L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 24 maggio 2014

CasaPound, Lega, Fratelli d'Italia, M5S sul Progetto Politico dell'Euro fanno Fronte Unico

Europee. CasaPound si schiera con la Lega di Salvini per NoEuro e Marine Le Pen

Pubblicato il 24 maggio 2014 da Mario De Fazio
Categorie : Politica
lega e casa pound
Meglio scommettere, per una volta, sul nuovo corso della Lega piuttosto che scegliere i nostalgici di un errore storico o gli a-ideologici pentastellati. La sintesi è brutale. Ma forse rende l’idea della presa di posizione di CasaPound rispetto al voto per le elezioni europee. L’endorsement al Carroccio arriva direttamente dal presidente del movimento della tartaruga frecciata, Gianluca Iannone.

In una nota pubblicata su Facebook, Iannone spiega le ragioni di una scelta destinata a provocare discussioni e polemiche nel mondo della destra radicale. Ricordando la rabbia per una legge che, nonostante le 80mila firme raccolte da CasaPound, impedisce al movimento di presentarsi alle elezioni, il leader romano chiarisce che “CasaPound non è abituata a rimanere alla finestra. Ho scelto e vi invito per questa volta a votare Lega con preferenza a Borghezio nella circoscrizione centrale, anzitutto per l’alleanza con il Front National di Marine Le Pen, per le posizioni antieuro, per le posizioni contro l’immigrazione, per i referendum contro la Fornero e la legge Mancino”.
Iannone anticipa anche le prevedibilissime critiche di chi, a destra, non considera conciliabile il sostegno a un partito “anti-italiano” come la Lega. “Io, come molti di voi avranno capito – scrive il frontman degli Zetazeroalfa -, per il tricolore e l’unità della nazione sono pronto a farmi ammazzare. E so bene che questa scelta di voto per la Lega (che riguarda solo ed esclusivamente queste elezioni) porterà critiche da un mondo di “destra” che ricorderà le passate posizioni anti-italiane della Lega”. E se su Grillo – che pure potrebbe raccogliere una porzione di elettori della destra radicale – non c’è alcun riferimento, non manca un cenno a Fratelli d’Italia, invotabile secondo Iannone perché “guarda indietro e riparte da Fiuggi, ovvero da un errore e una frattura insopportabile con la nostra storia e i nostri caduti”.
Dalla destra radicale arriva un segnale forte per l’evoluzione politica del Carroccio che – dall’alleanza con il Front National alle posizioni su euro e immigrazione, passando per la critica allo ius soli e alle proposte di referendum su pensioni e legge Mancino – sta provando a rigenerarsi smettendo la casacca sbiadita della secessione e degli slogan stantii su “Roma ladrona” per indossare i panni di un movimento che guarda al recupero della sovranità come unica alternativa possibile ai guasti della globalizzazione. E che si pone sempre più come interlocutore plausibile dell’area non conforme.


siamo in guerra e non possiamo più permetterci di mediare con chi vende il proprio popolo

NORMA RANGERI, SINISTRATI E... SPINELLI di Emmezeta

24 maggio. A proposito di "voto utile": quando la "sinistra" fa il controcanto a Lorsignori


Ecco un bel tema per il giorno delle elezioni: il "voto utile". La direttrice del Manifesto, Norma Rangeri, è di certo un'autorità in materia. 

Da sempre, infatti, il suo giornale è uno dei massimi cultori del genere. Sarà per questo che non ha resistito neppure questa volta alla magica formuletta. In campagna elettorale, si sa, il voto alla propria lista è giusto, bello, intelligente, raffinato e perfino sexy. Per quelli del Manifesto, invece, dire "voto utile" è più appropriato. Un modo per essere subalterni, ma senza mai smettere di fare gli snob.

Questa volta, però, il problema è diverso. Ed è solo per questo che ce ne occupiamo. La signora Rangeri sostiene la Lista Tsipras, e dunque non è accusabile, almeno in apparenza, di voler portare acqua al mulino di sempre. Ma il lupo perde il pelo ma non il vizio, e la direttrice ha voluto lasciare, anche in questa occasione, tracce abbondanti dell'adesione dell'attuale "sinistra" al pensiero dominante.  

Leggere per credere questo articolo, uscito ieri sul Manifesto, e significativamente ripreso dal sito del Prc, che evidentemente ne condivide la sostanza. 

Il titolo ci ha subito incuriositi: «Niente scherzi. Il voto utile è per Tsipras!». Ora, siccome il cosiddetto "voto utile" è rivolto generalmente contro qualcuno, ci siamo chiesti chi fosse costui. In passato la risposta sarebbe stata scontata: bisognava votare Pds, Ds, Pd, Ulivo, Unione, eccetera, contro il farabutto d'Arcore e la sua accozzaglia di puttane e faccendieri. Ma ora il truffatore è fuori dai giochi. E così pure, almeno temporaneamente, la sua oscena congrega.

Ingenui come siamo, abbiamo sinceramente pensato per un attimo che il "voto utile" della Rangeri fosse rivolto questa volta contro Renzi. Non solo perché in genere si vota "utile" contro chi ha le leve del comando, ma anche per la natura sua e del suo famelico gruppo di potere, portatore di un progetto autoritario ed ultra-liberista. 

E invece... invece è stato sufficiente leggere l'incipit dell'articolo per rendersi conto che non si pensa mai abbastanza male di certa gente.

Ecco qua:
«Funziona, purtroppo. Anche per le elezioni del 25 maggio, nell’elettore di sinistra, ancora incerto se e chi votare, suona la sirena del “voto utile”. L’allarme populismo, il pericolo della coppia Grillo-Casaleggio pigliatutto è scattato, alimentato dalla (intelligente) propaganda del Pd: per frenare l’ondata grillina, la diga è Renzi, solo lui ci salverà».
Chi scrive sapeva già di appartenere ad un mondo diverso da quello di una Rangeri, ma dopo questo articolo viene da pensare di abitare perfino galassie diverse. La qualcosa, sia chiaro, di certo non ci dispiace.

Avete capito a quale mondo appartiene la direttrice? A quello che ha come nemico il "populismo", mica le oligarchie finanziarie, l'eurocrazia di Bruxelles, il boy scout della P2. No, no, quella è tutta brava gente, bersaglio semmai dell'orrendo "populismo". Da Grillo bisogna salvarsi, mica dall'amico di Marchionne! E allora... "voto utile", anche se per Tsipras e non per il Pd. Il che è comprensibile, data la funzione di ruota di scorta che la lista altreurista si è auto-assegnata fin dall'inizio.

Di fronte a questo controcanto del coro di lorsignori non c'è bisogno di spendere troppe parole. Con questo editoriale il Manifesto si allinea con il governo e con le oligarchie europee, ripete i concetti sguaiati di Renzi,  Berlusconi e Napolitano. Il grave è che una simile visione sia stata fatta propria anche dal sito del Prc. Ora, è vero che al peggio non c'è limite, ma osiamo sperare che almeno di fronte a questo molti compagni di Rifondazione provino se non altro un po' di sano disgusto. 

Sarebbe già qualcosa, perché in quanto al risultato elettorale degli tsipriti c'è ben poco da dire. Domani sera, statene certi, basterà far ricorso a due proverbi: «chi è causa del suo mal pianga se stesso» o, se preferite: «mal voluto non fu mai troppo».

Ci dispiace per i sinceri militanti comunisti, non certo per il gruppo dirigente. Poteva scegliere diversamente e non lo fatto. E siamo così passati dall'opposizione alle politiche europee alla lotta senza quartiere contro il M5S. Una strada quasi obbligata, dopo essersi accodati al clan di Repubblica ed all'amico dei Riva. L'editoriale di Rangeri non è dunque un incidente, è invece la Norma di chi non sa uscire dal labirinto della subalternità in cui si è da tempo (felicemente?) rinchiuso.


Malawi, regole violate

Malawi: presidente annulla elezioni
annuncio dopo risultato che vedeva in testa l'opposizione
(ANSA) - BLANTYRE, 24 MAG - Sull'orlo della sconfitta, la presidente del Malawi, Joyce Banda, ha annullato le elezioni presidenziali nel Paese. Prima dell'annuncio che avrebbe confermato la vittoria del suo rivale, Peter Mutharika, Banda ha motivato la decisione tirando in ballo "gravi irregolarità" nel voto. Banda ha detto che le elezioni del 20 maggio sono "nulle" dopo un annuncio della commissione elettorale secondo cui, alla luce dei risultati parziali, era stata seriamente distanziata dal rivale.
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2014/05/24/malawi-presidente-annulla-elezioni_10c72401-e8a5-44ec-a50f-a3c660d78538.html

Governo e maggioranza parlamentare pasticciona vogliono solo soldi freschi da intascare e se ne fregano delle regole per la comune convivenza

Corte Costituzionale e Parlamento ai ferri corti

L'art.3 commi 8 e 9 D.Lgs. 23/2011, messo alla porta dalla Consulta, rientra dalla finestra della politica

Due anni e mezzo di iter procedurale per la rimessione alla Corte Costituzionale di alcune ordinanze di Tribunali italiani, rinvii, costituzioni di parti in giudizio, camera di consiglio e sentenza finale…. tutto vanificato in pochissime ore da un emendamento al DL 47/2014 ficcato con fare marpionesco all’ultimo momento, tra l’ignoranza e l’indifferenza generale dei nostri parlamentari, in un provvedimento legislativo che non c’entrava nulla perchè parlava di Expo 2015, cedolare secca e occupazioni abusive di stabili.
E’ di tutta evidenza che siamo ormai allo scontro frontale tra chi usa la politica per sopraffare gli altri e per aggirare i dettati della Corte Costituzionale e i giudici stessi della Consulta, ormai ridotta ad un farraginoso ed obsoleto marchingegno, inascoltato e deriso da parlamentari e faccendieri.
A fronte degli ampollosi paludamenti dei giudici costituzionali che preludone a severe statuizioni, puntualmente disattese, vi sono le giacche-cravatte e tailleur dei nostri parlamentari , meno solenni, ma infinitamente più efficaci e penetranti.
Fanno tenerezza le tardive affermazioni di alcune associazioni di piccoli proprietari, secondo cui non si possono “accettare ulteriori vessazioni manifestatamente contrarie ai principi intangibili della Costituzione Italiana”…
Sarebbe pur vero che il giudicato costituzionale non può essere violato da alcuno e che esiste una copiosa giurisprudenza costituzionale secondo la quale, perché vi sia violazione del giudicato costituzionale, è necessario che una norma ripristini o preservi l'efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale. In particolare, nel chiarire la portata del primo comma dell'art. 136 Cost., la Corte ha precisato che il rigore del citato precetto costituzionale impone al legislatore di "accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima", anziché "prolungarne la vita" … e che “le decisioni di accoglimento hanno per destinatario il legislatore stesso, al quale è quindi precluso non solo il disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria efficacia, bensì il perseguire e raggiungere, "anche se indirettamente", esiti corrispondenti a quelli già ritenuti lesivi della Costituzione” (sentenze n. 223 del 1983, n. 73 del 1963 e n. 88 del 1966).
Sotto questo profilo mi sento di rivolgere un appello al giudice costituzionale Grossi, già relatore nelle procedure che hanno portato alla emanazione della sentenza n.50/2014 e relatore in alcune ordinanze ancora pendenti presso la Corte Costituzionale che hanno ad oggetto l’ex art.3 commi 8 e 9 del D.lgs 23/2011.
La Corte, oltre che garante della nostra Carta Costituzionale, è, prima di tutto giudice essa stessa e, come tale, può , in alcuni casi anche d’ufficio, autorimettersi la questione di costituzionalità di una norma.
Il DL 47/2014, convertito in legge dal nostro Parlamento, oltre a violare il dettato costituzionale ex art. 136 Cost., ha di fatto resuscitato gli effetti di una norma già dichiarata incostituzionale sotto il profilo dell’eccesso di delega (art 3 commi 8 e 9 D Lgs 23/2011)
Ritengo a questo punto che la Corte, avendo la nuova norma fatti salvi gli effetti di una norma giudicata incostituzionale, ne possa ben dichiarare la illegittimità costituzionale, sia per la violazione del giudicato costituzionale, sia sotto gli altri profili, in un primo tempo non valutati perchè assorbiti dal vizio più grave dell’eccesso di delega.
Giudice Grossi vogliamo dare una dimostrazione ai nostri giacca e cravatta che la Costituzione non è solo una teoria della quale prendersi impunemente gioco?
Avv. Paolo Cotronei

Giappone, ridicolo, superare il valore universale della pace sancito dalla Costituzione

Giappone-Nato, nuovo accordo
Il Giappone e la NATO si apprestano a incrementare la reciproca collaborazione strategica, attraverso il Programma Individuale di Partnership e Cooperazione, o IPCP (Individual Partnership and Cooperation Programme), sottoscritto dalle due parti lo scorso 6 maggio, durante la visita di Abe Shinzo, Primo Ministro giapponese, presso il quartier generale dell’Organizzazione.
L’accordo dell’IPCP si configura come la naturale conseguenza della prima dichiarazione politica congiunta, firmata nell’aprile del 2013, volta a rafforzare il partenariato tra il Giappone e l’Alleanza Atlantica. Il programma, come evidenziato dallo stesso Anders Fogh Rasmussen, Segretario Generale della NATO, rivestirà una notevole importanza nella definizione di una 'roadmap' per delle linee operative comuni.
La neonata partnership, che riconferma la solidità di una cooperazione bilaterale di vecchia data (risalente al 1990), secondo il Segretario Rasmussen si basa «su valori condivisi, un impegno comune per la pace e la sicurezza internazionale e sui principi delle Nazioni Unite e del diritto internazionale». Gli ha fatto eco il Primo Ministro Abe che, rivolgendosi agli ambasciatori degli Stati membri dell’Alleanza, ha rimarcato il fatto che la NATO, nella condivisione dei valori fondamentali enunciati dal Segretario Generale, fosse un «partner naturale» per il Giappone. «Insieme, abbiamo trionfato nella Guerra Fredda», ha affermato il Primo Ministro giapponese.
I temi essenziali del Programma di Cooperazione riguardano principalmente la lotta alla pirateria marittima, la gestione dei conflitti in teatri 'caldi', la cybersicurezza e il rafforzamento della presenza del Giappone al fianco delle forze NATO nella gestione di emergenze umanitarie e catastrofi naturali.
La sottoscrizione del Programma arriva, non a caso, in un momento delicato di crescenti timori per la stabilità e la sicurezza globale. «Non vi è alcun dubbio che la sicurezza e la stabilità nella regione Euro-Atlantica e in quella dell’Asia-Pacifico non possano essere trattati separatamente», ha affermato il Segretario Rasmussen, alludendo tanto alla crisi ucraina e alla 'nuova minaccia' russa, quanto alla strategia del 'ribilanciamento' in Asia promossa dall’amministrazione Obama. 
Rispetto ai vantaggi che il 'pivot asiatico' statunitense potrà trarre da una rafforzata cooperazione tra la NATO e l’alleato nipponico, le previsioni degli analisti appaiono cautamente ottimiste. "Il Programma si rivelerà certamente utile ai fini del 'pivot' di Obama, in quanto contribuisce ad infondere sicurezza al Giappone, senza incitarlo eccessivamente", afferma Michael Paul, Senior Fellow presso la Stiftung Wissenschaft und Politik - German Institute for International and Security Affairs di Berlino. "Tuttavia misure concrete, come la cooperazione USA-Giappone nell’ambito della difesa antimissile, rimarranno l'interesse principale del Giappone in quanto parte della sua politica di sicurezza proattiva".
Nonostante gli indubbi vantaggi che una maggiore cooperazione tra NATO e Giappone porterebbe allo sviluppo del programma del 'pivot to Asia', l’attuazione del Programma Individuale di Partnership e Cooperazione non significherà automaticamente una maggiore presenza militare statunitense nella regione. "L’attuazione del programma del pivot (o 'riequilibrio') promosso dall' amministrazione Obama nella regione Asia-Pacifico è andata a rilento, e l'attenzione di Washington è regolarmente deviata da altri scenari di crisi come quello della Siria e dell'Ucraina. A questo proposito, una maggiore disponibilità da parte di Tokyo ad assumere una quota maggiore di responsabilità per la propria sicurezza, e per la sicurezza regionale, costituisce certamente una buona notizia per gli Stati Uniti" spiega a ‘L’Indro’ Miha Hribernik, analista e ricercatore presso lo EIAS (European Institute for Asian Studies) di Brussels.
"Tuttavia, l’IPCP non avrà probabilmente un impatto sostanziale sul 'pivot' stesso", prosegue Hribernik. "La NATO non è intenzionata a stabilire un qualsiasi tipo di presenza permanente nella regione Asia- Pacifico. Ciò è dovuto non solo alla sua lontananza geografica, ma anche alla limitatezza delle risorse, e al desiderio di alcuni Stati membri europei di evitare di inimicarsi la Cina, un importante partner commerciale. Inoltre, l'attuale crisi in Ucraina potrebbe distogliere l'attenzione della NATO verso l’Europa per qualche tempo, anche se ritengo che un 'reset' completo da una NATO 'globale' post 11 settembre, a un'alleanza focalizzata solo sulla sicurezza Transatlantica, sia improbabile. Questi fattori limitano la cooperazione NATO-Giappone all’ambito delle minacce alla sicurezza non tradizionali (come il terrorismo e la cyber-security), senza affrontare direttamente i crescenti problemi di sicurezza di carattere più tradizionale presenti in Asia- Pacifico".
Una più intensa collaborazione sul versante strategico con la NATO rappresenta anche un passo in più, per il Giappone di Abe, verso l’agognato 'ritorno in Asia' del Paese del Sol Levante, che il premier conservatore intende attuare anche e soprattutto attraverso un nuovo indirizzo in politica estera di stampo decisamente assertivo, basato sul concetto di «contributo proattivo alla pace».
La prima Strategia di Sicurezza Nazionale (National Security Strategy), pubblicata lo scorso dicembre 2013, in concomitanza con il National Defense Program Outline e il Mid-term Defense Plan, definisce la nuova strategia di politica estera giapponese, ponendo particolare attenzione all’ambito della sicurezza e alla cooperazione con gli altri Stati del Pacifico per il mantenimento della stabilità regionale. La redazione di questo documento segna una svolta epocale e si accompagna a una serie di iniziative altrettanto controverse volute dall’amministrazione Abe, come il forte aumento della spesa militare; l’approvazione della nuova legge sul Segreto di Stato; l’allentamento delle limitazioni sull’export di armi tecnologia militare.
Tra le frange più conservatrici delle forze politiche nipponiche, e da parte dello stesso Primo Ministro Abe, persiste poi il forte desiderio di arrivare a vedere una 'normalizzazione' della politica di sicurezza nazionale del Giappone, attuando il superamento delle restrizioni sull’esercizio della difesa collettiva (attraverso una modifica dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, che ne stabilisce il carattere pacifista), considerata un’ormai superata eredità del periodo post bellico, per di più imposta dai vincitori con la forza.
"Per il Giappone, la firma dell’IPCP fa seguito alla Strategia di Sicurezza Nazionale pubblicata nel dicembre 2013, la prima di sempre", afferma ancora Hribernik. "La Strategia sottolinea con forza il ruolo del Giappone in qualità di 'Collaboratore Proattivo alla Pace', disposto a fare la sua parte nell’affrontare le minacce alla pace internazionale, alla comunità globale e alla propria stessa sicurezza nazionale. Questo spostamento verso una visione più 'globale' ha preparato il terreno per il rafforzamento della cooperazione con partner geograficamente remoti, tra cui la NATO. Adottando un atteggiamento maggiormente proattivo, il Giappone va assumendosi maggiore responsabilità per la sicurezza globale (così come per la propria), e l’IPCP permetterà di tradurre la propria strategia in iniziative concrete".
Per quanto il Giappone, tramite la National Security Strategy, si sia presentato nella veste di 'collaboratore proattivo' alla pace e alla sicurezza internazionali, proiettandosi così in uno scenario globale, rimane tuttavia principalmente focalizzato sulla situazione nel Mar Cinese Orientale e sulle dispute territoriali tutt’ora in corso con la Cina.
«Nel Mar Cinese Orientale, abbiamo visto intrusioni persistenti nelle acque territoriali del Giappone che circondano le isole Senkaku», ha affermato il Primo Ministro Abe in una parte non pubblica del suo discorso, stando a quanto riportato dal quotidiano cinese ‘The China Post’. «Per il Giappone, realizzare la pace e la prosperità nella regione Asia-Pacifico è una priorità assoluta», ha proseguito Abe. «Agiremo in collaborazione con qualunque Nazione che cerchi di svolgere un ruolo costruttivo verso tale fine».
Pur nella 'limitatezza' dei suoi ambiti di operatività, l’IPCP può in ogni caso considerarsi come una pietra miliare nel rapporto di cooperazione tra Giappone e NATO e un naturale passo in avanti verso lo sviluppo di una ancor più proficua partnership bilaterale. Questo può fornire al Giappone un appoggio strategico in più a cui agganciarsi per la realizzazione del suo ambizioso progetto di 'ritorno in Asia'; allo stesso tempo, gli USA potranno certamente beneficiare di una più decisa definizione del ruolo del Giappone, che rimane l’elemento essenziale del progetto del 'pivot' asiatico, per poter affrontare efficacemente le comuni sfide nel contesto della sicurezza regionale.

http://www.lindro.it/politica/2014-05-23/129873-giappone-nato-nuovo-accordo

cosa sappiamo del trattato TTIP dove tutto è segreto?

Elezioni Europee, Movimento Consumatori aderisce a “Stop TTIP”

Domenica si elegge il nuovo Parlamento europeo che sarà chiamato ad approvare il TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti attualmente oggetto di negoziati volutamente segreti. Movimento Consumatori aderisce alla campagna “Stop TTIP” e spiega che “chi ha più da perdere è l’Europa a tutto vantaggio delle multinazionali USA”.
“Questo trattato  - spiega Alessandro Mostaccio, segretario generale di Movimento Consumatori – è qualcosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione commerciale, perché rischia di completare l’opera di deregolamentazione di interi settori economici, rafforzando il potere delle grandi corporation su cittadini e sulle loro nazioni (ad esempio, permettendo che una Paese debba pagare risarcimenti a una multinazionale se adotta una legge di tutela ambientale considerata restrittiva). Chi ha più da perdere è l’Europa a tutto vantaggio delle multinazionali USA”.
“Stiamo parlando di finanza, servizi pubblici, sicurezza alimentare e agricoltura (ad esempio, le norme sulle tipicità, sui pesticidi, sugli OGM, sugli ormoni nelle carni in Europa sono sicuramente molto più restrittive di quelle americane), proprietà industriale. Ad oggi  - continua Mostaccio – non sappiamo qual è la posizione dell’Italia in Europa. Movimento Consumatori chiede che l’Italia chiarisca la propria posizione e imponga all’Ue la desecretazione dei contenuti dei trattati, dimostrando di avere a cuore la libertà di informazione ed il rispetto stesso delle istituzioni democratiche italiane (in primis il Parlamento). Fino a quando non verranno resi pubblici i contenuti degli accordi, Movimento Consumatori aderisce con forza alla campagna “STOP TTIP”, ringraziando le organizzazioni no profit italiane e internazionali che già da qualche mese hanno iniziato ad allertarsi e oggi anche a coordinarsi”.

Zimbabwe, i contadini vogliono vivere con i proventi della terra

ZIMBABWE. Contadini e veterani contro la piantagione di zucchero sudafricana

mag 23rd, 2014 | By  | Category: Qui Africa SubsaharianaUltimissime
Notizie Geopolitiche –
piantagione canna da zucchero
La piantagione di zucchero della sudafricana , situata nel sud-est dello Zimbabwe, a 500 chilometri a sudest della capitale Harare, è stata occupata nei giorni scorsi dai contadini e dai veterani di guerra della zona, i quali sostengono di avere le autorizzazioni per coltivare gli appezzamenti di terreno nella pianura.
Adelaide Chikunguru – Musvovi, portavoce della Tongaat Hulett, ha riferito che l’impianto per la produzione di canna da zucchero continua a funzionare regolarmente, ma le autorità governative hanno fatto sapere che l’occupazione delle terre da parte dei 600 manifestanti non sarà tollerata più a lungo.
Francis Nando, presidente provinciale dei veterani di guerra dello Zimbabwe, ha dichiarato che lui e gli altri occupanti rimarranno nella piantagione fino a quando le autorità non avranno soddisfatto la loro richiesta di vedersi assegnati appezzamenti di terreno, come era stato loro promesso, ed ha accusato la “leadership politica di proteggere la Tongaat Hulett, per motivi più noti a se stessi”.
Agli inizi degli anni Duemila nello Zimbabwe si sono susseguiti aspri gli scontri fra le popolazioni locali e le aziende agricole multinazionali, accusate di essere la causa di carestie alimentari; tuttavia in quest’occasione le autorità centrali sembrano aver preso le parti della Tongaat Hulett.
L’azienda è presente nel paese con tre macro-piantagioni nel distretto di Chiredzi e produce 640.000 tonnellate di zucchero all’anno.

chiredzi fuori

Il demagogo Pd, Napolitano e la trattativa tra questo stato e Cosa Nostra

Io non mi meraviglio più di niente
Io non ci trovo niente di male nel fatto che sulla mafia vengano scritti libri "negazionisti". In Italia non c’è solo libertà di parola, c’è anche libertà di scrittura. E’ messa in Costituzione persino la "libertà di corrispondenza". Siamo il paese delle libertà, non c’è che dire. Ricordo vecchi libri - ad esempio: ne possiedo uno del giornalista Guido Quaranta, intitolato "Scusatemi, la mafia non esiste" - che mettevano in fila perplessità e dubbi, riserve e magari pregiudizi, perché sono occorsi decenni prima di riuscire a prendere le misure al "mostro", chiamandolo per quello che era, raccontandolo per quello che faceva.
Esistono, nel mondo, fior fiore di storici "negazionisti" che hanno esercitato la loro liberà di scrittura sino al punto da negare l’esistenza dell’Olocausto, di Buchenwald e Auschwitz, definendo fotomontaggi alleati le montagne dei cadaveri delle vittime.
E, senza prenderla troppo alla lontana, non esistono anche quelli che equiparano la Resistenza partigiana alla Repubblica di Salò?
Solo per dire che il "negazionismo" c’è sempre stato, nei campi più disparati, e troverà sempre schiere più o meno nutrite di ammiratori. Come legioni di ammiratori continueranno a credere nell’esistenza dei "Protocolli di Sion", o nei finti diari di Mussolini, a cura del Marcello Dell’Utri, giusto per restar nei paraggi di casa nostra. Crediamo di esserci spiegati. 
In questi giorni, si parla di un libro del  professore Giovanni Fiandaca, facendo un grave torto al suo "coautore", lo storico Lupo, che non è proprio da sottovalutare: essendo lui, forse, l’unico storico al mondo (e questo, ormai, è primato esclusivo del professor Lupo, essendo venuto a mancare il suo maestro, lo storico Francesco Renda, che la pensava allo stesso modo) a negare il patto fra gli americani e la mafia per lo sbarco in Sicilia. Anche quello del professor Lupo, senza togliere nulla al Fiandaca, è un palmares, lo ammetterete, di tutto rispetto.
La circostanza poi che si siano trovati insieme per il colpaccio negazionista, non potrebbe essere spiegato meglio da un noto detto siciliano che così recita: "nuddu si pigghia si un si rassimigghia" (nessuno si prende se non si rassomiglia). E Fiandaca e Lupo devono assomigliarsi parecchio.
La loro tesi di fondo è: non ci fu mai trattativa fra lo Stato e la mafia; ammesso e non concesso che ci sia stata, non costituisce reato; e, indipendentemente da tutto, quando si tratta lo si fa per il bene degli altri, per salvare la vita degli altri. Ridotto in soldoni, il libro è questo.
Ma i due autori, non paghi, perché posseduti oltre misura dal demone del "bastian contrario", hanno dato vita a una gazzarra polemica che ha finito con l’andar di cozzo con i magistrati che quel processo contro la Trattativa hanno istruito e ora stanno cercando - nonostante tuoni e fulmini di Giorgio Napolitano - di celebrare. Fatte le debite proporzioni, è come se gli storici negazionisti dell’Olocausto si fossero gettati a corpo morto negli ingranaggi del Processo di Norimberga nel disperato tentativo di farlo saltare.
Ma anche in questo caso, lasciatemelo dire, io non ci trovo nulla di male nella foga oratoria dei due autori. Non tutti ricordano, ad esempio, che il professor Fiandaca scrisse su Repubblica di Palermo, una raffica di concettosi articoli in cui sosteneva: "il professor Franco Renda e’ reo di avere osato pensare che la mafia può considerarsi sconfitta quando, come oggi avviene, i politici non sono più in grado di coprirla impunemente": correva il giorno di grazia del 23 luglio 2003.  Ma dalla mafia "che è stata sconfitta", oggi Fiandaca, disponendo di un suo personalissimo "borsino" sull’argomento, bontà sua, vira su una tesi più modesta: "la mafia non ha vinto". Piangiamo con un occhio.
Dei precedenti del Lupo ho già detto. Ecco perché io non mi meraviglio.
E’ di altro, semmai, che mi meraviglio. Mi meraviglio del fatto, questo sì, che il professor Fiandaca abbia spasmodicamente cercato di adoperare le sue tesi, e i suoi anatemi contro i magistrati antimafia di Palermo, "per qualche preferenza in più", essendo stato candidato dal Pd alle europee di domenica. Il professor Fiandaca, e il professor Lupo che gli porta la borraccia, attaccando visceralmente la Procura di Palermo che cerca disperatamente di indagare, non vedono il rischio di accarezzare il pelo mafioso in una città che si chiama "Palermo"?
Il professor Fiandaca, vuole forse essere eletto per andare a raccontare in Europa che lo Stato non ha mai traccheggiato con la mafia? Ed è per questo che una decina di dirigenti del PD siciliano, tutti l’un contro l’altro armati (e su tutto), si sono trovati d’accordo solo sulla candidatura del Fiandaca, perché un "portavoce" migliore di lui non potevano trovarlo? E quanto al PD, sedicente erede di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, è a questo che si è ridotto? O tempora, o mores!, verrebbe da dire.
Ma andiamo avanti. Qualche giorno fa, il professor Fiandaca, - bisogna sempre diffidare dall’ascoltare la voce del "bastian contrario" - ha detto che per lui Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, gli ricordano "gli ultimi giapponesi".
Si dà il caso che il 14 gennaio di quest’anno, si è spento, alla veneranda età di 91 anni, Hiroo Onoda. Fu lui, "l’ultimo giapponese" catturato nella giungla delle Filippine nel 1974, a trent’anni dalla fine della guerra. E in segno di resa consegnò il katana a Marcos, all’epoca presidente delle Filippine. Per trent’anni Onoda non seppe, o non volle credere, che il suo "imperatore" Hiroito, era stato costretto a firmare l’atto di resa dopo la "pioggia nera" - come la chiamarono i giapponesi- di Nagasaki, che aveva fatto seguito, tre giorni dopo, a quella di Hiroshima. Onoda scrisse un bel libro sulla sua storia dal titolo "Non mi arrendo".  
Da allora, quando si dice di qualcuno che è l’"ultimo giapponese", lo si qualifica come colui che non sa che la guerra è finita da tempo, che la resa è stata firmata, che è giunto il momento di tornare a casa.
Voce dal sen fuggita, quella di Fiandaca.
Ché - evidentemente - lui sa benissimo che l’atto di tregua fra Stato e Mafia è stato firmato da tempo. Ché - evidentemente - lui invita Di Matteo e i suoi colleghi a consegnare il "katana" dell’azione penale nelle ferme mani di Giorgio Napolitano. Ché, volendola dire tutta, la lotta alla mafia per il professor Fiandaca val bene un pugno di preferenze per essere eletto a Strasburgo.

saverio.lodato@virgilio.it

venerdì 23 maggio 2014

la Fiom si accorge che il governo pagliaccio da disoccupazione e precariato a vita

​​Landini di Fiom: 'Il Jobs Act di Renzi va nella direzione dell'aumento della precarietà'

23-05-2014 - Davide Mandolini

Il segretario della Fiom, intervenuto ad un congresso all'Università di Firenze, parla di lavoro ed Europa.

Maurizio Landini Segretario della Fiom

A Firenze, nel polo della facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" si è tenuto un congresso intitolato "Forza Lavoro!", che è stato organizzato dalla reti degli studenti del centrosinistra per l'università e che ha visto come principale protagonista il Segretario generale della Fiom Maurizio Landini.

Il tema dell'incontro è stato appunto quello del lavoro e sono stati molti i punti toccati durante il lungo discorso che Landini ha intrattenuto davanti a studenti e non solo.

 Il segretario ha voluto precisare di essere molto interessato a cosa pensassero gli studenti del sindacato e del ruolo che ha nel lavoro e se pensano che sia utile o non perché, ha aggiunto Landini, "percepiamo che c'è un elemento di crisi dell'organizzazione sindacale".

Ha poi subito esordito dicendo che "Per me, fare il sindacalista non è un mestiere, se sento uno che pensa di fare il sindacalista come mestiere lo rimanderei a lavorare. Uno deve sapere che se fa il sindacalista lo deve fare perché vuole rappresentare delle persone come lui e lo deve fare quasi come una missione".

Landini ha ripercorso la storia del Sindacalismo in Italia spiegando quali sono stati gli apici delle conquiste e invece gli anni più duri della "lotta sindacalista".

"Gli anni più alti di conquiste sono stati sicuramente gli anni ‘70 e ’80, con le conquiste del contratto nazionale, le 40 ore di lavoro settimanali, il diritto di assemblea e il diritto di eleggere dei delegati. Una cessione invece da parte del movimento sindacale è partita dalla fine degli anni ‘80 con l'avvento di Reagan negli Stati Uniti e la Thatcher in Inghilterra che hanno sconfitto la mediazione sociale e introdotto la mano libera per le imprese".

"Oggi ci troviamo di fronte al fatto che la competizione tra persone non è mai stata alta come adesso e il compito di un sindacato è quello di provare a sancire il principio che a parità di lavoro e di mansione deve corrispondere parità di diritti e parità di retribuzione".

Parlando della divisione negli anni dei sindacati il segretario parla di una pressione da parte dei partiti politici negli anni passati, che avrebbero cercato di non far unire in un unico sindacato tutti i sindacati esistenti per la paura di un movimento sindacale troppo forte.

Parlando dell'Europa e dello spostamento delle industrie Italiane all'estero il segretario della Fiom ha detto che "Le industrie vanno in Polonia non solo perché gli operai vengono pagati di meno ma perché non c'è un sistema fiscale unico in Europa, là pagano pochissime tasse ed uno dei problemi che stiamo avendo è che l'aver costruito l'Europa solo sulla moneta e non aver costruito un Europa sociale con determinati diritti sta causando grandissimi problemi al lavoro".

Alla fine dell'intervento, ad uno studente che chiedeva cosa ne pensasse del Jobs Act di Matteo Renzi, ha risposto così: "Io penso che lui ha detto delle cose e ne ha fatte delle altre, perché quando era solo segretario del PD aveva l'idea di ridurre il lavoro precario e parlava di introdurre una forma di assunzione che in Italia non c'è, ovvero il contratto a tempo indeterminato unico a tutele progressive, estendere gli ammortizzatori sociali e via dicendo.Renzi sta facendo queste cose? Direi di no perché quello che ha proposto il governo è una legge delega che dice di discutere di queste cose, però sappiamo che la legge delega la si discute tra mesi e mesi, il provvedimento che ha fatto adesso invece in un'altra direzione sul lavoro perché liberalizzare i contratti a termine vuol dire che un lavoratore può avere un contratto a termine per tutta la vita e quindi è andato in un’altra direzione rispetto a ciò che aveva dichiarato precedentemente. Questa manovra va invece nella direzione dell'aumento della precarietà".

http://news.supermoney.eu/politica/2014/05/landini-di-fiom-il-jobs-act-di-renzi-va-nella-direzione-dell-aumento-della-precarieta-0096091.html

Stati Uniti, Russia, Cina noi possiamo costruire il Progetto Alternativo

​​IL RITORNO ALL’IMPERIALISMO BIPOLARE

MUTAMENTO DELLO SCENARIO INTERNAZIONALE E PERICOLI DI GUERRA

(22 Maggio 2014)

Dal blog http://sinistrainparlamento.blogspot.it

Con ancora maggiore chiarezza rispetto al recentissimo passato, in particolare al riguardo dei fatti di Ucraina, sta prendendo corpo un profondo cambiamento negli equilibri mondiali. Come spesso accade il “nuovo” appare peggiore dell’antico e il “morto afferra il vivo”. 

Da diverso tempo si cercava di analizzare il ritorno ad un confronto diretto tra le due uniche “superpotenze possibili” la Russia e gli USA, in conclusione del ciclo seguito alla caduta del “socialismo reale” e dell’URSS che aveva visto gli americani impegnati nel ruolo di “gendarme del mondo”, di “esportatori della democrazia” in quello che i politologi della destra americana avevano immaginato come uno “scontro di civiltà” con l’Islam. 

Intanto si favoleggiava di “globalizzazione” come nuova frontiera degli equilibri internazionali e di un ruolo “forte” dei cosiddetti BRICS , comprendente appunto anche la Russia, con Cina, Brasile e India. 

L’Unione Europea appariva del tutto laterale rispetto a questo processo mentre procedeva l’allargamento a Est (in parallelo con l’allargamento della NATO) e assumeva, nel concerto europeo, una funzione quasi esaustiva la Banca Centrale in una logica iperliberista e monetarista. 

Questo scenario appare in via di radicale cambiamento : la logica imperiale che sta muovendo, da tempo, la politica estera Russa e la crisi di leadership degli USA ha riportato concretamente sul terreno la realtà di un confronto bipolare, fondato sulla reciprocità dei rispettivi imperialismi. 

Se ci fosse qualche dubbio in proposito basta andare a leggere gli ultimi avvenimenti: la stipula di un grande accordo sui temi dell’energia (la vera questione, oggi, che può interessare chi pensa davvero a dominare il mondo) tra la Russia e la Cina (che ritorna ad assumere il ruolo, comunque mai abbandonato, di grande potenza periferica) e la stipula dell’accordo commerciale trentennale tra gli USA, il Canada e l’Europa che arriva in coincidenza con il brusco richiamo svolto dal presidente Obama all’UE in tema di “fedeltà atlantica” ( è parso di sentire di nuovo Eisenhower). 

Di seguito si pubblica, in inglese, una dettagliata informazione sull’accordo commerciale atlantico e si pubblica nuovamente la nota riguarda l’accordo Russia – Cina. 

Ce ne sarebbe da vendere per riavviare una riflessione sulla “terza via” per una sinistra comunista che si misuri sul tema della pace in una logica internazionalista e in una dimensione di classe: una discussione che, prima o poi, dovrà essere affrontata nell’idea di riuscire a farla prima di essere travolti dagli avvenimenti, tanto più che nel nostro cortile di casa avanza il pericolo di un fascismo in guanti gialli, grazie alla Trimurti, Renzi, Grillo, Berlusconi. 

Ecco di seguito: 

The Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP; also known as the Transatlantic Free Trade Area, abbreviated as TAFTA) is a proposed free trade agreement between the European Union and the United States. Proponents say the agreement would result in multilateral economic growth,[2] while critics say it would increase corporate power and make it more difficult for governments to regulate markets for public benefit.[3] The U.S. government considers the TTIP a companion agreement to the Trans-Pacific Partnership.[4] After a proposed draft was leaked, in March 2014 the European Commission launched a public consultation on a limited set of clauses. 

The leaked text of the proposed treaty sets out limitations on the laws that any government can pass to regulate or publicly run various economic sectors, particularly insurance and banking,[5] telecommunications, and postal services.[6] Any corporation which is "expropriated" from its existing investments becomes entitled to market value compensation, plus compound interest.[7] It would allow free movement of business managers and certain other workers among all signatory countries.[8] It is proposed to allow corporations to bring actions against governments for breach of its rights.[9] 

A previous proposed treaty was Multilateral Agreement on Investment. The TTIP free trade agreement could be finalised by the end of 2014.[10][11] 

E ancora: 

Cina-Russia: intesa su energia Storico accordo da 400 miliardi 

12:15 21 MAG 2014 

(AGI) - Shanghai (Cina), 21 mag. - Dopo oltre un decennio di trattative la Russia ha firmato un'intesa di lungo termine (30 anni) per fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Nei giorni passati si era parlato di un'intesa dal controvalore di 456 miliardi di dollari. Oggi Gazprom si e' limitata a parlare di un accordo per oltre 400 miliardi di dollari. 

L'accordo tra la russa Gazprom e la cinese CNPC partira' dal 2018. Il contratto e' stato firmato dai presidenti dei due gruppi, Zhou Jiping, a capo di China National Petroleum Corporation (CNPC), e Alexei Miller, CEO di Gazprom, il cui titolo ha guadagnato il 2% subito dopo la notizia. La firma arriva durante il secondo e ultimo giorno di permanenza in Cina del presidente russo, Vladimir Putin, che ieri ha firmato con il presidente cinese Xi Jinping altri 49 contratti di cooperazione bilaterale.





http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o43496:e1

Mali, i bombardamenti umanitari, come era prevedibile, non sono bastati alla Francia

I ribelli tuareg avanzano nel nord del Mali


I ribelli avanzano nel nord del Mali, dove il governo centrale è pronto a chiedere il sostegno delle forze francesi. Dopo la strategica Kidali, i separatisti tuareg hanno conquistato anche Menaka in seguito a violenti combattimenti con le forze regolari di Bamako.
Lo confermano le Nazioni Unite, che parlano di migliaia di residenti in fuga e chiedono un cessate il fuoco nel nord del Paese, dove la violenza ha mandato in fumo l’accordo per una tregua raggiunto un anno fa.
I disordini sono esplosi sabato in occasione della visita a Kidali del primo ministro Moussa Mara. Gli scontri hanno provocato decine di morti.
A chiedere un cessate il fuoco è anche l’ex potenza coloniale. Parigi preme per un ritorno ai negoziati tra i ribelli e il governo di Bamako, secondo cui dietro l’assalto vi sarebbe anche al Qaida.

Boko Haram è la chiave per invadere umanamente la Nigeria

Nigeria, gli Usa inviano 80 militari in Ciad per ricerche ragazze

Il presidente Barack Obama ha inviato circa 80 militari americani in Ciad per contribuire alle ricerche delle liceali nigeriane rapite dai guerriglieri radicali di Boko Haram. Lo ha reso noto la Casa Bianca.
In particolare lo ha annunciato il presidente americano, Barack Obama, in una lettera inviata al Congresso. «Il personale sosterrà l'operazione di intelligence, sorveglianza e perlustrazione aerea nel nord della Nigeria e nelle aree circostanti», ha sottolineato Obama. Sono oltre 200 le ragazze rapite lo scorso 14 aprile in Nigeria dal gruppo terroristico islamico Boko Haram. Nelle settimane scorse il governo nigeriano aveva chiesto aiuto alla comunità internazionale per ritrovare le giovani.
Nel frattempo le forze speciali nigeriane hanno ristretto l'aerea di ricerca. Le giovani, secondo quanto riferito da fonti locali, si troverebbero in tre campi controllati dall'organizzazione islamica, a nord di Kukawa, verso il lago Ciad. Ufficiali dell'esercito nigeriano che coordinano le ricerche hanno riferito che i miliziani hanno diviso le ragazze in gruppi e le trattengono nei campi di Madayi, Dogon Chuku e Meri. Secondo un'altra fonte, altre ragazze si troverebbero in un altro accampamento degli estremisti a Kangarwa

Siria il popolo odia la Rivoluzione a Pagamento degli Stati Uniti e dell'Arabia Saudita

Libano, Israele e Siria. Quello che i media italiani non (vi) dicono

Libano, Israele e Siria. Quello che i media italiani non (vi) dicono
Per capire, o soltanto conoscere, quel che accade in Medio Oriente è consigliabile fare una lettura dei giornali stranieri.
Il consiglio è di leggerne il più possibile. Si scoprirà una massa di informazioni che i media italiani normalmente censurano o cestinano, a favore di notizie che hanno a che fare con la politica dei palazzi, la cronaca nera o il gossip.
Ad esempio, si scoprirà che Stati Uniti e Arabia Saudita hanno raggiunto un accordo per fornire decine di migliaia di armi e milioni di proiettili ai ribelli armati in Siria. La notizia arriva dal quotidiano statunitense Wall Street Journal. Il giornale rivela che il piano sarebbe stato sviluppato la scorsa estate dal presidente Barack Obama in persona, ai tempi in cui il premio nobel meditava una guerra su larga scala nei confronti della Siria con l'obiettivo di destituire il presidente Assad. Un'estate caldissima, con l'attacco chimico a Ghouta e i venti di guerra che soffiavano sul Mediterraneo. Obama era preoccupato per le perdite subite dai ribelli e lavorava per l'invio massiccio di armamenti in Siria. Un nobel per la pace con i fiocchi, verrebbe da dire.
"Un gruppo americano, guidato da ex funzionari del Pentagono – si legge sul Wall Street Journal - ha proposto anche l'acquisto di 70.000 armi offensive fatte in Russia e 21 milioni di proiettili presumibilmente per il libero esercito". Le armi, e questa è la parte più inquietante della storia, sarebbero finite anche nelle mani dei Black Water, un gruppo di mercenari che opera in Siria. A dirlo è Joseph Schmitz, ex ispettore generale del Pentagono ed ex capo dei Black Water, che ha aggiunto che anche Erik Prince, fondatore dei Black Water, è direttamente coinvolto nel piano, avendo proposto la formazione e la supervisione degli armati che combattono sul terreno. I Black Water, per chi non se lo ricordasse, sono noti anche per gli abusi commessi in Iraq. Tortura facile e sangue alla Pulp Fiction. Ma quella è realtà, non un film da vedere distesi sul divano. I Black Water sono una vera schifezza, criminali che operano con l'assenso della Casa Bianca. Il piano è così discusso che un alto responsabile dei servizi segreti statunitensi in Giordania, scrive il quotidiano americano, avrebbe persino chiesto a un funzionario saudita ad abbandonare questo progetto.
Rimanendo in Siria fanno notizia le dichiarazioni, rilanciate dalla Tv di Hezbollah Al Manar e rilanciate in Italia dal sito Controinformazione.info, dell'ex ambasciatore francese Michel Raimbaud. Cosa dice il diplomatico? Prima di tutto che "l'opposizione che si supponeva pacifica, quella a cui hanno dato appoggio i dirigenti occidentali e francesi e i loro amici islamisti della Turchia, dell'Arabia Saudita e del Qatar, è riuscita per molto tempo a mantenere una illusione e dissimulare la sua enorme responsabilità in questo bilancio. Adesso che iniziano a sciogliersi le lingue – continua – nessuno può continuare ignorando che la denominata opposizione è ricorsa alle armi senza aspettare di vedersi sorpassata dai selvaggi jihadisti (integralisti islamici) che stiamo vedendo in azione da circa 2 anni". Di queste dichiarazioni non v'è traccia in Italia, nessuno dei media nostrani, tranne qualche eccezione, si preoccupa di fornire una giusta chiave di lettura di ciò che sta accadendo in questo paese. Soltanto il rapimento del giornalista Quirico e le sue dichiarazioni dopo il rilascio hanno aperto uno squarcio di verità nel muro di menzogne. È ancora troppo poco anche perché il bravo Quirico può raccontare non la guerra in Siria ma la storia del suo rapimento. È un testimone di se stesso non di quello che, a sua insaputa, gli è capitato intorno per molti mesi.
Le immagini di Homs liberata che l'Occidente ha ignorato, come ha sottolineato il giornalista del Sole 24 Ore Alberto Negri, sono significative di un'altra verità. Una verità che spiega bene Raimbaud: "I siriani, nella loro grande maggioranza – e basta ascoltare gli innumerevoli testimoni per convincersi di questo- vedono solo una soluzione per uscire da questo inferno: l'Esercito Nazionale, il cui intervento – dicano quello che vogliono dire i falsari che dissimulano le verità scomode- viene desiderato e non temuto, rappresenta l'unica speranza di salvezza". Sottolinea ancora il diplomatico: "L'Esercito Arabo Siriano, che è composto da reclute, simboleggia l'unità della Nazione, Assieme al presidente Bashar al Assad, l'Esercito Nazionale siriano è la garanzia della personalità dello Stato e delle sue istituzioni. I residenti dei quartieri coinvolti nella disgrazia della "rivoluzione", stabiliscono spontaneamente la differenza tra l'esercito regolare e i selvaggi mercenari che pretendono di imporre una legge di altri tempi e non ci sono dubbi. Questo si riscontra quando scattano le foto per immortalare l'accoglienza che dispensano ai loro soldati che li liberano dei supposti "liberatori", come successo recentemente ad Homs".
La lettura dell'articolo dell'ex ambasciatore francese è in grado da sola di far sgretolare la montagna di false notizie che la stampa occidentale, tanto celebrata dai finti festival del giornalismo, ha riversato sull'opinione pubblica mondiale in questi anni. La responsabilità dei media è enorme. Soprattutto pensando ai morti che certe corrispondenze hanno occultato se non favorito.
Dalla Siria passiamo al Libano e Israele. Tel Aviv per la prima volta ha ammesso la sua impotenza di fronte ai missili di Hezbollah. Il direttore del ministero degli affari politici e militari israeliane, Amos Giladha, ha dichiarato che Israele non è riuscito a fermare Hezbollah dal rifornimento dei razzi ad alto potenziale, aggiungendo, quindi, che in futuro il regime israeliano si troverà ad affrontare una "tempesta" .
Queste parole sono state rilanciate dai media israeliani e libanesi. In Italia, ovviamente, non ve n'è traccia. La notizia è che l'Iran ha rifornito Hezbollah di un elevato numero di missili (e questo si sapeva) e lo ha fatto sotto il naso di Tel Aviv senza che se ne accorgesse (e questo fa indubbiamente sorridere). Allo stato attuale i miliziani di Hezbollah sarebbero in possesso di circa 100 mila missili. Laconico il commento del funzionario israeliano: "Questo è diventato una minaccia militare e non una minaccia terroristica". Alla faccia di quegli analisti italiani che ancora oggi, non memori della guerra del 2006, ipotizzano per Israele una facile vittoria in caso di guerra nel Libano del Sud. Si sa: in Italia c'è sempre qualcuno che è più realista del re. (twitter@AleAramu)


Il Pd terrorizza gli italiani sull'uscita dall'Euro

fatto quotidiano

Euro, quelli che ‘se ne usciamo ci sarà la corsa agli sportelli’ (Diritto di replica)

di Alberto Bagnai

10152879 10202791948033591 1249782009 nSiamo al redde rationem.
Mentre gli oligarchi, quelli per i quali i suicidi provocati dalla crisi sono “l’emersione di una contraddizione tale da aprire la strada a un progetto costituente europeo”, se ne stanno ben rinchiusi e defilati nei loro bunker, nelle strade, casa per casa, lotta un’improbabile armata Brancaleone di bambini soldato, mandati allo sbaraglio con argomenti tanto insulsi quanto terroristici. Fra questi, come spesso accade, il più convincente ad occhi inesperti è anche il più ridicolo agli occhi del professionista. Ma se il pubblico non coglie immediatamente il ridicolo, la colpa non è certo sua: la colpa è di un sistema dell’informazione volto da trent’anni a distorcere i più elementari fatti economici. Per ripristinare un minimo di buon senso, però, basta poco, come spero di chiarirvi se avrete la pazienza di leggermi.
Dunque: li avete mai sentiti quelli che raccontano che se si uscisse la nuova lira si svaluterebbe, e quindi, nell’imminenza di questa prospettiva, ci sarebbe una fuga di capitali all’estero, preceduta da una corsa agli sportelli (che gli espertoni chiamano bank run)? La conclusione dei nostri economisti improvvisati è che privando di liquidità il sistema economico italiano, questo fenomeno condurrebbe rapidamente l’Italia al collasso.
Ora, questo argomento è infondato per un semplice motivo: chi aveva soldi da portare all’estero lo ha già fatto, e ha fatto bene, per il semplice fatto che l’euro a 1.37 (diciamo 1.4, arrotondando) sul dollaro è troppo alto, come anche Prodi autorevolmente ci ha ricordato, il che apre la strada a due soluzioni: o l’euro si svaluta, o crolla sotto il proprio peso. La perdita da svalutazione quindi, da qui ai prossimi due anni, ci dovrà essere in ogni caso. Anch’io, che di soldi ne ho pochi, li ho portati all’estero, in modo del tutto legale, investendoli in un fondo dove ho pesato opportunamente dollaro e mercati emergenti, evitando l’Europa (il che non significa escluderla, perché non si devono mai mettere tutte le uova in un solo paniere, ed è sempre bene comprare “basso” per vendere “alto”). Punto. Chi ha senno fa così e lo ha già fatto (come credo abbiano fatto tutti quelli che mi leggono), perché non ha comunque senso investire in un continente che si sta suicidando e va da un rimbalzo del gatto morto al successivo. Se ti vuoi proteggere da una svalutazione, devi investire nella valuta rispetto alla quale sei rivalutato (cioè il dollaro) e se vuoi rendimenti devi investire in economie che crescono (Usa e emergenti).
La morale della favola è che agli intervistatori che con aria sapiente (“Eh, ora ti metto io in difficoltà!”) mi chiedono: “Ma lei cosa farebbe?”, io rispondo: “Niente, perché ho già fatto quello che c’è da fare. Lei no? Mi dispiace.”
Dirò di più.
Il rischio di svalutazione drastica, e in generale il “rischio paese” dell’Europa, è molto più remoto in caso di dissoluzione che in caso di mantenimento dell’euro. Paradosso? No, logica. Il nostro principale concorrente è e resta la Germania. Ora, se noi ci sganciamo da lei, solo un fesso patentato può pensare che la Bundesbank lasci cadere la nuova lira del 20% in una notte, non solo perché non è mai successo, ma anche perché far cadere del 20% la nuova lira significa alzare del 20% l’asticella della Germania, che ora è per lei convenientemente bassa, come affermano tedeschi tanto diversi quanto Hans-Olaf Henkel e Ska Keller. Germania e Italia hanno una struttura di vantaggi comparati molto simile e competono sugli stessi mercati terzi. Se noi ci sganciassimo dall’euro, sarebbe interesse della Germania non calcare troppo la mano e sostenere il nostro cambio, per non perdere importanti quote di mercato. D’altra parte, stando dentro lo “stabile” euro, ci è già successo di sperimentare svalutazioni contro dollaro del 20% pressoché istantanee. Guardate un po’ cos’è successo nel 2008, ad esempio:
bagnai-630x514 
Qualcuno ricorda fughe agli sportelli, inflazione al 20%, e altre amenità simili? I problemi erano, e sono, ben altri.
Mi preme anche farvi notare che se l’euro non scompare, l’unico modo per “risanare” le finanze pubbliche, devastate dal proprio generoso quanto vano tentativo di salvare la finanza privata, sarà quello di “ristrutturare” il debito pubblico. Gentile eufemismo per il più esplicito: dare il pacco ai creditori. Ora: con un haircut poniamo del 20% il creditore da un giorno all’altro si vede restituire il 20% in meno, ma il debitore non riallinea il proprio cambio e quindi, non recuperando competitività, non riesce nemmeno a restituire il restante 80% (è più o meno quello che sta succedendo in Grecia, se avete presente). Con una svalutazione del 20%, il creditore vede sì il 20% in meno, ma il debitore recupera competitività, cresce, e il restante 80% è in grado di restituirlo. Questa è logica. Dentro l’euro quindi c’è più rischio, per i creditori (buon motivo per sottopesare l’Eurozona nei portafogli). E allora perché tutti lo difendono?Ma è semplice: perché il Nord, come da prassi, vuole stravincere. I creditori del Nord sanno che il 20% (o più) è comunque perso, in un modo o nell’altro, ma elaborare questo lutto diventa più facile se pensi che comunque sei riuscito a mantenere i tuoi debitori in una posizione di inferiorità competitiva (impedendo alla tua valuta di rivalutarsi).
Giova ricordare che sarà anche vero che noi italiani ultimamente non abbiamo vinto nessuna guerra, ma i tedeschi in compenso le hanno perse tutte. La storia si sta ripetendo.
Permettetemi di concludere con la madre di tutte le dilettantesche scemenze: l’idea spesso espressa da economisti improvvisati secondo cui la famosa svalutazione del 50% (che non sarebbe tale perché i partner lo impedirebbero, come ho detto sopra) abbatterebbe del 50% in una notte (che non sarebbe una notte perché i riallineamenti anche ampi normalmente prendono almeno un anno) i nostri risparmi.
Scusate, ma i risparmi a cosa servono? In sintesi, a tirare a campare quando si smette di lavorare, no? Ora, io mi chiedo: ma voi, che oggi fate la spesa sotto casa, a 65 anni prenderete ogni giorno l’aereo per farla a Manhattan? Così, per sapere… I cialtroni terroristi sistematicamente confondono il valore esterno della moneta (il suo tasso di cambio) con quello interno (il suo potere di acquisto). Se l’euro si svalutasse del 50%, significherebbe (a spanna) che un dollaro costerebbe del 50% in più. Ma voi il latte sotto casa lo comprate in dollari? L’obiezione (ridicola) è: “Ma le materie prime si comprano in dollari!”. Ma ragazzi: il costo delle materie prime è solo una parte del costo finale del prodotto, le strategie di prezzo delle imprese sono orientate a comprimere i margini in caso di svalutazione per evitare di perdere quote di mercato, ecc. ecc. La morale della favola è che gli studi più recenti ci dicono che nei paesi europei una svalutazione si trasferisce sull’indice dei prezzi al consumo per circa il 23% nel lungo periodo. Quindi anche una svalutazione del 50%, del tutto improbabile, farebbe aumentare l’indice dei prezzi al consumo al massimo del 0.5×0.23=11.5% distribuito su più di un anno. Il che significa, in buona sostanza, che anche in questo scenario catastrofico l’incremento del tasso di inflazione su base annua sarebbe al massimo di 6 punti, sempre nell’ipotesi che il governo non attui contromisure, come, ad esempio, ridurre le accise sulla benzina messe da Monti, guarda un po’, per difendere l’euro. Se invece la svalutazione fosse di un più realistico 20%, come fra 1992 e 1993, l’impatto sull’inflazione in base annua sarebbe di due punti. Proprio quei due punti in più di inflazione che il buon Stefano Fassina chiede alla Bce di provocare… per difendere l’euro!
Ehi, amici, come devo dirvelo? Se tanto svaluteremo dentro o fuori dall’euro, se per difendere l’euro sarebbe opportuno che la Bce provocasse un’inflazione analoga a quella che ci aspetta se ne usciamo, e se per difendere l’euro dobbiamo mettere nuove imposte sulla casa e nuove accise (e in Italia un’accisa è per sempre), mi spiegate a cosa ci serve restare dentro l’euro? A sentirci bravi come i tedeschi? Se avete un complesso di inferiorità parlatene con uno psicanalista: farete felici il vostro (o la vostra) partner. Un economista, se non è un cialtrone, non vi dirà niente di diverso da quanto trovate scritto qui.
Riceviamo e pubblichiamo:
Il 19 maggio Alberto Bagnai sul suo blog mi attribuisce opinioni mai espresse. Citando a sproposito un passo di un mio saggio sostiene infatti che per me “i suicidi provocati dalla crisi sono ‘l’emersione di una contraddizione tale da aprire la strada a un progetto costituente europeo”. Si tratta di un’affermazione grottesca, perché io sostenevo – e sostengo – che è la contraddizione tra un mercato unico, una moneta unica e l’assenza di un governo europeo dell’economia ad essere così macroscopica “da aprire la strada a un progetto costituente europeo”. Questa contraddizione è la causa strutturale della crisi, ed è la stessa contro cui si scaglia da pochi anni Bagnai. Solo che lui vuole uscirne con un ritorno al passato, alle sovranità monetarie nazionali, che sarebbe un disastro, specialmente per i risparmiatori e i redditi fissi. La tradizione federalista la critica dalla firma del Trattato di Maastricht nel 1992 – dov’era Bagnai? – proponendo però il suo superamento in avanti, mediante la creazione di un governo federale europeo, dotato di poteri fiscali e della possibilità di emettere titoli di Stato europei (euro-project-bonds), almeno a livello dell’Eurozona. Il governo europeo potrebbe così lanciare un piano straordinario di investimenti per rilanciare l’economia e l’occupazione in termini socialmente ed ecologicamente sostenibili. Si tratta di una proposta che è diventata un’Iniziativa dei Cittadini Europei per un New Deal europeo (www.newdeal4europe.eu) promossa in tutta Europa dalle organizzazioni europeiste, dai sindacati, da organizzazioni della società civile come Libera e molte altre, oltre che da grandi personalità della cultura.Roberto Castaldi
Registro con interesse la replica del dott. Castaldi. Nel mio pezzo ho citato l’abstract del suo saggio, che ritenevo e tuttora ritengo una delle più lucide descrizioni del metodo politico adottato da chi, con grande spregiudicatezza, ha propugnato l’“emersione di contraddizioni”, cioè, in buona sostanza, la violenza di una crisi istituzionale ed economica, come metodo di governo per guidare il gregge europeo verso la Gerusalemme Celeste dei fantomatici Stati Uniti d’Europa. Sinceramente non mi ero proprio posto il problema di quanto il cittadino Castaldi si sentisse solidale con il progetto descritto dallo studioso Castaldi, un progetto che Luigi Zingales ha definito criminale perché articolato appunto sull’uso di crisi sostanzialmente premeditate (per usare i suoi termini). Va da sé che le parole estremamente esplicite del prof. Zingales vanno prese cum grano salis. Nessuno intende dire che Altiero Spinelli, Mario Albertini, né il dott. Castaldi (nella misura in cui si identifica con un progetto simile) avessero intenzioni omicide o intendessero istigare al suicidio chicchessia. Questo possiamo escluderlo. D’altra parte, è certo, e Castaldi lo conferma, che essi hanno dichiarato di aver compiuto scelte che sapevano essere tecnicamente sbagliate (forzare la mano sull’unione monetaria), e lo hanno fatto per provocare “contraddizioni”, cioè “crisi”. Forse, nel secondo dopoguerra, in un’economia in forte crescita, è possibile che si tendesse a sottovalutare il fatto che la disperazione determinata dalle crisi economiche così causate avrebbe avuto conseguenze funeste, come in molti casi è stato. Un giurista parlerebbe, credo, di dolo eventuale. Io preferisco parlare di paternalismo (scelta di un obiettivo politico effettuata dalle élite a prescindere dalla volontà espressa dal popolo) e di autoritarismo (adozione della violenza – in questo caso economica – come strumento per raggiungere l’obiettivo che le élite si sono date).
Apprezzo che il dott. Castaldi sia leale a un simile progetto nel momento in cui esso sta fallendo (e quindi si avrebbe tutto l’interesse a distanziarsene). Questo prova la sua buona fede. Sarebbe altrettanto apprezzabile che il dott. Castaldi non si esprimesse con leggerezza facendo terrorismo sulle conseguenze del superamento di questo gigantesco errore storico, e proponendo soluzioni che non sono né politicamente praticabili (poiché richiedono una solidarietà intra-europea che la crisi ha reso definitivamente impossibile), né tecnicamente risolutive. Ma questo dipende dal fatto che lui, a differenza di me, nel 1992 non stava scrivendo una tesi di dottorato in scienze economiche nella quale si dimostrava come in caso di debito pubblico elevato le politiche di austerità aggravano il male, anziché risolverlo. Sono studi chemi hanno permesso di prevedere nel 2011 il fallimento del governo Monti, e che oggi mi permettono di prevedere il fallimento dell’euro, con buona pace delle grandi personalità della cultura (quale?) che si ostinano a fermare il vento con le mani.