati brandelli delle più diverse classi sociali; che essa ribolle ed è sul punto di eruttare fragorosamente; che il collante decisivo che tiene unito l’insieme caotico è l’odio per la casta politica e i ricchi, ma perché hanno fatto strame della giustizia sociale, della democrazia, della sovranità nazionale. A sinistra ha prevalso il disprezzo: l’odio per la casta è stato bollato come qualunquismo, la richiesta di giustizia sociale come populismo. Peggio ancora è andata con la richiesta diffusa di sovranità nazionale. Per il fatto che la sola bandiera usata dai dimostranti è solo quella tricolore, le due sinistre (quella affetta dalla sindrome da globalismo eurista e l’altra da internazionalismo compulsivo) hanno gridato al nazionalismo, allo sciovinismo, alla xenofobia» (Moreno Pasquinelli, ”Forconi, antisemiti, fascisti”).
Una nuova lotta di classe, dunque, anche con soggetti sociali diversi da quelli tradizionali della sinistra, che permetta di unire liberazione nazionale e liberazione sociale: due elementi non in contrapposizione ma, anzi, assolutamente complementari. Senza l’elemento sociale, che prevede il conflitto (esterno e interno), infatti, le istanze emancipatorie di una lotta per l’indipendenza nazionale rischierebbero di sfociare nella xenofobia, nel razzismo e nel nazionalismo. Così, quello che potrebbe essere uno strumento di liberazione dei popoli dall’oppressione capitalistica si trasformerebbe in un mezzo utilizzato dai dominanti per integrare la nazione all’interno degli stessi meccanismi di oppressione e discriminazione. È necessario, quindi, far integrare e far interagire tra di essi i due piani (questione nazionale e questione sociale e, quindi, lotta di classe) ma, per fare questo, come abbiamo cercato di argomentare in questo breve articolo, è assolutamente necessario ridefinire il concetto di classe che, proprio grazie alla questione nazionale, sappia adattarsi al mutamento delle realtà sociali.
L’ultimo elemento da affrontare, e che si rapporta con gli altri sinora affrontati, quello della sovranità e quello della lotta di classe, è il ruolo dello Stato. Giustamente, gran parte del mondo sovranista, per contrastare l’ideologia neoliberista, ha tra i suoi obiettivi principali un rinnovato intervento statale e pubblico nell’economia. Chi scrive condivide in toto. Nello stesso manifesto di Bottega Partigiana si legge infatti:
«La separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, la sovranità monetaria e fiscale, il ritorno all’unione tra Tesoro e Banca D’Italia, e l’istituzione di misure protezionistiche che impediscano le attuali forme di delocalizzazione liberoscambista, sono i primi passi necessari per costruire uno Stato che protegga i cittadini dall’aggressione dei grandi speculatori togliendo loro il dominio sull’economia».
Queste riforme, e più in generale un ritorno all’intervento pubblico nell’economia, sono assolutamente necessarie e fondamentali per una politica di fase. Qualche parola sul ruolo dello Stato i miei venticinque lettori però me lo permetteranno. Inizierei con una citazione del vecchio rivoluzionario Vladimir Il’ič Ul’janov:
«Per capire la lotta intrapresa contro il capitale mondiale, per capire l’essenza dello Stato capitalistico, bisogna ricordare che lo Stato capitalistico, entrando in lotta contro lo stato feudale, andava a combattere con la parola d’ordine della libertà. L’abolizione della servitù della gleba significava la libertà per i rappresentanti dello Stato capitalistico e rendeva loro un servizio, in quanto la servitù della gleba veniva abolita e i contadini ricevevano la possibilità di possedere la piena proprietà la terra che avevano riscattata, oppure di possederne un lotto, acquistato pagando un tributo. Allo Stato ciò poco importava: esso si basava sulla proprietà privata e difendeva la proprietà, qualunque ne fosse la provenienza. I contadini si trasformarono in proprietari privati in tutti gli stati civili moderni. Lo Stato proteggeva la proprietà privata e dove il grande proprietario fondiario cedeva una parte della terra al contadino, lo Stato lo ricompensava per mezzo del riscatto, della vendita in contanti. Era come se lo Stato dichiarasse: conserveremo la completa proprietà privata, e le offrisse ogni specie di appoggio e di difesa. Lo Stato riconosceva questa proprietà ad ogni mercante, ad ogni industriale, ad ogni fabbricante. E questa società, fondata sulla proprietà privata, sul potere del capitale, sulla completa sottomissione di tutti gli operai non abbienti e della massa lavoratrice dei contadini, questa società dichiarava di dominare basandosi sulla libertà. Lottando contro la servitù della gleba, essa proclamò la libertà della proprietà ed era particolarmente fiera del fatto che lo Stato avrebbe cessato di essere uno Stato di classe. Intanto lo Stato, libero in apparenza, continua ad essere come prima una macchina che aiuta i capitalisti a tenere sottomessi i contadini poveri e la classe operaia. Esso proclama il suffragio universale, dichiara per mezzo dei suoi sostenitori, predicatori, scienziati e filosofi di non essere uno stato di classe» (LENIN, Sullo Stato, Lezione tenuta  l’11 luglio 1919 all’università di Sverdlov).
Cosa vogliamo dire con questo? Che lo Stato non è mai “neutro” ma, come sempre, riflette rapporti di forza, di classe e di potere. In altre parole: il recupero della sovranità sarà mero trasformismo se, a essa, non si collegherà un rinnovamento delle classi dirigenti economiche italiane (e non solo), ma anche dell’attuale ceto politico professionale. Cioè di chi gestisce lo Stato. Questo sarà il vero e autentico discrimine tra un’uscita anticapitalistica dalla crisi e un’uscita gattopardesca. In altre parole, tra uno Stato e un governo popolare e uno Stato e un governo oligarchico in cui “lo Stato, libero in apparenza, continua ad essere come prima una macchina che aiuta i capitalisti a tenere sottomessi i contadini poveri e la classe operaia”.

la tassa sulle transazioni finanziarie escludendo i prodotti derivati è inutile

​​Tobin Tax all’Ecofin: uno specchietto per le allodole

Giovedì 08 maggio 2014

Sul sito della Campagna ZeroZeroCinque leggiamo: “Un primo vago accordo è stato oggi annunciato, all’Ecofin a Bruxelles, dai Ministri delle Finanze dei Paesi dell’UE aderenti alla procedura di cooperazione rafforzata per l’introduzione della Tassa europea sulle Transazioni Finanziarie (TTF). Un accordo politico privo però di sostanza per quel che riguarda l’ampiezza della base imponibile della tassa e la destinazione di spesa delle risorse che verranno raccolte da questa imposta. L’annuncio di oggi è ben lontano da ciò che ci si aspettava, ovvero un’ambiziosa TTF europea, con una base imponibile ampia e di difficile elusione, una misura fiscale che contrasti efficacemente le dinamiche speculative sui mercati finanziari continentali e che contribuisca a far pagare alla finanza il suo giusto contributo alla collettività”. (http://www.nonconimieisoldi.org/blog/tobin-tax-allecofin-uno-specchietto-per-le-allodole/?utm_content=buffer7877a&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer)

di Ugo Biggeri – Presidente di Banca Etica

La Tobin Tax sta diventando uno specchietto per le allodole: poco prima delle elezioni europee si fa un annuncio che rimane assolutamente nel vago in cui sembra che la politica voglia finalmente attuare un rallentamento della finanza speculativa per troppo tempo rimandato.

Nel frattempo i giornali e le pagine economiche non perdono occasione per sottolineare come I cosiddetti volumi di affari dei mercati finanziari si siano drammaticamente ridotti per le forme embrionali di Tobin tax attuate da alcuni paesi. Un allarmismo gratuito, perché si invece di dire che si è ridotto il volume della speculazione si fa credere che la Tobin Tax riduca gli investimenti nell’economia reale.

Al di là degli annunci si continua a rimandare una definizione chiara del campo di applicazione della Tobin Tax e soprattutto il momento della sua vera e unitaria attuazione a livello europeo.

In questo scenario la finanza casinò non sta a dormire e continuiamo ad assistere allo sviluppo e proliferazione di strumenti finanziari complessi che, pur avendo la loro logica ed utilità teorica, nella modalità cui vengono usati sottraggono risorse all’economia reale: delle vere e proprie armi di distruzione di massa.

In queste ore Febea – la Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative riunisce 25 istituti finanziari orientati alla sostenibilità sociale e ambientale, attivi in 14 Paesi Europei – sta lanciando un appello per chiedere ai candidati alla Commissione Europea come intendono regolare il sistema finanziario che ha condotto l’Europa nell’attuale crisi economica. Lo promuoveremo anche come Banca Etica, perché è necessario porre il tema del controllo della Finanza al centro dell’agenda politica.

Segui la campagna 005 per una tassa sulle transazioni finanziarie e al servizio dei cittadini: www.zerozerocinque.it

Fonte: NonConIMieiSoldi
http://www.confinionline.it/it/Principale/Informazione/news.aspx?prog=53926

Draghi, in vista delle elezioni europee, si mette a concorrere a chi la spara più grossa pur di salvare il Progetto dell'Euro

DRAGHI S'INVENTA CHE VI SIA LA ''CRESCITA'' IN GRECIA SPAGNA PORTOGALLO E IRLANDA

8 maggio - ''Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda hanno fatto importanti riforme strutturali e hanno ricominciato a crescere. I Paesi con crescita lenta devono perseverare con le riforme strutturali''. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, rispondendo a chi gli chiedeva a proposito della decisione della crescita lenta dell'Italia. Sulla base di quali dati Draghi affermi che c'è crescita nelle nazioni che ha citato, non è dato di sapere. E nessun giornalista presente glielo ha domandato. 

http://www.ilnord.it/b-2301_DRAGHI_SINVENTA_CHE_VI_SIA_LA_CRESCITA_IN_GRECIA_SPAGNA_PORTOGALLO_E_IRLANDA

Ungheria fuori dal Progetto Politico dell'Euro cresce

SUCCESSO COLOSSALE DELL'UNGHERIA DI ORBAN! CRESCITA ECONOMICA AL RITMO DELLA CINA: +8,1% A FEBBRAIO! (+6,1% A GENNAIO!)

giovedì 8 maggio 2014
BUDAPEST - La crescita della produzione industriale ungherese ha un'accelerazione insapettata perfino per gli analisti più ottimisti. Gli ultimi dati resi noti per il mese di febbraio 2014 mostrano un tasso di sviluppo e di crescita che è il più alto e veloce degli utlimi tre anni. Questo indicano i dati preliminari dell'Ufficio Centrale di Statistica ungherese resi pubblici ieri.
L'indice della produzione industriale è aumentato di uno straordinario 8,1% anno su anno a febbraio, dopo una crescita del 6,1% nel mese di gennaio. Gli economisti avevano previsto una crescita del 5,9 per cento. 
La produzione è cresciuta per il sesto mese consecutivo. Nei primi due mesi dell'anno, la produzione industriale è aumentata mediamente del 7,1% rispetto a un anno fa.  L'ufficio statistico è prevista per rilasciare i dati dettagliati sulla produzione industriale il 14 aprile.
Questo risultato porta l'Ungheria ad affiancare addirittura la Cina quanto a sviluppo dell'attività economica industriale e manifatturiera. E' fuor di dubbio che questo risultato sia la prova provata della giustezza delle scelte politiche del governo Orban, che ha reciso le catene che costringevano l'Ungheria a sottostare alle folli politiche economiche dell'Unione Europea e della Banca Centrale Europea.
Bruxelles e Francoforte sono state abbandonate da Orban al loro destino infausto, e infatti mentre l'Ungheria sta crescendo al ritmo di Shanghai, la Zona euro si sta inabissando come il Titanic. 
Non pensiamo servano molte altre parole per far capire che senza l'euro-BCE si prospera, con l'euro-BCE si muore. 
max parisi


SUCCESSO COLOSSALE DELL'UNGHERIA DI ORBAN! CRESCITA ECONOMICA AL RITMO DELLA CINA: +8,1% A FEBBRAIO! (+6,1% A GENNAIO!)

Elezioni in Siria ed Ucraina mentre le armi e il terrore dilagano



» 08/05/2014 11:24
SIRIA
Trasferiti i ribelli da Homs. L'opposizione chiede più armi agli Usa
Dopo quasi due anni di assedio, ribelli e popolazione sono stremati dalla fame e dalla mancanza di medicine. L'accordo è stato negoziato dall'Iran e dall'Onu. A Washington, il capo dell'opposizione chiede "armi efficaci" e critica le prossime elezioni presidenziali, costruite "sui cadaveri dei siriani".


Damasco (AsiaNews) - Continua ancora oggi l'evacuazione dei ribelli e delle loro famiglie dalla città vecchia di Homs, dopo quasi due anni di assedio da parte delle truppe governative.
Grazie a un accordo negoziato dall'ambasciata iraniana e dall'Onu, i ribelli vengono trasferiti più a nord, a Dar al-Kabira, in una zona controllata dall'opposizione. Possono portare con sé un'arma da fuoco e una sacca e ogni autobus che li trasporta è dotato di un razzo lancia-granate per la difesa.
Grazie all'accordo, la popolazione di Homs, e gli stessi ribelli, potranno ricevere cibo e medicine dopo quasi due anni di assedio che aveva portato alla fame gli abitanti; due cittadine sciite pro-Assad, Nubul and Zahraa, assediate dai ribelli, potranno ricevere aiuti di emergenza; un certo numero di ostaggi nelle mani dei ribelli ad Aleppo e vicino a Lattakia saranno rilasciati. Fra essi vi sono un russo e alcuni iraniani.
La fine della resistenza ad Homs, fra le prime città a ribellarsi al regime, rappresenta una simbolica vittoria per Bashar Assad, che si appresta ad essere  designato ancora come presidente  nelle elezioni che si terranno il prossimo mese. Nei quasi due anni di assedio della città almeno 2mila persone sono morte. Fra essi vi è anche il p. Frans Van der Lugt, ucciso davanti alla sua casa, forse proprio perché lavorava all'accordo per la fine dell'assedio.
L'evacuazione di Homs segue una discreta lista di vittorie dell'esercito di Assad  sul diviso fronte dell'opposizione.
Intanto, in visita a Washington, il capo della Coalizione nazionale dell'opposizione, Ahmad Jarba, ha condannato le prossime elezioni presidenziali come "una farsa", dato che molti non potranno votare a causa della guerra. Tali elezioni, ha detto, daranno ad Assad "il permesso di uccidere per ancora molti anni", dopo essere stato rieletto "sui cadaveri dei siriani".

Jarba, che deve incontrare il presidente Barack Obama, chiede agli Stati Uniti delle "armi efficaci" per "cambiare l'equilibrio delle forze sul terreno". Dopo ciò, si può pensare a discutere una "soluzione politica".

http://www.asianews.it/notizie-it/Trasferiti-i-ribelli-da-Homs.-L'opposizione-chiede-più-armi-agli-Usa-31024.html

venerdì 9 maggio 2014

la pretesa degli Stati Uniti di fare le elezioni con le terre ucraine messe a ferro e a fuoco

La verità sulla strage di Odessa


Uccisi come animali, uno per uno. Una vera e propria esecuzione di massa premeditata. In parte confermata dai reporter presenti. Un crimine contro l'umanità. [Franco Fracassi]




La mappa degli scontri del 2 maggio. Come si vede, la casa dei sindacati si trova in centro e non lontano dalle strade in cui sono avvenuti gli scontri tra nazisti, ultrà e separatisti.

La mappa degli scontri del 2 maggio. Come si vede, la casa dei sindacati si trova in centro e non lontano dalle strade in cui sono avvenuti gli scontri tra nazisti, ultrà e separatisti.


di Franco Fracassi

E se non fosse andata così? Se le quarantasei persone morte nel rogo della casa dei sindacati di Odessa non fossero state assassinate dal fuoco, come le apparenze illustrano? E se fossero più di quarantasei? «Abbiamo fatto fuori la mamma! Gloria all'Ucraina!». Tra i miliziani nazisti di Maidan non c'è il minimo segno di pentimento, né di compassione. Su Facebook e Twitter impazzano frasi di giubilo per «gli scarafaggi bruciati come merita la loro condizione». Ma sui social network girano (spesso involontariamente) anche foto e filmati molto utili a ricostruire quello che è avvenuto nelle ore della strage, di nascosto all'interno delle mura del palazzo.

In casi come questo fare un'inchiesta seria è molto difficile. Da una parte la propaganda delle autorità ufficiali di Kiev contigua ai nazisti assalitori, dall'altra quella dei separatisti russi. Una strage avvenuta dentro un edificio, circondato dagli assalitori, lontano dagli occhi dei cronisti. Popoff ha cercato con fatica di confrontare la versione ufficiale, le testimonianze, le fotografie, i filmati e i racconti dei cronisti presenti (che, però, poco hanno visto di persona), confrontandoli tra loro. Per questo motivo, ci scuserete se alcune notizie potranno essere perfettibili, e invitiamo i nostri lettori a darci il loro contributo verso la verità su un crimine così grave. Tra i più gravi in Europa dalla seconda guerra mondiale a oggi.


Un momento della marcia filo-governativa per le strade del centro di Odessa. Molti manifestanti erano vestiti con mimetiche e indossavano elmetti. Alcuni di loro tengono in mano spranghe e bastoni.

Il 2 maggio si è giocata a Odessa la partita di campionato di calcio Chornomorets Odessa-Metalist Kharkiv (finita 1-1). È tradizione ucraina che i tifosi di entrambe le squadre inscenino marce per la strade del centro cittadino prima della partita. Quel giorno non c'è stata eccezione. A loro si sono uniti i nazisti di Pravy Sektor (tra cui il mercenario italiano Francesco Saverio Fontana). Si è formato un corteo di circa mille e cinquecento persone, molte delle quali armate di spranghe, coltelli e armi da fuoco. Gli slogan urlati: «Ucraina unita», «Un regno per l'Ucraina», «Gloria per l'Ucraina», «Morte ai nemici», «Accoltelliamo i moscoviti». E poi, canzoni contro Putin e minacce ai passanti che non si accodavano ai cori. Secondo ispettori dell'Osce (testimoni oculari), si è trattato di una «marcia minacciosa e provocatoria. I partecipanti chiaramente stavano cercando lo scontro con i separatisti».

Lo scontro con i cosiddetti attivisti anti-Maidan non si è fatto attendere. Ed è stato violentissimo. Secondo testimoni oculari, la prima vittima sarebbe stata filo-governativa, colpita al petto da un proiettile sparato da un separatista. Una battaglia urbana che ha causato tre morti e sessantasette feriti, alcuni gravi.


Un attivista russofono spara durante gli scontri nel centro di Odessa che hanno preceduto il rogo della casa dei sindacati.

A questo punto la versione ufficiale differisce dalle tante ricostruzioni fatte. Secondo la versione ufficiale, i separatisti in fuga si sarebbero rifugiati dentro la casa dei sindacati, aggiungendosi ad alcuni miliziani già presenti nell'edificio. La battaglia intorno al palazzo che ne è scaturita ha visto gli assalitori lanciare bombe molotov contro le finestre del secondo e del terzo piano (degni di olimpionici lanciatori del peso o di lanciatori di baseball delle migliori squadre Mlb). Nel frattempo, dal tetto c'era chi sparava e chi lanciava a sua volta molotov contro gli assalitori. In breve tempo il fuoco ha preso il sopravvento nei corridoi uccidendo quarantasei persone. Inoltre, secondo i servizi segreti ucraini (Usb), tra i miliziani separatisti c'erano anche «mercenari provenienti dalla Transnistria», l'auto-proclamatosi Stato sorto in seguito a una guerra civile in parte del territorio Moldavo e riconosciuto internazionalmente solo dal Cremlino.

Insomma, gli assalitori sono degli assassini. Ma anche gli assaliti hanno grosse responsabilità in quanto accaduto. E, soprattutto, la strage è stato frutto di una battaglia combattuta ad armi pari.


Un militante di Pravy Sektor, con il volto coperto da un fazzoletto rosso e nero del movimento neonazista.

Molte cose non tornano, però. Innanzi tutto, il numero dei morti. Testimonianze raccolte da reporter russi parlano di oltre quattrocento persone intrappolate nell'edificio. Un uomo (non si sa se vicino ai separatisti o semplice cittadino coscenzioso) sostiene che le vittime siano state centosedici. Sul web sono girate cifre superiori alle trecento vittime, tra cui anziani, donne e bambini. Questo, del numero reale dei morti, rimarrà probabilmente il mistero più grande della strage di Odessa. Le cifre delle vittime sono da sempre uno dei principali terreni di scontro della propaganda in tempi di guerra.

Molto, invece, si può dire sulla dinamica della strage. E quindi sulla sua gravità.

"Russia 24" ha mandato in onda immagini che mostravano poliziotti che combatevano al fianco degli assalitori. E dalle ricostruzioni fatte da molti cronisti, tra cui l'inviato della Bbc, pare non ci sia stata alcuna provocazione dall'interno del palazzo, e che la strage sia stata fatta a sangue freddo.


I vigili del fuoco sono arrivati e hanno iniziato a spegnere le fiamme solo a rogo praticamente concluso.

Ma c'è chi ha lanciato accuse ancora più gravi. Secondo il reporter della "Novaya Gazeta", alcuni miliziani nazisti avrebbero atteso l'arrivo dei separatisti, appostandosi dentro l'edificio. «La casa dei sindacati in quel momento non era vuota. C'erano diverse persone che lavoravano all'interno. E per questo le porte non erano sigillate. Questo ha dato modo a diversi uomini armati di entrare di nascosto e di tendere un agguato».

Il giornalista russo è stato uno dei pochi a entrare all'interno del palazzo subito dopo la strage e a fotografare cadaveri e locali devastati: «La cosa curiosa è che il fuoco ha colpito soprattutto la zona delle scale e i corridoi. È curiosa perché entrambi gli ambienti sono distanti dalle finestre esterne, che secondo la versione ufficiale sarebbero state oggetto del lancio di molotov. La mia impressione è che l'incendio sia stato appiccato per nascondere un eccidio fatto a sangue freddo e con premeditazione».


Gli assalitori anche durante il rogo hanno proseguito il lancio di molotov. Come per impedire a chi si trovava dentro l'edificio la possibile fuga.


Nel video si vede un poliziotto che spara in direzione dell'edificio.


Il momento in cui il poliziotto apre il fuoco.

Per andare avanti nel ragionamento Popoff è costretto a mostrarvi immagini raccapriccianti. Ma sono fondamentali per chiarire i fatti.


Dalle foto emergono alcune stranezze. Primo, i corpi sono bruciati parzialmente (di solito le mani, il volto e la parte superiore del corpo), lasciando spesso i pantaloni e le gonne illesi dal fuoco. Alcune vittime presentano chiari segni di ferite da percosse e da armi da fuoco. In alcuni casi accanto alle teste si vedono chiaramente chiazze di sangue. E ancora, alcuni sono morti per strangolamento. All'interno dell'edificio si scorgono chiaramente delle barricate. Stranamente, i mobili che le compongono sono rimasti illesi dal fuoco, nonostante i cadaveri tutt'intorno. Infine, alcuni cadaveri femminili (sempre parzialmente carbonizzati) presentano chiari segni di stupro (avvenuti mentre andava tutto a fuoco?).








Da queste sei foto si evince come all'interno dell'edificio non ci fossero i classici cadaveri carbonizzati. Le vittime si sono bruciate solo nella parte superiore del corpo (in alcuni casi nemmeno completamente) mentre la parte inferiore appare spesso intonsa. Inoltre, alcuni dei corpi mostrano chiaramente ferite da arma da fuoco, con pozze di sangue sotto la testa.





In queste tre foto si vede chiaramente che l'ambiente intorno ai cadaveri parzialmente carbonizzati è stato solo marginalmente toccato dal fuoco.



Una dei cadaveri carbonizzati solo parzialmente. Questa donna non porta pantaloni né mutande. Prima che qualcuno gli abbia dato fuoco (solo al busto e alla testa) è stata stuprata.



Questa donna, incinta, non è morta né per il fuoco, né per il fumo. È stata strangolata con il filo del telefono.



Dalla foto si vede che gli assalitori durante il rogo si trovavano perfino al quarto piano. Nel riquadro un uomo si affaccia alla finestra dell'ufficio dove è stata assassinata la donna incinta.


Tutti elementi che fanno pensare a una realtà molto distante dalla verità ufficiale. Le centinaia di persone all'interno dell'edificio sarebbero state picchiate a morte, accoltellate, stuprate, strangolate od oggetto di esecuzioni sommarie. Un vero e proprio crimine contro l'umanità, insomma. Il tutto coperto da un rozzo tentativo di nascondere tutto con le fiamme, gettando liquidi infiammabili sui cadaveri e dandogli fuoco, addossando i corpi inermi a barricate erette lì per lì, a volte per impedire ai testimoni oculari sopravvissuti di poter raccontare la loro verità.


E non è tutto. I reporter (anche internazionali) presenti fuori dall'edificio in fiamme raccontano quasi unanimemente che ai vigili del fuoco (giunti con grande ritardo) è stato impedito per quasi un'ora di entrare nel palazzo e spegnere le fiamme. Immagini testimoniano di come siano stati trattati i sopravvissuti al rogo: picchiati, a volte molto pesantemente. «Hanno dato la caccia a chi riusciva a abbandonare il palazzo come i lupi fanno con le prede. Così, tanti hanno rinunciato a uscire dall'edificio. Una vera e propria lotta tra la paura di morire ustionati o intossicati con quella di essere uccisi a bastonate», ha raccontato l'inviato della Bbc.



Il post del neonazista di Odessa Vladimir Pavlov. «Abbiamo fatto fuori la mamma! Forza Ucraina!», in riferimento allo strangolamento della donna incinta, mostrata all'interno del post, insieme all'uomo che l'ha assassinata.

Noi italiani non aspetteremo, impavidi, che l'Euro imploda, stiamo preparando il terreno per subire meno danni possibili

linterferenza

Euro e Austerity: la tenaglia che ci stritola

Vladimiro Giacchè

cavallo-montecassinoCredo che il primo dovere nei confronti di noi stessi sia quello della chiarezza.
In primo luogo sulla gravità della situazione. Il nostro paese ha perso, dall’inizio della crisi, poco meno del 10% del prodotto interno lordo, il 25% della produzione industriale, il 30% degli investimenti. A chi paventa catastrofi nel caso di un’eventuale fine dell’euro va risposto che al punto in cui siamo l’onere della prova va rovesciato, perché la catastrofe c’è già. E la prima cosa da fare è di comprendere come ci siamo finiti e cosa fare per uscirne.
Ci troviamo, molto semplicemente, nella peggiore crisi dopo l’Unità d’Italia: peggiore di quella del 1866, e peggiore di quella del 1929 (Rapporto CER n. 2/2013).
Peggiore per tre motivi: perché il livello di prodotto pre-crisi – che negli altri casi era già stato recuperato dopo 6 anni– in questo caso non sarà recuperato neppure in 10 anni; perché gli indicatori di cui disponiamo non segnalano alcun miglioramento significativo della situazione (al contrario, quanto alla disoccupazione, essi ne prevedono un ulteriore aumento nel corso del 2014). E anche perché la situazione attuale è caratterizzata da due elementi di rigidità che privano il nostro Paese di margini di manovra.
Il primo vincolo – quello rappresentato dall’appartenenza alla moneta unica – impedisce ogni autonoma politica monetaria e ogni recupero di competitività tramite la svalutazione della moneta.
Il secondo elemento di rigidità – quello dei vincoli di bilancio – impedisce ogni politica anticiclica, per non parlare poi di una politica industriale. Osservo en passant che il modello tedesco, continuamente invocato quando si tratta di precarizzare il mercato del lavoro sul modello dell’Agenda 2010 di Schröder, viene completamente trascurato quando si parla di politiche anticicliche. E sì che con 70 miliardi di euro utilizzati per rilanciare il settore manifatturiero tra 2008 e 2009, la Germania (che in quei due anni aveva perso all’incirca la stessa quota di prodotto perduta dall’Italia) costituisce un caso di scuola in fatto di utilizzo massiccio di politiche di deficit spending in funzione anticiclica…
I vincoli di bilancio hanno conosciuto un aggravamento negli ultimi tre anni anche rispetto a quanto fu previsto a Maastricht. In particolare, la regola relativa alla necessità di ridurre la parte di debito che eccede il 60% del pil nella misura del 5% annuo è una regola che nel Trattato di Maastricht non c’era, e non per caso: era infatti ben chiaro ai negoziatori degli altri Paesi che l’Italia non avrebbe potuto accettare un obbligo di riduzione del debito di queste proporzioni. Questo vincolo è invece stato introdotto nel 2011, nel bel mezzo della peggiore crisi economica globale dagli anni Trenta.
Stretti tra il vincolo monetario e quello delle politiche di bilancio, i governi non hanno alcun margine di manovra. Possono solo accettare la corsa al ribasso sui salari (ossia la svalutazione interna), che però – come si è visto in questi ultimi anni – ha l’effetto di far crollare la domanda interna, e quindi di ridurre, prima, e distruggere, poi, capacità produttiva, a evidente beneficio di produttori localizzati in altri paesi. La verità è che “di fatto, l’austerità fiscale ha collocato l’economia europea su un equilibrio di sottoccupazione” (Rapporto CER 4/2013, p. 7).
Se i vincoli di bilancio dal 2011 in poi si sono fatti più severi e stringenti, anche il vincolo monetario si fa sempre più soffocante, a dispetto dei bassi tassi d’interesse BCE. Per 3 motivi: 1) perché l’euro è sopravvalutato sul dollaro, 2) perché allo stesso annuncio dell’OMT da parte di Draghi, dopo la sentenza di Karlsruhe, sarà molto difficile dare seguito concreto in caso di necessità (ne ha scritto molto bene Gianluigi Nocella: http://re-vision.info/2014/02/in-attesa-di-condanna/ ); 3) infine, perché sul nostro paese incombe la deflazione; la quale, a differenza dell’inflazione, aumenta il valore reale del debito in essere e ne può rendere insostenibile il peso anche in tempi molto brevi.
Per questi motivi lo stesso assottigliarsi dello spread Bund/Btp non deve ingannare: esso infatti è il prodotto della politica di quantitative easing della Fed da un lato, dei flussi di capitale in uscita dai fondi obbligazionari specializzati in emerging markets dall’altro. Si tratta in entrambi i casi di dinamiche che potrebbero facilmente e rapidamente mutare di segno.
Anche perché non si è affatto invertito il processo di balcanizzazione finanziaria in Europa,ossia la risegmentazione dei mercati finanziari e il loro ridisegnarsi secondo linee coincidenti con i confini nazionali. Si tratta del pericolo numero uno per l’euro, assieme alla crescente divergenza tra le economie dell’eurozona. Un processo caratterizzato dal rimpatrio dei crediti effettuati dalle banche tedesche e francesi nei confronti degli altri paesi dell’eurozona, e conseguentemente dall’aumento della quota di titoli pubblici di questi paesi in mano alle banche domestiche. Nel caso delle banche tedesche, le esposizioni nei confronti dei Paesi periferici dell’eurozona è passata in pochi anni da esposizioni per 520 miliardi di euro verso i Paesi periferici dell’eurozona a esposizioni pari a 214 miliardi (dato di novembre 2013).
La ratio dell’Unione Bancaria, la vera posta in gioco con la sua costruzione, consiste nella possibilità di invertire questo processo. Ma purtroppo, per i difetti della sua attuale configurazione (ritagliata sulle esigenze delle banche tedesche e sulla necessità di proteggerne il maggior numero possibile dall’esame della BCE), non sembra in grado né di ridurre entro termini ragionevoli il rischio sistemico, né di costituire una diga efficace alla balcanizzazione finanziaria. Con quello che ne consegue anche per quanto riguarda le prospettive di sostenibilità del nostro debito pubblico.
Più in generale, C.M. Reinhart e K.S. Rogoff ritengono che in base all’esperienza storica l’ottimismo dei governanti europei circa la possibilità di uscire dal debito “per mezzo di un mix di austerity, forbearance e crescita” sia ingiustificato. E che, al contrario, “il finale di partita della crisi finanziaria globale probabilmente richiederà una qualche combinazione di repressione finanziaria (una tassa occulta sui risparmiatori), vera e propria ristrutturazione del debito pubblico e privato, conversioni, inflazione molto più elevata, e misure varie di controllo dei capitali” (C.M. Reinhart e K.S. Rogoff, Financial and Sovereign Debt Crises: Some Lessons Learned and Those Forgotten, IMF Working Paper, dicembre 2013, pp. 3-4).
Se riflettiamo su queste parole, possiamo intendere come molti dibattiti italiani su questi temi siano fuori centro e fuori tempo.
Si invoca lo spettro dell’inflazione (che riduce il valore reale del debito) quando invece siamo prossimi alla deflazione (che lo aumenta).
Oppure si invoca lo spettro della svalutazione della moneta quando, semmai, il vero problema oggi è la svalutazione interna: perché stiamo già svalutando, e pesantemente, i salari (la qual cosa, sia detto di passaggio, è precisamente quello che ci viene chiesto quando si parla di “riforme strutturali”).
L’errore, qui, è quello di pensare con le categorie e con le priorità degli anni Settanta e Ottanta in uno scenario completamente cambiato, i cui elementi di pericolo sono completamente differenti.
Rigidità delle politiche di bilancio e rigidità del cambio sono difficilmente sostenibili di per sé. Ma soprattutto sono insostenibili contemporaneamente. La conseguenza è molto semplice: o salterà l’una, o salterà l’altra.
O sapremo conquistarci maggiori margini di manovra effettivi sui conti pubblici, e al tempo stesso imporre anche alla Germania la politica espansiva in termini di domanda interna che sinora si è rifiutata di attuare (senza la quale ogni espansione della nostra domanda interna riproporrebbe una situazione di squilibrio della bilancia commerciale), o procederemo verso l’implosione dell’eurozona. Ma, prima ancora, verso la distruzione della nostra capacità produttiva e della nostra economia.
L’unico modo per conquistare quei margini di manovra è porre radicalmente in discussione gli ultimi Trattati e accordi europei: quelli dal marzo 2011, ossia dal Trattato Europlus in poi. Altrimenti, non resta altra strada che l’abbandono della moneta unica. Non ci sono altre vie: in particolare, non sarebbe praticabile né utile la strada di un approfondimento del processo di integrazione europeo anche da un punto di vista politico. Infatti, se non si interviene primasull’impianto neoliberistico/mercantilistico che impronta di sé i Trattati dall’Atto Unico Europeo dal 1986 in poi – e che fa sì che la competizione tra paesi in Europa sia necessariamente tutta giocata sulla concorrenza al ribasso sulla protezione del lavoro e sulla fiscalità per le imprese – ogni ulteriore passo avanti verso l’integrazione politica rischierà inevitabilmente di rappresentare la blindatura istituzionale, tendenzialmente autoritaria, di un assetto sociale ingiusto e insostenibile.
Una citazione per finire:
Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna.
Sono parole tratte dal discorso parlamentare con il quale Luigi Spaventa motivò il voto contrario del PCI all’ipotesi di adesione dell’Italia allo SME. Era il 12 dicembre 1978. Il rischio che Spaventa lucidamente aveva individuato si è concretizzato: le sue parole, purtroppo, descrivono alla perfezione la situazione attuale dell’Europa.
È questa la catastrofe in cui già siamo e da cui dobbiamo uscire. Prima che sia troppo tardi.

Cassazione sentenza 8878/14 del 4 aprile del 2014 Parlamento illegittimo

IL LATO B DEL "PATTO DEL NAZARENO" di Leonardo Mazzei

9 maggio. Il governo Renzi-Berlusconi oggi e domani
Secondo alcuni l'asse Renzi-Berlusconi ha semplicemente un'origine massonica. Una tesi sulla quale scommetterebbero ad occhi chiusi diversi amici fiorentini. Avrebbe dunque ragione Piero Pelù, che ha definito il capo del governo come un «boy scout della P2». Un boy scout tutelato dal Sommo Sacerdote dell'«accordo del Nazareno», quel gran signore di Denis Verdini.

Ora, noi non siamo complottisti. Siamo però attenti ai fatti politici, ed essi bastano ed avanzano per dimostrare due cose. La prima è che le grandi decisioni politiche vengono ormai prese non solo fuori dalle istituzioni, ma anche al di fuori dei partiti. La seconda è che il governo attuale si regge non tanto sulla maggioranza ufficiale, quanto piuttosto su quella informale Pd-Forza Italia, o più esattamente ancora su un patto privato tra i leader di questi due partiti.

Ovviamente non stiamo svelando alcun segreto. Stiamo solo proponendo alcune riflessioni politiche. Tutti sanno che se Renzi è ancora al suo posto lo si deve solo al voto dei forzaitalioti in Commissione Affari costituzionali del Senato. Un voto che ha fatto passare il testo base del governo, dopo che la stessa commissione lo aveva di fatto bocciato approvando un ordine del giorno a favore del Senato elettivo.

Ora tutto è bloccato. Il governo si è salvato per il rotto della cuffia. Il «ripensamento» dei berluscones sarebbe avvenuto dopo una telefonata tra il Berlusconi ai servizi sociali e ilberluschino attualmente a Palazzo Chigi. Ma il salvataggio è solo momentaneo, ed il calendario delle (contro)riforme è stato modificato. Renzi, che voleva un voto sul Senato non elettivo prima del fatidico 25 maggio, ha ora spostato l'appuntamento al 10 giugno. Ma alcuni esponenti di spicco del governo dicono chiaramente che è meglio non fissare scadenze...

Il «rottamatore» ha già perso smalto ed ha messo la pancetta. Non che si fermi, sia chiaro, nella sua foga distruttrice di ogni diritto. Questo no, ci mancherebbe, e l'altro ieri ha posto la sua ottava fiducia in meno di tre mesi per far passare l'ulteriore precarizzazione del lavoro che è al centro del suo programma.

E' chiaro, però, che i consensi raccolti grazie al corale concorso dei media - un appoggio talmente sfrontato nel suo unanimismo da alimentare i peggiori sospetti - cominciano ormai a declinare. Come avevamo previsto la luna di miele si è rivelata assai più breve di quella su cui potevano contare i governi di un tempo. Se il berluschino corre, la crisi galoppa. E le buffonate del «cambiaverso» hanno sì un certo successo, ma non durano a lungo.

Che così sarebbero andate le cose non lo abbiamo mai dubitato. L'interrogativo riguarda semmai il risultato elettorale del 25 maggio. Come impatterà l'evidente impasse attuale sul voto? Questo non lo sappiamo, ma è ben significativo che, giunti a questo snodo, sia arrivato il decisivo soccorso berlusconiano.

Al rischio di perdere una parte dei propri già declinanti consensi, il truffatore fiscale ha deciso di salvare il truffatore politico che lo insidia nella corsa all'assegnazione del Pinocchio d'oro 2014. Perché lo ha fatto? La risposta più semplice è quella che rimanda ad un banale baratto tra la vita del governo ed il salvacondotto a vita che tanto gli sta a cuore. Non è difficile immaginare che nel mitico «patto del Nazareno», sempre in bocca alla Boschi come se si trattasse delle Tavole della legge, un codicillo sia riservato a garantire una serena vecchiaia al farabutto. Ma solo di questo si tratta?

Avanziamo un'altra ipotesi. Non sarà che quel patto prevede oltre ad un piano A anche un piano B? E ancora, non sarà che a dispetto del gioco delle parti - il Berlusconi anti-Merkel, il Renzi che vuol cambiare l'Europa - quell'accordo è davvero l'ultima frontiera del blocco eurista? E non sarà proprio per questo che il blocco dominante applaude ed il peggior presidente della repubblica di sempre benedice?

Quale fosse il piano A è fin troppo evidente: ricostruire coercitivamente un bipolarismo andato a rotoli, grazie alla super-truffa di un legge elettorale congegnata a quello scopo. Un bipolarismo in cui sarebbe ripreso il gioco dell'alternanza tra destra e centrosinistra, ridando così fiato alle forze che hanno portato il Paese nel disastro in cui si trova. Il tutto abbellito dalla propaganda rottamatrice e giovanilista e dalla vendita di qualche auto blu su e-bay.

Funzionerà questo piano? Piaccia o meno, un primo responso verrà dal voto del 25 maggio. E non è improbabile che quel responso costringa Renzi e Berlusconi a correre ai ripari con il piano B, il lato più oscuro ed incoffessabile del patto propiziato da Verdini.

E' infatti piuttosto probabile che dalle urne giunga quantomeno una conferma della forza elettorale del M5S, il cui smantellamento era lo scopo principale del Super-Porcellum congegnato a gennaio. Se così sarà, e chi scrive se lo augura vivamente, i piani del segretario del Pd subiranno un brusco arresto, quantomeno per quel che riguarda le riforme costituzionali (Senato incluso) e la legge elettorale. Sarebbe una vittoria inconfutabile dell'opposizione al governo Renzi, che come abbiamo già visto è in realtà un governo Renzi-Berlusconi, al di là di quel che può pensare il coniglio Alfano.

Chiaro che a quel punto la coppia di scassinatori della Costituzione non si fermerebbe, e passerebbe appunto al piano B: un nuovo governo di larghe intese, questa volta non transitorio come quello presieduto da Letta, ma basato su un accordo politico più ampio. Una «soluzione» che a quel punto verrebbe richiesta a gran voce, magari turandosi il naso, da tutti i fondamentalisti dell'euro al di qua ed al di là delle Alpi.

E' uno scenario fantapolitico? Vedremo. Di certo l'eventuale lato B del patto del Nazareno non dovrebbe spaventare. I due compagni di merende costituirebbero in quel modo una maggioranza numericamente più solida, ma di sicuro politicamente più fragile.

In tutti i casi, dato che ogni giorno ha la sua pena, ora l'obiettivo è quello di impedire che Renzi possa cantare vittoria il 26 maggio, mandando a gambe all'aria il piano A, quello più pericoloso. Poi lo scontro decisivo, che potrà essere vinto solo con un'autentica sollevazione popolare, dovrà probabilmente affrontare il piano B, quello che vedrà un governo apparentemente più forte in parlamento, ma sicuramente più debole e sgangherato nel paese.

Una rivoluzione democratica potrà vincere solo facendo a pezzi entrambi i lati del vecchio bipolarismo. Il fatto che per tentare di salvarsi essi siano pronti a mettersi insieme, renderà per certi aspetti più facile la loro disarticolazione. A patto che un fronte democratico ed anti-eurista si costituisca alla svelta, avendo chiari nemici ed obiettivi.

Boschi l'archetipo, giovani donne del Pd, tutte uguali, costruite in provetta, senza anima, nella mente potere e soldi

Papà, abbiamo una banca

vanity-boschi-maria-elenaAnna Lombroso per il Simplicissimus
Finalmente una di quelle “contro-notizie” che vanno contro a usi, tradizioni, eventi considerati naturali: l’uomo che morde il cane, l’onesto che ruba al ladro.
Stavolta a andare al contrario è il nepotismo. Apprendiamo infatti che a ridosso della nomina a influentissimo ministri della Repubblica, l’orgoglioso papà della ministra Boschi, già presidente di Confcooperative Arezzo è stato nominato per acclamazione vice presidente della Banca Etruria. Scelto insieme al cda “per affrontare il futuro dell’istituto bancario aretino”, recita il comunicato ufficiale e infatti chi meglio di un famiglio in senso stretto del governo per promuovere uno di quei sinistri matrimoni e inquietanti vincoli tra istituti, stretti per nascondere malefatte, spazzare polvere sotto i tappeti? E Banca Etruria proprio in questi giorni è oggetto di “interesse” da parte della Banca Popolare di Vicenza del patron Zonin in esclusiva fino al 30 maggio.
E poi non venitemi a dire che non è innovativo questo giovane e dinamico ceto politico con le sue rottamazioni “bonarie”: babbi promossi a banchieri; neo-familismo che vede i figli collocare i padri – e aspettiamo le quote rose con brillanti avanzamenti delle mamme. Restano nella tradizione rubando ai poveri per dare i ricchi e nel muovere una lotta di classe anche quella alla rovescia e cruentissima, di chi ha contro chi non ha.
Finiti sono i tempi arcaici di accademici che lasciano cattedre per li rami, in nome di oscuri ma rivendicati diritti dinastici, finiti i tempi delle ministre che mettono su una fondazione per favorire la carriera delle delfine, finiti i tempi di chirurghi jr. che operano sotto l’occhio non abbastanza vigile di papà e magari dimenticano le pinze negli anfratti del paziente. E finiti anche i tempi di nonni che con la pensione aiutano i nipoti, padri costretti a lasciare posti di lavoro per incoraggiare il benefico avvicendamento, finiti i tempi che gli anziani si dichiaravano orgogliosi di lasciare agli eredi più di quanto avevano trovato.
Adesso vale l’inverso, ma solo se si appartiene alle nuove “famiglie”. I poveracci restano tali, seduti sulle panchine e riluttanti per motivi economici anche a offrire le briciole di pane ai colombi. E come tante volte è stato caldeggiato da alti esponenti della cupola globale, Fmi, Ue, troike, meglio se si tolgono di torno, che la loro sopravvivenza rappresenta un costo insopportabile ai danni dello sviluppo.
Se invece si è provveduto a tirarli su bene i giovani virgulti, in una bambagia, fertile humus di ambizione, indole all’affermazione di sé, istinto alla disinvolta competitività, allora si che si possono coltivare buone aspettative di matura carriera, grazie alla protezione e alla filiale solidarietà di una generazione che ha conosciuto e apprezzato per lo più modelli di sfrontato arrivismo, di spericolata attitudine all’opportunismo, di gioioso esercizio di cinismo. E dire che c’è ancora chi crede che queste ragazze siano in qualche modo vittime accondiscendenti di format autoritari e sessisti, che approvano e fanno propri piegando caratteri di genere, emotività e sensibilità alle regole dell’egemonia maschile. In tempi di ampia possibilità di scelta, per chi gode già di privilegi soltanto, è ovvio, si potrebbe anche decidere per l’autonomia, per la trasparenza, anche per la ribellione.
Ma le pimpanti signorine del governo e del ceto politico, in tutta libertà, hanno scelto per profitto, potere, arroganza, disprezzo delle regole morali ancorché legali, proprio mettendo a frutto la retorica e la folta letteratura che le vorrebbe gregarie, subalterne, belle figurine a corredo dei fratelli o dei padri padroni, al punto che sono loro a promuoverne insperate carriere. A volte viene da pensare che il completo affrancamento delle donne avverrà quando – come per altre forme di prostituzione intellettuale molto in voga tra i maschi – potrà essere rivendicata una carriera irresistibile maturata non attraverso competenza, studio, impegno, ma nel contesto dei letti giusti.
Il fatto è che la loro emancipazione passa per la nostra servitù, ancor più di noi donne, costrette a vergognarci di loro.