L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 28 giugno 2014

La prossima crisi le Banche Centrali non avranno strumenti per combatterla


FUGNOLI (Kairos) - Le Banche centrali hanno paura: ecco i quattro sintomi della prossima crisi

DAL BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di KAIROS - Al contrario dei mercati e dei governi, i banchieri centrali vedono all'orizzonte la possibilità di una crisi ancora più devastante di quella del 2008-2009 - Gli indicatori sono quattro: la demografia, la produttività deludente, l’altissimo livello di indebitamento e la scarsa inflazione.

Perché, con un tasso di disoccupazione praticamente dimezzato rispetto al 2009 e a pochi decimali dalla piena occupazione, la Fed appare sempre più aggressiva ed espansiva? Perché la Bce, con il pieno impiego in Germania e sotto lo sguardo severo dell’opinione pubblica tedesca, prepara per la fine anno il Quantitative easing, una misura che non ha mai voluto adottare negli anni scorsi? Non è l’ombra della crisi scorsa a fare perdere il sonno ai policy maker, ma quella della prossima.

Qui non vogliamo analizzare quanto sia giusta o sbagliata questa paura e nemmeno ci interessa più di tanto capire se le azioni di policy che ne stanno seguendo e che continueranno a seguirne nei prossimi anni siano la risposta più corretta. Vogliamo solo calarci nella loro testa e provare a capire che cosa vedono i loro occhi e cosa pensano, di conseguenza, le loro teste.

Oggi i mercati guardano se stessi, si compiacciono e si scambiano congratulazioni. I governi, dal canto loro, hanno fretta di dichiarare chiusa per sempre la crisi e diffondono ottimismo. I banchieri centrali, nella loro solitudine, vedono invece la possibilità di una crisi ancora più devastante di quella del 2008-2009.

Quali sono le difese immunitarie compromesse che i policy maker ritengono di vedere e che i mercati hanno invece dimenticato? Sono la demografia, la produttività deludente, l’altissimo livello di indebitamento e la scarsa inflazione.

Se l’Arabia Saudita non avesse il petrolio sarebbe un paese poverissimo. Se gli Stati Uniti non avessero il boom del gas e del petrolio non convenzionali, questa benedizione capitata proprio negli anni immediatamente successivi al 2008, la loro crescita, già adesso più debole rispetto agli anni precedenti la crisi, sarebbe ancora più bassa e due milioni di posti di lavoro (destinati a diventare tre entro la fine del decennio) mancherebbero all’appello.

Il boom energetico ha avuto la grazia di capitare, mese più mese meno, nel momento in cui la popolazione dei Baby Boomers ha cominciato ad avviarsi verso la pensione e a fare deteriorare rapidamente il profilo demografico del mercato del lavoro da una parte e i conti previdenziali e sanitari dall’altra.

All’amministrazione Obama va dato atto di avere messo da parte gli scrupoli ambientalisti (dirottati sulla lotta al carbone, estratto in stati repubblicani) e di avere abbracciato il salvagente che cadeva dal cielo. Se si fosse scelto diversamente, all’europea, avremmo un prezzo mondiale del petrolio di 10-20 dollari più alto e un’economia americana incapace di trainare la tiepida accelerazione globale in corso.

Quanto alla produttività, il balzo è stato grande, nel 2009-2010, quando le imprese hanno imparato a produrre quello che producevano prima della  crisi con milioni di occupati in meno. Una volta stabilizzata la situazione, però, la produttività, non essendo nutrita da investimenti, è scesa verso zero.

La bassa crescita ha indotto una generazione di giovani a stare più a lungo presso I genitori, a rinviare la formazione di una famiglia, l’acquisto di una casa propria e ha quindi ridotto a sua volta la crescita demografica, colpita anche su un fronte ulteriore, quello dell’immigrazione. Più vecchi, meno figli e meno immigrati, tre situazioni destinate a permanere nel prossimo decennio, hanno indotto alcuni economisti a tagliare drasticamente la crescita potenziale del Pil americano.

Il terzo cavaliere dell’Apocalisse è il livello d’indebitamento, globalmente aumentato del 30% rispetto a prima della crisi e in forte crescita proprio nei punti deboli del sistema. Ci accorgiamo poco della cosa perché i tassi a zero hanno reso il servizio del debito molto leggero, ma la vulnerabilità rispetto all’eventualità di tassi reali in aumento è massima, globale e sistemica.

L’inflazione bassa è il quarto grande incubo di molti policy maker, perché aumenta i tassi reali e non sgonfia lo stock di debito esistente. L’inflazione bassa costringe poi le banche centrali a tenere i tassi nominali a zero e rende impossibile abbassarli ulteriormente in caso di ricaduta.

Visto in questo modo, quindi, il mondo che entrerà nella prossima crisi avrà meno produttività, meno crescita, molto più debito (questa volta anche nei paesi emergenti, anche se si tratta di debito privato) e meno inflazione che nel 2007. I banchieri centrali, dal canto loro, avranno molto meno spazio per tagliare i tassi.

Una volta indossati questi occhiali, molte cose diventano chiare. Le banche centrali vogliono, fortissimamente vogliono, più inflazione. Vogliono anche che questa inflazione cresca più velocemente dei tassi, in modo da rendere i tassi reali sempre più negativi.

Se il mercato accetterà docilmente livelli crescenti di repressione finanziaria bene, altrimenti si procederà d’autorità. A livello europeo sono allo studio misure di azzeramento temporaneo delle cedole sui titoli pubblici mentre la Fed  discute l’introduzione di una tassa di uscita per chi vorrà vendere fondi in momenti di crisi di mercato.

Non va visto solo il lato negativo di questo assetto mentale dei policy maker. Il lato positivo è il mantenimento di politiche monetarie che, con la caduta dei tassi reali che l’inflazione renderà possibile, saranno sempre più espansive. La speranza è che i linfociti riprendano a salire, che i figli grandi escano di casa e generino dei nipoti, che le imprese con i macchinari ormai usurati si decidano finalmente a investire. Pazienza se ci sarà una bolla delle borse (a condizione che non sia così grande da generare troppa volatilità). E pazienza se i detentori di reddito fisso subiranno una repressione finanziaria più dura. 

Stati Uniti ridicoli con tutte le atomiche che hanno fanno storie sul nucleare dell'Iran

Verso un accordo sul nucleare iranianioNucleare iraniano
27 giugno 2014

Meeting dei P5+1 e Irang

Si è concluso il quinto e penultimo round di colloqui per stipulare un accordo definitivo sul nucleare iraniano. Com’è andata?

Tra il 16 e il 20 Giugno i rappresentanti dei P5 +1 (Membri permanenti del Coniglio di Sicurezza + Germania) e la delegazione iraniana sono tornati a discutere a Vienna sulle condizioni essenziali per sottoscrivere un patto globale sulla questione. Nulla di nuovo emerge dopo 5 giorni di incontri, che rimandano la stesura di un’intesa al meeting del 2 Luglio.

DOSSIER APERTO – Si riaccende il dibattito internazionale per trovare entro il 20 Luglio un punto di incontro sul discusso e complesso dossier nucleare iraniano. A Vienna nulla di fatto. Sembra che lo storico impasse negoziale abbia colpito anche la presidenza Rouhani che rimane però aperta a dialogare con l’Occidente e si dice positiva circa il raggiungimento degli obiettivi congiunti. Dopo cinque giorni di colloqui le divergenze tra le parti rimangono sostanziali. Ancora non è stato accettato il numero delle centrifughe che rimarranno attive in Iran, l’indice massimo di arricchimento dell’uranio né la tabella di marcia per il sollevamento completo delle sanzioni. Quest’ultimo elemento, infatti, è la conditio sine qua non iraniana per una soluzione di accettabile compromesso.

I COLLOQUI DI VIENNA… – …si sono aperti con l’incontro tra l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE Catherine Ashton e il Ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. I due hanno discusso sulle necessità di maggior trasparenza del programma nucleare di Teheran. La determinazione iraniana nello sviluppare tecnologia dual use (potenzialmente impiegabile sia per uso civile che per quello militare) fa crescere quel margine di ambiguità che circonda il programma nucleare. La mancanza di fiducia, infatti, ha storicamente impantanato i dialoghi e irrigidito le singole posizioni: “Non sappiamo ancora se l’Iran è pronto a prendere tutte le misure necessarie per garantire al mondo che il suo programma nucleare è e resterà esclusivamente pacifico”, ha aggiunto Wendy Sherman, Sottosegretario di Stato americano per gli affari politici, una posizione che riflette soprattutto i timori della delegazione statunitense.

La serie di incontri svoltisi negli ultimi mesi riprendono i temi pattuiti lo scorso 9 Novembre a Ginevra in unaccordo interinale, valido sei mesi ma prorogabile per altri sei. Le clausole poste dall’intesa, firmata il 20 Novembre ed entrata in vigore 2 mesi dopo (e definita da Israele “errore storico”) impegnavano l’Iran a mantenere metà dello stock arricchito al 20% per alimentare il reattore della capitale (per ottenere un ordigno atomico è necessario raggiungere il 90%), congelare il restante materiale fissile al 5 %, permettere l’accesso degli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) agli impianti di arricchimento di Natanz e ai reattori di Arak, e interrompere il programma di arricchimento. In cambio la comunità internazionale si impegnava ad alleggerite le sanzioni internazionali, eccetto quello che riducono la vendita petrolifera, non imporne delle nuove, e sbloccare 4,2 dei 60 miliardi di dollari di proventi della vendita di gas e petrolio congelati nelle banche asiatiche.

Hassan Rouhani

ROTTURA COL PASSATO – Contrariamente a quanto si è assistito con gli ultraradicali al potere, quando il programma nucleare era la punta di diamante di una retorica intransigente (non solo iraniana), la Repubblica Islamica appare oggi più moderata, consapevole della necessità di trovare una mediazione per ridurre l’impatto catastrofico delle sanzioni sull’economia interna. Essa soprattutto avverte l’esigenza di uscire dall’isolamento internazionale in cui era stata volutamente collocata. Nonostante permangano linee di frizione tra le parti ,Teheran mantiene ferma la volontà di continuare “ad oltranza” le trattative fino alla firma di un patto definitivo, senza fare marcia indietro su quello che dichiara essere suo diritto imprescindibile di arricchire uranio nelle centrali nucleari.

RUOLO REGIONALE – Il difficile percorso verso la redazione di un accordo definitivo e globale, incontral’ambizione dell’Iran di imporsi quale pivot e crocevia strategico nell’area. Una potenza regionale di primo piano che per rompere l’isolamento diplomatico e risollevare l’economia stagnante ha bisogno di dialogare con l’Occidente. Il meeting di Vienna e l’intero iter negoziale assumono così una valenza cruciale per l’Iran di Rouhani, desideroso di reinserirsi nel gioco regionale. I colloqui della scorsa settimana, tra l’altro, si sono svolti in concomitanza delle complesse vicissitudini che stanno affliggendo lo scenario iracheno, assediato dalle forze jihadiste sunnite dell’ISIS. La pericolosa faglia fondamentalista apertasi in Iraq è un elemento non secondario per Teheran che, grazie alla sua stabilità interna, potrebbe assurgere a ruolo di stabilizzatore nell’area e interferire direttamente nella lotta anti qaedista. Proprio in questo periodo gli Stati Uniti hanno ridotto le relazioni con l’alleato saudita (finanziatore indiretto dei movimenti sunniti nella regione) ai minimi storici, mostrando una possibilità a dialogare con Teheran per la risoluzione della polveriera irachena.

Chissà se proprio gli eventi di confine possano creare la situazione favorevole per accelerare il processo di distensione tra Iran e Stati Uniti e mettere la parola fine alla lunga diatriba della questione nucleare.
Giorgia Perletta

http://www.ilcaffegeopolitico.org/19188/verso-accordo-nucleare-iraniano

venerdì 27 giugno 2014

Viktor Orban vota contro la Merkel e i suoi servi

Ue: premier ungherese, Juncker? Io non lo appoggio



( AGI) - Budapest, 27 giu. - A poche ore dalla ripresa dei lavori del Consiglio Europeo a Bruxelles, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha ribadito di non avere alcuna intenzione di sostenere la candidatura di Jean-Claude Juncker quale nuovo presidente della Commissione Ue, anche se si e' detto certo che l'ex premier lussemburghese sara' eletto a vastissima maggioranza. 
http://www.agi.it/ultime/notizie/articoli/201406270833-est-rom0009-ue_premier_ungherese_juncker_io_non_lo_appoggioy

la comunità ungherese è un esempio, ha Sovranità Nazionale, Politica, Monetaria e Territoriale

Ungheria fuori dalla crisi. Ecco come ha fatto...

Identità, principi nazionalisti, sovranità: Budapest diventa un esempio


Spesso abbiamo parlato di "ricetta ungherese" per uscire dalla crisi. Una ricetta tutta identitaria, senza rompere con l'Europa (cosa ben diversa dalla Troika) e saldamente legata a principi tradizionalisti, solidaristi e sovranisti, senza cadere in inutili nostalgismi o folclorismi da baraccone.
L'Ungheria inoltre non può essere considerato un caso sporadico,  tipo l'Islanda: si trova nel cuore del Vecchio Continente, vanta una storia millenaria ed oggi continua ad essere guidata da un movimento politico che da decenni rappresenta la maggioranza della nazione. Inoltre i suoi leader hanno ricoperto incarichi di altissimo livello in campo internazionale.
Fidesz (Unione Civica Ungherese) è il partito, inizialmente considerato conservatore e di centro- destra, ma di fatto "solidarista e comunitarista" ungherese, fondato nel 1990, guidato dal suo storico leader Viktor Orbàn, che da circa cinque anni domina la scena politica nazionale, avendo raggiunto il 53% dei consensi durante le amministrative del 2010 e il 48% in quelle del 2014. Dopo le ultime elezioni europee è entrato prepotentemente anche nella scena europea, inviando a Bruxelles i suoi deputati euro scettici.
Purtroppo in Italia l’argomento è pressoché sconosciuto. È bene, dunque, che si sappia che in Ungheria, l’attuale governo Orbàn ha tagliato per tre anni di seguito le bollette della luce, del gas e della nettenza urbana del 20%. Ha tagliato il numero di parlamentari da 386 a 199, ha tagliato il ticket dei trasporti del 10% e l’Iva per gli alimenti dal 27 al 5%. È bene che si sappia che l’Ungheria è un paese che nel 2015 vedrà il suo PIL crescere dell’1,2% e la sua disoccupazione scendere in soli cinque anni dall’11,8 all’ 8,1%.  È bene che si sappia che Orbàn ha alzato del 18% il salario minimo di tutti i lavoratori, privati e pubblici e che ha aumentato le tasse alla banche e alle imprese assicuratrici.
Manovre economiche e sociali rese possibili solamente grazie a coraggiose prese di posizione governative.
In primis, grazie alla schiacciante maggioranza ottenuta dopo le elezioni del 2010, che ha consentito agli uomini di Fidesz di ottenere 2/3 dei seggi in Parlamento e modificare la Costituzione.
Orbàn ha così potuto anticipare il pagamento in contanti del debito di venti miliardi (pagato in tre valute: dollaro, euro e sterlina) con il Fondo Monetario Internazionale, liberandosi definitivamente del suo cappio alla gola, senza fare i conti con opposizioni al soldo della finanza internazionale.
In questo modo: ha obbligato gli studenti magiari che si sono laureati con gli aiuti statali a non abbandonare il paese per 10 anni, ha vietato la definizione di “famiglia” alle coppie non spossate o omosessuali, ha limitato la libertà di espressione se offende la dignità della nazione ungherese. Inoltre, ha nuovamente nazionalizzato la Banca Centrale Ungherese, ora sotto controllo governativo che consente e consentirà di stampare banconota in futuro senza chiedere prestiti agli enti privati internazionali.
A coronamento di ciò Orbàn ha recentemente dichiarato che “In Ungheria non c’è posto per l’Unione Europea al servizio delle banche private”, ma solo per un'Europa dei popoli, unita politicamente, da un'unica politica estera, che guardi a Putin e Mosca e libera dagli Usa. Infine pochissimi sanno che Orbàn ha consacrato l'Ungheria al Sacro Cuore della Vergine Maria ed ha abrogato la legge sull'aborto, fermando l'olocausto di migliaia di bambini ungheresi.
E in Italia cosa dicono sull’Ungheria? I media e i quotidiani più importanti generalmente tacciono. Alcuni lodano le azioni coraggiose di Orbàn, altri, invece, le criticano (per lo più voci liberali e filo marxiste). Accusano Orbàn di essere un nemico della democrazia, artefice di un vero golpe che ha limitato i poteri della magistratura, ha reso “associazione criminale” il partito Comunista. Altri lo accusano di essere uno pseudo massone.  E infine la chicca: la sovranità monetaria viene criticata per la solita storia del rischio inflazione.
Ciò che va sottolineato è che in Europa oltre a Grecia, Francia, Austria, Danimarca e perfino Germania, anche l’Ungheria sembra essersi svegliata da un sonno profondo (seppur con una storia diversa dai paesi sopra citati). Movimenti nazionali e sociali hanno finalmente raggiunto una buona base di consenso in tutto il vecchio continente smascherando ipocrisie e bugie dei movimenti democratici strumento della finanza internazionale. Mancano, però, ancora tanti pezzi per unire questo puzzle europeo.
Giuliano Castellino

Tablet e smartphone, il governo fa ancora un furto, un'ulteriore tassa

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Confindustria Digitale: ingiustificato aumento compenso copia privata

(ASCA) - Roma, 26 giu 2014 - ''Riteniamo l'aumento del compenso per copia privata annunciato dal Ministro Franceschini non solo una misura del tutto ingiustificata rispetto agli attuali trend tecnologici e di consumo, ma anche un segnale in contrasto con l'esigenza, riconosciuta prioritaria dallo stesso Governo Renzi, di favorire l'innovazione digitale nel Paese''. E' quanto affermato da Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, federazione che rappresenta le aziende dell'informatica, telecomunicazioni e dell'elettronica di consumo, nel corso di una conferenza stampa tenutasi questa mattina a Roma a cui hanno preso parte anche Cesare Avenia, presidente di Assostelecomunicazioni-Asstel , Salvatore Paparelli consigliere Anitec e responsabile Sony Europe ed altri rappresentati dell'industria del settore. Il decreto, finora reso noto solo attraverso un comunicato stampa del Ministro Franceschini stabilisce gli aumenti del compenso dovuto agli aventi diritto (autori di opere audiovisive) a titolo di risarcimento per l'eventuale copia legale fatta dal consumatore, che graveranno sui prodotti digitali. Considerando i trend di crescita del mercato di consumo elettronico nel 2014, si stima un gettito totale per le casse Siae di circa 157 milioni di euro, con un aumento del 150% rispetto al 2013. Vista l'entita' delle cifre e considerando anche la forte pressione competitiva e sui margini che caratterizza il settore dell'elettronica di consumo, non e' difficile prevedere che tali aumenti graveranno inevitabilmente sulla dinamica dei prezzi, irrigidendo, per esempio, la politica delle offerte e degli sconti. ''Con questo decreto siamo di fronte a una situazione paradossale - ha continuato Catania - da una parte emerge un comportamento dei consumatori italiani per fruire di opere audiovisive perfettamente in linea con le tendenze tecnologiche piu' avanzate, che privilegia lo streaming e il cosiddetto cloud storage, per i quali i diritti d'autore e di copia sono corrisposti ai titolari dai gestori delle piattaforme digitali, mentre la copia privata tende a diventare un fenomeno sempre meno diffuso. Questo comportamento rappresenta un trend da valorizzare come enorme opportunita' di sviluppo per l'industria culturale. Nel provvedimento del Mibac, invece, questi cambiamenti non sono stati tenuti nella dovuta considerazione. Cosi' come non considerato e' stato il contributo offerto dall'industria digitale in questi mesi di contatti per giungere a un compenso che riflettesse la realta' e le dinamiche del mercato''. Il presidente di Confindustria Digitale ha poi sottolineato che ''con gli attuali aumenti, tra l'altro, la funzione del compenso da copia privata da residuale, come previsto dalla legge, diventa una componente sostanziale, assumendo il carattere di vero e proprio sussidio verso l'industria della cultura. Ed e' per noi inaccettabile che attraverso un provvedimento unilaterale del Ministero dei Beni Culturali si faccia politica industriale disponendo il trasferimento di risorse da un settore economico a un altro. Un atto, oltrettutto, che ci disallinea completamente rispetto a quanto accade rispetto gli altri paesi europei''. ''In questo quadro riteniamo ormai indispensabile che il regime dell'equo compenso venga profondamente revisionato includendo nel sistema decisionale valutazioni e competenze, affinche' in esso vengano considerati gli interessi dell'industria digitale e dei consumatori e assicurata la corrispondenza fra prelievi ed effettivo uso della copia privata - ha concluso Elio Catania - ''Non c'e' contrapposizione fra industria digitale e quella della cultura. Confindustria Digitale da tempo si batte ed e' impegnata su questo punto. La collaborazione fra il nostro e quello dei contenuti, che ha gia' messo a segno un importante risultato con il regolamento dell'Agcom contro la pirateria on line, e' fondamentale. Le piattaforme digitali rappresentano un orizzonte potenzialmente illimitato per raggiungere nuovi pubblici e devono poter costituire anche da noi quel trampolino di lancio di nuovi modelli di business, coi' come sta emergendo nel resto del mondo''.
http://www.asca.it/news-Confindustria_Digitale__ingiustificato_aumento_compenso_copia_privata-1399689-ECO.html

Corruzione, Cantone ora sei solo

Expo: Maroni, finalmente decreto ora lotta contro il tempo -2-


Incerti i tempi trasferimento societa' da Provincia e Regione (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Lecco, 26 giu - Il decreto per le deleghe all'Autorita' anticorruzione "e' stato pubblicato, e' entrato in vigore e ha dato i poteri" a Raffaele Cantone "che ho incontrato stamattina per uno scambio di opinioni sulle cose da fare: adesso aspetta a lui dare attuazione al decreto". Lo ha detto il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, sottolineando che "lo stesso decreto prevede il trasferimento delle societa' in capo alla Provincia che fanno infrastrutture connesse a Expo, in particolare la Pedemontana e la Serravalle". I tempi dell'attuazione di questo trasferimento pero' appaiono incerti. "Il decreto - ha lamentato Maroni - dice che il trasferimento deve avvenire entro fine giugno, ma il decreto doveva essere fatto entro il 13 di giugno, allora e il tempo c'era". Adesso, ha aggiunto, "avendolo fatto due giorni fa stiamo correndo. Ma ho gia' incontrato il presidente del tribunale, la dottoressa Pomodoro, che deve nominare una commissione: insomma stiamo gia' al lavoro". Alla domanda se e' fiducioso Maroni ha risposto di "si': e' una corsa contro il tempo, ma noi siamo super impegnati".
http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/radiocor/economia/dettaglio/nRC_26062014_1835_561109083.html

Privatizzare è la parola d'ordine del capitale neoliberista, la crisi serve per accaparrarsi pezzi di beni comuni, altro pezzetto del Progetto Politico dell'Euro

In Spagna si privatizza: i grandi aeroporti diventano Spa

(Teleborsa) - La Spagna è in vena di privatizzazioni, soprattutto per esigenze di bilancio.
Il governo di Mariano Rajoy ha deciso di mettere in vendita alcuni pezzi del settore trasporti iberico: le ferrovie e gli aeroporti. In particolare si parla della cessione del 49% di Aena - Aeropuertos espanoles y navegacion aerea, il maggiore operatore aeroportuale al mondo con quasi 200 milioni di passeggeri all'anno, che potrebbe fruttare un gran bel gruzzoletto: più o meno otto miliardi di euro. Ripianati i debiti allo Stato resterebbero 2,45 miliardi euro. Il goveno spagnolo ha annunciato che la vendita avverrà in due fasi: la prima pari al 21% del capitale a favore di un “nucleo stabile” di investitori privati e la seconda, pari al 28%, con un'offerta pubblica in Borsa. Ma le sorprese non sono ancora finite. Il ministro dei lavori pubblici, Ana Pastor, sembra intenzionato a privatizzare anche il monopolio dell'azienda ferroviaria di Stato RENFE. “Vogliamo fornire al mercato del trasporto ferroviario una maggiore offerta di servizi”, ha dichiarato Pastor, “e, in secondo luogo, prezzi più competitivi grazie alla crescita delle competenze. E vogliamo aumentare l'utilizzo dei trasporti su rotaia”.

NoTav, Antonio Rinaudo, il pm con strane amicizie con la 'ndrangheta

Tav sotto la lente dell’Antimafia

Pubblicato Giovedì 26 Giugno 2014, ore 21,47

Il cantiere di Chiomonte e il Terzo Valico sono sorvegliati speciali. Dietro la scontata liturgia delle audizioni a Torino della Commissione parlamentare traspare la preoccupazione per le infiltrazioni malavitose nelle grandi opere. Procura al lavoro

Tav Terzo Valico sono “sorvegliati speciali”. È quanto emerso nella prima giornata della Commissione parlamentare Antimafia in trasferta sotto la Mole. Al netto della liturgia, a dirla con franchezza stantia e abbastanza scontata, di questo appuntamento con le istituzioni locali, l’aspetto degno di nota è che il cantiere diChiomonte e i lavori sull’asseGenova-Alessandria destano forte preoccupazione negli investigatori che, a dar retta alle indiscrezioni, avrebbero raccolto elementi circostanziati di infiltrazioni, quando non di vera e propria presenza diretta, della criminalità organizzata calabrese. Una ditta, in particolare, sarebbe oggetto di serrati controlli, anche se non opererebbe più in Valsusa da un paio d’anni (ma avrebbe ottenuto appalti in molte amministrazioni comunali). C’è il segreto istruttorio e le notizie sono frammentarie. Una cosa è certa, la denuncia che da tempo arriva dal movimento No Tav avrebbe trovato più di un riscontro nell’azione preventiva di quella struttura interforze denomina Gitav, coordinato da un colonnello dei Carabinieri, composto anche da uomini della Dia (Direzione Investigativa Antimafia). Al punto che oggi ne sarebbe stata chiesta l’estensione anche sul Terzo Valico, in coordinamento con le prefetture di Genova e Alessandria. L'operazione Minotauro che ha scoperchiato la rete di infiltrazioni in Piemonte avrebbe aperto la porta ad altre attività investigative che sarebbero prossime alla conclusione.

Per il resto, la missione ha seguito i canoni classici e abbastanza scontati. L’allarme sulla penetrazione della mafia al Nord, anticipata da interviste e interventi della presidente della Commissione Rosy Bindi. La mafia c’è, al Nord come al Sud. Ed è una presenza «impressionante» per il radicamento, che si annida all’ombra dei piccoli Comuni e alla violenza preferisce la corruzione e la ricerca del consenso, anche quello politico: questo il quadro allarmante che è emerso dal primo rapporto trimestrale “Le mafie al Nord”, presentato in serata a Torino. Occasione della visita dell’Antimafia, il 31° anniversario dell’omicidio di Bruno Caccia, il procuratore capo di Torino vittima di un agguato il 26 giugno 1983 per il quale viene chiesto di riaprire il processo. Una data simbolica per ricordare, come evidenzia il rapporto commissionato dall’osservatorio Criminalità organizzata dell’Università di Milano, che la mafia «è ovunque».

Al Nord le aree più colpite sono la Lombardia, in particolare nella zona intorno a Monza-Brianza, e il Piemonte (Torino e provincia); seguono Emilia Romagna, Liguria, in particolare l’Imperiese, e poi il Veneto. La Bindi ha osservato che «questo Rapporto dimostra come ci sia una “zona grigia” in cui tutti, se non consapevoli, rischiano di essere complici: parlo di politici di tutti i livelli, dai piccoli sindaci ai consiglieri regionali e ai parlamentari, agli amministratori. E anche avvocati, imprenditori che se sanno non parlano. Nessuno deve invece tacere, se sa». A descrivere meglio di tante parole l’avanzata delle mafie al Nord ci sono i dati relativi alla penetrazione delle cosche negli anni: 306 arresti in Lombardia; 271 in Piemonte; 55 in Liguria; 37 in Emilia Romagna; 58 nel Veneto. Ancora, sei Comuni sciolti per mafia: Bardonecchia, Leinì e Rivarolo Canavese in Piemonte; Bordighera e Ventimiglia in Liguria; Sedriano in provincia di Milano. Il rapporto certifica anche una grande quantità di beni confiscati: 1186 unità confiscate in Lombardia; 181 confische in Piemonte; 158 in Liguria; 111 in Emilia Romagna; 88 in Veneto; 19 in Friuli; 32 in Trentino. Ancora: si individuano 95 Comuni sotto i 5mila abitanti coinvolti in vicende mafiose nei quali sono stati confiscati beni o individuate basi della ‘ndrangheta. La battaglia contro la criminalità organizzata, insomma, si presenta difficile anche al Nord: «Non possiamo pensare che solo la magistratura abbia il compito di lottare contro la mafia - è l’appello della Bindi - Loro, con le indagini, lavorano sul passato, noi tutti dobbiamo contribuire affinché la lotta sia cosa quotidiana».

Ilva abbandonata, lo vuole l'Europa, così si crea disoccupazione, governo imbecille

L'acciaio europeo si salva se chiude l'Ilva

La banca svizzera Ubs chiede la chiusura dell'impianto siderurgico tarantino. "In Europa esiste una sovracapacità produttiva di acciaio; è giusto fare a meno dell'industria più obsoleta e pericolosa che ci sia in giro"
L’Europa scarica l’Ilva. Lo fa attraverso il potente - e pervasivo - sistema finanziario che governa le istituzioni politiche. Uno studio redatto dalla banca svizzera Ubs, il cui titolo è tutto un programma “Il futuro dell’Ilva, il destino dell’industria siderurgica europea”, non lascia spazio ad alcun dubbio. Nel vecchio continente esiste un problema di sovracapacità produttiva per quel che concerne l’acciaio. Un eccesso dell’offerta calcolato in 20 milioni di tonnellate annue. Ragion per cui è quantomai necessario tagliare. Da dove iniziare se non dall’impianto più vecchio e mal ridotto che esiste in giro. Quello che in tutti questi anni, con la complicità dello Stato (e non solo), ha determinato morte e malattie tra gli abitanti della terza città dell’Italia meridionale.
Della serie: per salvare la produzione d’acciaio in Europa è necessario che l’Ilva chiuda e la si faccia finita con un’industria obsoleta e sotto tutela giudiziaria. Ubs sconsiglia vivamente ArcelorMittal dall’acquisire le quote di maggioranza dell’impianto tarantino. Un investimento che nel giro di pochi anni, si legge nelle note a margine dello studio redatto dall’istituto di credito elvetico, si rivelerebbe fallimentare. Sembra non esistere alcuna soluzione di continuità tra la maggiore impresa italiana e il Paese: ambedue legate dallo stesso destino e sconfitte sul terreno dell’affidabilità e della serietà. Non è un caso che, proprio sulle politiche ambientali, l’Europa consideri l’Italia uno Stato canaglia. Non c’è che dire: il semestre dell’Unione a guida italiana meglio non poteva iniziare per don Matteo.

governo pagliaccio, con la massima flessibilità possibile non si potranno assorbire nessuno dei 7,7 milioni di disoccupati


Ue, Gozi: bene su flessibilità nuova bozza conclusioni vertice

"I nuovi commissari Ue dovranno attenersi a queste posizioni"

Bruxelles , 27 giu. (TMNews) - La nuova bozza di conclusioni del Consiglio europeo sull'agenda strategica dell'Ue per i prossimi cinque anni "va molto bene, siamo molto soddisfatti". Lo ha detto oggi a Bruxelles il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi.

Con il vertice in corso nella capitale belga, ha spiegato Gozi, "tutti i leader cominciano un nuovo ciclo politico dicendo che bisogna fare 'l'uso migliore della flessibilità' presente nel Patto di Stabilità (un miglioramento rispetto alla precedente formulazione sul 'buon uso', ndr), che bisogna tener conto dei costi delle riforme strutturali che avvengono in un contesto di crescita estremamente bassa. Inoltre, si dice che bisogna definire un quadro per gli investimenti per progetti di lungo periodo, e si parla di aumento della capacità finanziaria e di sviluppo di nuovi strumenti finanziari, e non solo di utilizzare quelli esistenti, aggiungendo che bisogna fare 'pieno uso dei Fondi strtturali dell'Ue, un punto nuovo nella bozza di conclusioni, a cui diamo molta importanza". I progetti da finanziarie, sottolinea la bozza, riguardano le infrastrutture dei trasporti, energia, telecomunicazioni, l'efficienza energetica, innovazione e ricerca, educazione.

I leader, ha ribadito Gozi, "hanno dato particolare attenzione alle riforme strutturali al servizio della crescita, tenendo conto, però, che devono essere attuate in un contesto di crescita del Pil nominale molto bassa". Quanto alle garanzie che questo nuovo corso e la maggiore flessibilità richiesta nell'applicazione del Patto di Stabilità siano effettivamente messi in opera dalla nuova Commissione Ue, Gozi ha osservato che, con questo Vertice Ue, "noi abbiamo riconfermato le nostre posizioni, e a queste - ha concluso -dovranno attenersi i nuovi commissari Ue".
http://www.tmnews.it/web/sezioni/esteri/ue-gozi-bene-su-flessibilita-nuova-bozza-conclusioni-vertice-PN_20140627_00066.shtml

Leninismo, fa bene il neoliberismo ad averne paura, è una forza che ama la giustizia e la libertà

L'Economist attacca Papa Francesco: "È un leninista"

A scatenare le ire dell'Economist, il settimanale finanziario fondato nel 1843 con l'esplicito scopo di "sostenere la causa del liberismo", sono state le parole di Papa Francesco rilasciate in un'intervista al quotidiano catalano La Vanguardia: "Stiamo scartando una generazione intera per tenere in vita un sistema economico che non si regge più. Questo è un sistema che per sopravvivere deve fare la guerra (...) Si producono e si vendono armi, e così le grandi economie mondiali si risanano sacrificando l’uomo all’idolatria del denaro".
Il capitalismo causa delle guerre? Non sia mai! L'Economist non può tollerare che certe tesi circolino - addirittura per bocca del Pontefice - e così decide di passare al contrattacco: "Dichiarando un collegamento diretto tra capitalismo e guerra, sembra prendere una linea ultra-radicale: una linea che – consapevolmente o meno – segue quella proposta da Vladimir Lenin nella sua analisi di capitalismo e imperialismo e di come siano stati la causa dello scoppio della Prima guerra mondiale, un secolo fa".
Nel seguito i toni si fanno un po' meno estremi, anche se il tono condiscendente con cui l'Economist tratta Bergoglio ("non certo un intellettuale come Ratzinger") potrebbe far storcere il naso a molti. Anche perché non è detto che il parlar semplice di Francesco significhi che alla base non ci sia una solida competenza teorica. Il settimanale di Londra infatti prosegue: "Il suo approccio è legato all’intuito e le sue affermazioni possono anche essere sagge. Francesco potrà anche non offrire tutte le risposte o analizzare le cose in modo corretto, ma sta ponendo le domande giuste, come il ragazzino che osserva l’imperatore nudo".
L'articolo intero lo potete trovare qui, a noi non resta che segnalare che Papa Francesco aveva già risposto a critiche del genere, spiegando come il suo non fosse comunismo, ma Vangelo.
http://www.polisblog.it/post/245309/leconomist-attacca-papa-francesco-e-un-leninista?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+polisblog%2Fit+(polisblog)

..South Stream le stupidaggini degli europoidi non si possono contare. Russia parte integrante della cultura europea


Tap e South Stream: i due pesi e le due misure dell’Europa

di Demostenes Floros*
La Commissione Europea stende il tappeto rosso al progetto per portare il gas azero nell'Ue, mentre blocca la pipeline partecipata da Gazprom. Una strategia miope.
Tap, il gasdotto di 870 km progettato per trasportare il gas azero verso l’Europa, è stato accolto dall’Ue con il tappeto rosso, ottenendo tutte le esenzioni dalle regole europee sulle reti di trasmissione che aveva richiesto.

L’infrastruttura è stata scortata attraverso tutte le tappe regolatorie stabilite dalla normativa europea, mentre Socar (compagnia petrolifera statale azera) è stata accolta benevolmente nella gara per Desfa (azienda greca di distribuzione del gas, filiale di Depa), nonostante i rischi per la concorrenza derivanti dalla sua candidatura
Al contrario, il gasdotto South Stream, progettato per trasportare il gas dalla Russia all’Unione Europea attraverso il Mar Nero - bypassando i rischi del transito in Ucraina - ha recentemente incontrato una serie di ostacoli. La partecipazione di Gazprom nella gara per Depa è stata scoraggiata. A fine maggio, infine, la Commissione Europea è giunta a suggerire di sospendere il progetto. Come giustificare una simile discriminazione?

Il cosiddetto Terzo pacchetto energia (Tpe) dell’Unione Europea è stato pubblicato nel 2009 con l’obiettivo di aumentare il livello di integrazione del mercato energetico europeo e di migliorarne il funzionamento.

Uno dei fondamenti delle iniziative europee per la liberalizzazione del mercato del gas naturale è il meccanismo di separazione proprietaria, per cui una società non può simultaneamente possedere e gestire una rete di trasmissione del gas. Riconoscendo la necessità di grandi investimenti up-front da parte di aziende private, il pacchetto prevede anche la possibilità che i progetti per talune infrastrutture vengano esonerati da quei requisiti che potrebbero costituire un elemento di scoraggiamento per le imprese. Dopotutto, chi vorrebbe investire in una nuova pipeline se non vi fosse la possibilità di recuperare i costi?

Tap ha ottenuto una serie di esenzioni nel maggio 2013. La Commissione Europea ha deciso di concedere all’infrastruttura l’esenzione dal principio di separazione proprietaria e di derogare al principio dell’accesso alle terze parti e dalle restrizioni in materia di regolamentazione delle tariffe. Da allora, l'azera Socar ha acquistato sia una partecipazione in Tap sia l’operatore greco di trasmissione Desfa.

Il risultato è piuttosto singolare: Socar si colloca ora in entrambi i capi del tavolo negoziale, sia come azionista del consorzio Tap - che fornisce gas alla Grecia - sia come operatore della rete di distribuzione ellenica. Eppure, nonostante ciò, a oggi la Commissione Europea non ha ancora dato indicazioni riguardo una possibile riconsiderazione delle esenzioni. Bruxelles ha pertanto stabilito di semplificare fortemente il percorso normativo di una pipeline che apporterà solo 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno in più, con la motivazione che essa consentirà di diversificare le forniture grazie all’aggiunta di una fonte supplementare per l'Europa. Questo nonostante la Grecia riceva già il 14% del suo gas dall'Azerbaigian.

Nel processo non è difficile scorgere un elemento di parzialità. La storia di South Stream, infatti, è tutt’altra cosa. Laddove Tap è stato sollevato da alcuni ostacoli potenziali, South Stream è stato accolto con particolari resistenze. Mentre l’Unione Europea continua a definire quest'ultimo come “il cordone ombelicale” che connette la Russia all’Europa, i governi degli Stati interessati hanno garantito al progetto lo status prioritario. Inoltre la Commissione ha recentemente annunciato che gli accordi tra questi paesi e la Russia non rispettano la legge europea sotto 3 aspetti: il gasdotto appartiene a un produttore; non offre accesso alle terze parti; i criteri tariffari non sono ancora stati definiti.

Che Gazprom sia un produttore di gas naturale non è un mistero per nessuno. Non tutto il South Stream appartiene però a Gazprom: la parte offshore è un consorzio composto da Gazprom (per una quota pari al 50%), Eni (20%), Edf e Wintershall (15% a testa), mentre le parti onshore sono praticamente tutte delle joint-venture paritetiche (al massimo 51%/49%) tra Gazprom e le aziende di Stato dell'energia dei paesi di transito. L’esenzione dal terzo pacchetto, invece, è attualmente oggetto di trattativa, mentre i criteri per le tariffe di transito dovranno essere definiti dagli operatori locali del South Stream.

La Commissione sta tentando di bloccare deliberatamente lo sviluppo regolatorio della pipeline. Gli accordi erano infatti in vigore e di pubblico dominio già da due anni, prima cioè che la Commissione decidesse di intervenire: è difficile credere che l’annuncio non fosse collegato a ciò che è stato eufemisticamente definito “lo scenario politico corrente”.

Un trattamento discriminatorio sembra aver colpito anche la parte offshore del gasdotto. L’esempio di Tap - ma anche di altre pipeline esistenti o in progetto in Italia, come la Transmed, il Greenstream e il Galsi (che è, al momento, solo un progetto su carta) - dimostra come la Commissione europea abbia da sempre sostenuto che queste infrastrutture si collocano al di fuori del mercato energetico europeo e pertanto non debbano adempiere al Terzo pacchetto energetico. Tali posizioni non hanno comunque impedito a Bruxelles di criticare la Bulgaria per aver approvato una legge che garantiva alla tratta offshore di South Stream lo stesso trattamento.

Vi erano effettivamente delle buone ragioni per scoraggiare Gazprom dal partecipare all’asta per Depa, il fornitore pubblico di gas greco. Il ministero greco per l’Energia è stato sottoposto a una pressione considerevole da parte di Bruxelles perché applicasse pienamente gli standard di “separazione effettiva”. Tuttavia, quando l’azienda verticalmente integrata Socar ha vinto la gara per Desfa nessuno a Bruxelles ha mosso un dito contro Baku. Di fronte a questa situazione, non sorprende che il presidente russo Vladimir Putin abbia attaccato nuovamente il Terzo pacchetto energetico europeo.

La clausola di “separazione effettiva” ha infatti le sembianze di una misura protezionista mirata precisamente ai tradizionali produttori di gas - lasciando spazio alla Commissione per scegliere i vincitori a suo piacimento, come avvenuto con Socar. Insieme all’articolo 11 della direttiva 2009/73/CE sul mercato interno del gas naturale (“il rilascio della certificazione non metterà a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dello Stato membro e della Comunità”), essa forma, senza tante perifrasi, una legge contro Gazprom.

Se la Commissione Europea fosse seriamente intenzionata a migliorare il funzionamento del mercato del gas non tenterebbe di punire Gazprom attraverso decisioni politiche arbitrarie, in materie in cui la certezza regolatoria dovrebbe essere la norma. Al contrario, si unirebbe all’appello di Claudio De Vincenti [viceministro allo Sviluppo economico nel governo Renzi, ndr] e si impegnerebbe in un dialogo diretto con Gazprom, che tenga in considerazione i bisogni di tutte le parti coinvolte nel progetto South Stream - produttori, operatori e paesi di transito.

L’obiettivo sarebbe allora consentire a South Stream di seguire le impronte di Tap verso una piena accettazione regolatoria. Questo migliorerebbe notevolmente la sicurezza dell'approvvigionamento energetico in Europa - aumentando la concorrenza sui mercati energetici.
http://temi.repubblica.it/limes/tap-e-south-stream-i-due-pesi-e-le-due-misure-delleuropa/63367

...South Stream gli europoidi boicottano, gli uomini ragliano


Il gas per l’Europa

Paesi europei sono minacciati da sanzioni. Le minacce arrivano non dalla Russia ma dalla Commissione Europea. Il Commissario Europeo per l’energia Günther Oettinger ha promesso delle gravi conseguenze ai paesi dell’Ue che vorranno sostenere il progetto russo South Stream.

Mosca che giorni fa ha firmato l’accordo sulla costituzione della joint venture South Stream con l’Austria, esorta a non politicizzare la questione. Tanto più che i desiderosi di ottenere il gas naturale russo non mancano - e non solo in Occidente.
La Commissione UE non si può rassegnare al fatto che alcuni Stati dell’Ue hanno firmato con la Russia gli accordi sulla costruzione del metanodotto. Günther Oettinger è convinto che essi sono in contrasto con il diritto europeo. E in generale, non è il momento opportuno per stringere simili accordi con Mosca, - ritiene il Commissario Europeo.
Martedì scorso la Gazprom russa e il Gruppo petrolifero austriaco “OMV” hanno firmato a Vienna l’accordo dei soci della Società mista “South Stream Austria” il quale determina i principi del lavoro per la realizzazione del South Stream sul territorio dell’Austria. Il Presidente della Repubblica Heinz Fisher ha definito il progetto opportuno ed utile. E il Presidente russo Vladimir Putin ha fatto notare che Bruxelles sta mettendo i bastoni tra le ruote al progetto sotto la pressione degli USA. Peraltro, le azioni di Washington s’inquadrano nella concorrenza normale,- ha detto Vladimir Putin.
I nostri amici americani esprimono il disappunto per il South Stream. Ma erano scontenti anche nel 1962 quando iniziava la realizzazione del progetto “gas in cambio di metanodotti” con la Repubblica Federale Tedesca. Anche ora non c’è nulla di nuovo: solo che essi stessi vogliono fornire il gas al mercato europeo. Ma Vi assicuro che non sarà più economico rispetto a quello russo: il gas convogliato dalla tubazione risulta sempre più economico rispetto a quello liquefatto. Ma sono concorrenti, è una situazione normale questa! Stanno facendo di tutto per far fallire questo contratto – così come fu alcuni decenni fa. Nel corso di codesta lotta concorrenziale si applicano anche mezzi politici.
Anche gli esperti non dubitano che i problemi con il gasdotto South Stream sono direttamente legati alla pressione degli USA sui paesi dell’Ue per promuovere le società americane nel mercato del gas europeo. In questa lotta gli USA sono pronti ad applicare tutti i metodi. Ma non tutti i paesi, come lo ha dimostrato Vienna, sono pronti a piegarsi alle pressioni americane,- ritiene Dmitry Alexandrov, vice Amministratore Delegato del Gruppo d’investimento “Univer”.
In riferimento ai ministri dell’energia dei governi nazionali, va detto che tutti i paesi – partecipanti al transito, hanno esplicitamente dichiarato di essere interessati alla realizzazione di questo progetto, che considerano assolutamente utile per le loro economie nazionali, per l’Unione Europea nel suo insieme. L’Austria è uno dei paesi di base dell’Ue e il suo supporto al progetto ha una grande importanza...
Mentre Bruxelles sta giocando alla politica attiva, nelle capitali europee si pensa ai bisogni urgenti – in particolare, a come rifornire i paesi di gas nel prossimo inverno. L’Ucraina ha dimostrato in modo assai convincente il suo fallimento come paese di transito del combustibile azzurro. Il South Stream, posto sul fondo del Mare Nero, consentirà non solo di garantire le forniture ininterrotte ma anche diventerà un investimento profittevole di capitali per i paesi-partecipanti,- sottolinea Alexandr Passechnik, capo del Dipartimento di Analisi presso la Fondazione di Sicurezza Energetica Nazionale.
Vediamo una posizione ragionevole, pragmatica. Un numero sempre maggiore di paesi passa proprio al pragmatismo. L’accordo in argomento è stato preceduto dal memorandum di aprile il quale prevedeva che il punto finale del gasdotto sarà la località di Baumgarten, il maggiore hub distributivo nello spazio europeo. Ossia l’Austria sta provvedendo con impegno a diversificare il suo settore energetico.
La Commissione Ue ha avviato gli accertamenti sul progetto South Stream ancora nell’autunno dell’anno scorso. Secondo essa, la sua realizzazione è in contrasto con le norme del cosiddetto “Terzo pacchetto” dell’Ue. Proprio di violazioni di codeste norme parla oggi Oettinger. Ma Mosca ricorda che la Commissione Ue ha ignorato il fatto che gli accordi intergovernativi sul South Stream con l’Austria, la Bulgaria, la Grecia e con altri paesi erano stati conclusi ancora nel 2008. Ossia un anno prima dell’entrata in vigore del “Terzo pacchetto” a cui Bruxelles, ad onta della prassi giuridica mondiale, ha conferito il principio del l'irretroattività della legge.
Inoltre al gas scisto americano i funzionari europei sperano anche nel proprio progetto di “corridoio meridionale” che dovrà collegare l’Europa con l’Asia Centrale evitando la Russia. Solo che per il momento non c'è di che riempire codesto metanodotto. Si sta mormorando di eventuali forniture dall’Iran a cui da un momento all’altro potrebbero essere tolte le sanzioni, ma gli esperti constatano: l’Iran produce 160 miliardi di metri cubi di gas all’anno e ne consuma quasi tutto nel mercato interno. Teheran riesce esportare ogni anno in Turchia circa 10 miliardi di metri cubi ma solo grazie al fatto che ne importa quasi sette miliardi dal Turkmenistan.
Mentre Bruxelles si sta occupando di mettere i bastoni tra le ruote al South Stream, nell’Est continua a crescere l’interesse per il gas russo. L’accordo sul gas di portata storica che hanno recentemente firmato Mosca e Pechino ha ispirato anche l’India. New Delhi intende avviare negoziati sulla possibilità di prolungare il gasdotto, che la Russia si è impegnata a costruire verso la Cina, fino al confine indiano. Insomma, i potenziali acquirenti sono molti. In tale contesto l’Europa rischia di rimanere con un palmo di naso.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_06_26/Il-gas-per-l-Europa-6289/

Mali l'Onu fautore del neo colonialismo francese

Onu proroga di un altro anno la missione in Mali

(AGI) - New York, 26 giu. - Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha appropvato la proroga per un altro anno del mandato della Minusma, la Missione della stessa Onu nel Mali.
  La consistenza del relativo contingente rimarra' invariata, con 11.200 soldati e 1.440 agenti di polizia schierati sul territorio del Paese sub-sahariano: allo stato attuale ne sono gia' dispiegati rispettivamente 8.280 e 980, il 93 per cento dei quali al nord. Confermato inoltre l'accordo che prevede l'eventuale sostegno ai 'caschi blu' da parte delle forze speciali francesi presenti nell'ex colonia .
http://www.agi.it/ultime/notizie/articoli/201406260827-est-rom0006-onu_proroga_di_un_altro_anno_la_missione_in_mali

Stati Uniti, altri soldi per la Rivoluzione a Pagamento in Siria

Siria: Obama al Congresso, 500 milioni per aiuti ai ribelli

(AGI) - Washington, 26 giu. - Il presidente americano, Barack Obama, ha chiesto al Congresso di approvare uno stanziamento di 500 milioni di dollari per l'addestramento e l'equipaggiamento della "opposizione siriana moderata".
  La Casa Bianca ha proposto di destinare il finanziamento a "elementi controllati" delle forze di opposizione al regime di Bashar al Assad, per "aiutare a difendere il popolo siriano, stabilizzare le aree sotto il controllo dell'opposizione, facilitare la fornitura di servizi essenziali, contrastare le minacce terroristiche e promuovere le condizioni per una soluzione" della crisi nel Paese. (AGI) .
http://www.agi.it/estero/notizie/201406262248-est-rt10248-siria_obama_al_congresso_500_milioni_per_aiuti_ai_ribelli

Governo italiano, provvedimenti raffazzonati e improvisati e presto il conto sarà presentato

Cresce la luna di miele con gli italiani: il gradimento ha raggiunto il livello del 70%

Matteo Renzi gode di troppo consenso

Per questo però il premier rischia di non riuscire a mantenere le promesse
 di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it 

La luna di miele tra Matteo Renzi e gli italiani continua. I dati dei sondaggisti concordano sull'assegnargli un gradimento vicino al 70% nel quale è compreso lo strano mondo dei seguaci di Beppe Grillo. Le ragioni sono evidenti: dopo anni di dominio di personaggi improbabili, ancorché popolari, come Berlusconi, di politicanti alla Prodi (che ha il coraggio di dare ancora indicazioni al Paese), di leader in difficile comunicazione con la pubblica opinione come D'Alema, di professori supponenti di fragile sostanza come Amato e Monti, di democristiani vecchio stile come Enrico Letta, irrompe sulla scena il giovane sindaco di Firenze, dal linguaggio nuovo, in sintonia con i tempi e con il desiderio di cambiamento del paese, e vince il banco del Pd prima, del governo poi. Ma, concretamente, a che punto siamo nel Cambiare verso, lo slogan fortunato di Renzi? In politica pura (le riforme del Senato, del titolo V e della legge elettorale), la sensazione è che dopo 32 anni dall'enunciazione della necessità di intervenire sul tessuto istituzionale del Paese (Conferenza socialista di Rimini del 1982), sia la volta buona. Certo, il misoneismo (paura delle novità) domina la minoranza del Pd (e non fa meraviglia che un vecchio quadro comunista del Pci come Vannino Chiti se ne faccia portavoce), il dispetto quella di Forza Italia, mai come ora terminale, e il senilismo quello di gente alla Rodotà, finalmente estromessa da un immeritato prestigio istituzionale. Per il resto, i 126 giorni di palazzo Chigi compiuti oggi, ci consegnano la certezza che la dote principale del premier è l'istinto che lo mette in immediata sintonia con l'elettorato, ma che per l'azione di governo siamo in un'area di gravissimo rischio. Tutto può miseramente crollare in poche ore nel ridicolo per una delle possibili scivolate che è lecito temere. La formula propagandistica «Io ci metto la faccia», che Renzi ripete spesso, è sbagliata: il conto del possibile disastro lo pagheremo noi italiani. Partiamo dall'Europa. Il patto di stabilità non sarà toccato e ci rimane davanti come un macigno. Il compagno Hollande deluderà le attese italiane e si allineerà alla Merkel, mantenendo in vita l'Asse carolingio che, da qualche decennio (dall'uscita di scena di Bettino Craxi) governa l'Unione. Ci voleva ben altro da parte italiana: la capacità di rendere coesi i paesi mediterranei, primo fra tutti la Spagna, di assumere la leadership dello schieramento alternativo alla Germania e satelliti, contestando punto per punto l'agenda europea. Invece, come abbiamo visto, Junker, l'uomo di Angela Merkel, sarà presidente dell'Unione e Schultz, il socialista, presidente di un Parlamento senza peso. La cosa più paradossale è che la stampa nazionale sembra non accorgersi della caduta di peso internazionale del primo ministro e dell'inesistenza del suo governo, a partire dalla ministro degli esteri («Mogherini chi?») a pari merito con l'imbarazzante ministro della difesa Pinotti, e a seguire molti altri. Le ultime notizie che darebbero addirittura la predetta Mogherini sulla poltrona di ministro degli esteri europeo e Padoan alla presidenza dell'Eurogruppo, sono bufale comunicative di Renzi in cerca di una via per disfarsi della Mogherini medesima, e per allontanare il difficile ministro dell'economia. Bufale, cui dolosamente abboccano giornalisti di vecchio e nuovo corso accorsi in soccorso del vincitore. Sul piano interno, la situazione è caotica. A palazzo Chigi, si racconta con stupore che la dottoressa Manzione, già capo dei vigili urbani di Firenze, ora capo del dipartimento affari legislativi, trascorra la giornata chiusa con i funzionari suoi collaboratori, senza contatti esterni (ministeriali e non). Anche un giornale allineato come il Corriere della sera ha dovuto dare atto del caos organizzativo. E un indispettito Quirinale non è intervenuto a vuoto sulla riforma dello Stato. In realtà, gli 80 euro mensili ai percettori di basso reddito (non a tutti, naturalmente) non avevano copertura: Renzi fu costretto a correre al ministero dell'economia per incontrare, oltre il ministro, il ragioniere generale dello Stato, e ottenere la bollinatura del provvedimento. Una cosa inaudita, visto che il primo ministro dovrebbe convocare i comis nella propria sede. Negli ambienti di Camera e Senato si confermano attendibili dubbi sull'assenza di una copertura credibile per il provvedimento, oltre la sua sostanziale ingiustizia, visto che una platea vasta di indigenti ne è stata esclusa. I consigli dei ministri sono convocati ad horas, spesso senza un odg definito (ma Delrio è un endocrinologo, il segretario generale è l'ex manager del comune di Reggio Emilia e il capo del dipartimento affari legislativi, l'abbiamo ricordato); i provvedimenti vengono raffazzonati lì intorno alla sala del consiglio. Pensate che a Bruxelles non si sappiano queste cose? Certo, si sanno, e si sa anche che presto, semestre italiano ininfluente, riceveremo una bella scoppola, una sveglia che porrà Matteo Renzi di fronte all'inconsistenza della propria azione di governo. La capacità di stare al centro del palcoscenico del premier, incontestata e incontestabile, gli permetterà di proseguire nella navigazione e di raggiungere i risultati annunciati? C'è da dubitarne fortemente, anche se (ma non è un ragionamento) il suo istinto l'ha condotto sino a questo punto senza guai seri. http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1900873&codiciTestate=1&titolo=Matteo%20Renzi%20gode%20di%20troppo%20consenso

Israele non ha scusanti è una nazione che non merita di sopravvivere

I tre coloni scomparsi e la punizione collettiva
di Massimo Ragnedda
La scomparsa dei tre coloni ebrei (secondo Israele sarebbero stati sequestrati da Hamas) avvenuta il 12 Giugno nei territori occupati, ha dato il via ad una massiccia operazione militare che ha assunto i contorni di una enorme punizione collettiva. Israele, sia chiaro, non ha solo il diritto di cercare i tre ragazzi scomparsi, ma ha anche il dovere di farlo. Ogni Stato ha il dovere di proteggere i propri cittadini e, come in questo caso, fare di tutto per provare a riportarli sani e salvi. Ma questo, sia altrettanto chiaro, non deve avvenire violando il diritto internazionale e facendo pagare a tutti le colpe di alcuni. È un po’ la differenza tra legittima difesa ed eccesso di legittima difesa. Motivo per cui, la punizione collettiva è proibita dall’articolo 33 della convenzione di Ginevra.

Il sequestro di cittadini o militari israeliani è da sempre considerata un’arma per negoziare con Israele il rilascio di molti detenuti palestinesi. Il caso del sergente Gilad Shalit, sequestrato a Gaza nel 2006 e rilasciato dopo 5 anni, ne è un chiaro esempio. Per la sua liberazione Hamas ha ottenuto il rilascio di 1027 prigionieri palestinesi (molti dei quali sono stati di nuovo arrestati, come ritorsione, in questi giorni). Hamas non ha ancora rivendicato il sequestro, ma tutto lascia pensare che siano stati i gruppi armati di Hamas a portare avanti il sequestro, proprio per trattare con Israele il rilascio dei detenuti palestinesi.

La punizione collettiva inflitta da Israele ai palestinesi è sproporzionata e illegale. Nei primi dieci giorni di questa offensiva militare nelle città palestinesi, l’esercito israeliano ha deciso di punire tutto il popolo palestinese, senza nessuna distinzione tra donne e uomini, bambini e adulti, militanti di Hamas e parlamentari. Per Israele sono tutti colpevoli e tutti devono pagare il prezzo di questo sequestro. E così, in questi primi dieci giorni di punizione collettiva, l’esercito israeliano ha ucciso 5 persone (tra le quali Mahmoud Jihad Muhammad Dudeen un bambino di 14 anni, e Ahmad Said Suod Khalid un disabile mentale di 27 anni), ha arrestato, senza nessun capo di accusa, più di 500 cittadini palestinesi, tra i quali vari parlamentari palestinesi ed ex ministri, ma anche molti bambini (ogni anno Israele arresta tra i 500 e 700 bambini).

L’esercito israeliano ha fatto irruzione in migliaia di case palestinesi (spesso distruggendo, come molti video documentano, l’interno delle abitazioni), ha distrutto molte infrastrutture, come alcune strade palestinesi nei dintorni di Hebron, e ha anche fatto irruzione e seriamente danneggiato due Università palestinesi (Al Quds University a Gerusalemme, e Polytechnic University a Hebron) e nel centro mediatico, distruggendo gli uffici della televisione russa “Russia Today”. Ha, infine, bombardato Gaza. 

Israele, oltre alla ricerca dei tre coloni scomparsi, si pone come obiettivo la rottura del governo di unità nazionale che faticosamente la Palestina era riuscito a creare qualche settimana fa e da sempre osteggiato da Israele. L’altro risultato di questa massiccia operazione militare nei territori occupati è la completa distruzione di tutte le infrastrutture di Hamas nella Cisgiordania. Hamas che ora minaccia una terza intifada qualora i suoi leader siano espulsi dalla Cisgiordania. Ahimè, ancora una volta, il processo di pace si allontana.
24 giugno 2014

non sarà certo il gioco europeo sulla flessibilità che farà superare la crisi economica

Confindustria: ripartenza economia lenta e debole. Serve scossa forte

(ASCA) - Roma, 26 giu 2014 - La ripartenza del nostro Paese e' ritardata e piu' debole'' rispetto agli altri. Dunque ''e' necessaria una scossa politico-economica molto forte per riportare l'Italia su un piu' alto sentiero di sviluppo''. A lanciare l'allarme e' il Centro Studi di Confindustria che conferma la diagnosi gia' fatta a dicembre scorso: ''l'Italia cammina sul filo di un rasoio''. eco/tmn

http://www.asca.it/news-Confindustria__ripartenza_economia_lenta_e_debole__Serve_scossa_forte-1399515-ECO.html

7.7 milioni di persone sono senza lavoro


Roma, 26

Confindustria: manca lavoro a 7,7 milioni di persone

In aumento anche gli scoraggiati

giu. (TMNews) - Il mercato del lavoro, in Italia, resta debole. Sono 7,7 milioni le persone a cui manca il lavoro, totalmente o prazialmente. A lanciare l'allarme è il Centro Studi di Confindustria negli ultimi Scenari economici.

Nei calcoli del Csc, oltre alla forza lavoro non utilizzata, due gruppi vanno inclusi tra i senza lavoro, totali o parziali: gli occupati part-time involontari (2 milioni e 574mila nel primo trimestre 2014, +101,9% rispetto a sei anni prima) e i non-occupati che sarebbero disponibili a lavorare ma non hanno compiuto azioni di ricerca attiva perché scoraggiati (1 milione e 590mila individui, +59%) oppure perché stanno aspettando l'esito di passate azioni di ricerca (605mila, +87,3%).

https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7646457292364906677#editor/target=post;postID=4063521540509619611

Tablet e Smartphone tassati, il Pd il governo che aumenta la pressione fiscale, l'Italia la Nazione più tartassata con servizi scadenti

Confindustria difende l’equo compenso

Confindustria Cultura Italia, per voce del presidente Marco Polillo, difende SIAE e Dario Franceschini da chi attacca l'equo compenso per copia privata.

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Confindustria Cultura Italia si schiera dalla parte di Dario Franceschini e difende il ministro dal tiro incrociato di quanti in questi giorni hanno attaccato il decreto che aggiorna le tariffe sull’equo compenso. Il dibattito di questi giorni è stato in molti casi sterile: accuse poco circostanziate hanno fatto il paio con argomentazioni deboli da parte del ministero, generando un dibattito poco utile alla comprensione dello stato dei fatti. Marco Polillo, voce di Confindustria, ha voluto così gettare la propria opinione nel calderone, portando nuova legna al fronte dell’equo compenso per copia privata.
Polillo punta anzitutto sul contesto in cui nasce la revisione dell’equo compenso in Italia, spiegando come in tutta Europa spiri medesimo vento: «È una falsa rappresentazione quella che vede l’equo compenso come una tassa sull’innovazione e nemica dei giovani consumatori di tecnologie digitali. L’adeguamento del compenso, peraltro a standard meno elevati di Paesi leader nella produzione di contenuti come Francia e Germania, è un processo in atto in molti Stati membri. Prima dell’Italia hanno adattato il compenso a smartphone e tablet, oltre ai già citati Francia e Germania, anche Austria, Olanda, Belgio e Svezia».
Il presidente di Confindustria Cultura Italia porta però avanti anche una difesa più mirata, che mette nel mirino una delle accuse più comuni contro la firma di Dario Franceschini: il decreto non terrebbe in considerazione l’evoluzione del settore, l’imporsi dello streaming e la decadenza dello storage come unità di misura della musica consumata. Spiega a tal proposito Marco Polillo: «La Svezia, mercato leader nello streaming musicale, con il 70% del mercato che genera ricavi da questo segmento (IFPI 2013), lo scorso anno ha approvato una revisione della norma che include smartphone e tablet nel compenso per copia privata. Nella stessa Francia i consumatori che utilizzano lo streaming sono il 36% (Ipsos) e nel 2013 anche qui sono state elevate le tariffe su smartphone e tablet, molto al di sopra della media italiana. Insomma non è vero. Come non è vero il fatto che questo compenso frenerebbe lo sviluppo digitale in Italia: è smentito dai dati sul mercato dei device di altri Paesi dove già si può misurarne l’impatto».
http://www.webnews.it/2014/06/26/confindustria-equo-compenso/

Poletti, Del Rio, Squinzi sanno perfettamente che senza Sovranità Monetaria non si va da nessuna parte e la disoccupazione aumenterà


Confindustria: 3,7 milioni in piu' i disoccupati

L'organizzazione degli industriali taglia la stima del Pil da + 0,7 a + 0,2 nell'anno. Poletti: 'Prolungare di un anno le tutele per gli esodati'

Tre milioni di persone povere in più (+93,9%), 3,7 milioni in più cui manca lavoro (+122,3%). Confindustria traccia "come siamo caduti in basso" dai livelli pre-crisi: -9% Pil, -23,6% produzione industriale, -43,15% costruzioni, -8% consumi famiglie, -27,5% investimenti, -7,8% di occupazione e quasi 2 milioni (1,968) di unità di lavoro perse
Gli economisti di Confindustria hanno rivisto "all'ingiù le previsioni per l'economia italiana nel 2014-2015". Il Centro studi di via dell'Astronomia prevede ora che il Pil dell'Italia si fermerà al +,02% nel 2014, un taglio rispetto alle previsioni del scorso dicembre che indicavano un +0,7%. Per il 2015 la crescita attesa scende dal +1,2% al +1%.
Confindustria: Un milione di persone ha perso il lavoro. E' necessaria scossa politica molto forte. Manovra correttiva non serve, inopportuna
"Complessivamente durante la crisi un milione di persone hanno perduto il posto" di lavoro. Un numero "che quasi raddoppia in termini di Ula", il dato statistico della unità di lavoro. Lo calcola il centro studi di Confindustria. "L'occupazione misurata con le unità di lavoro - stima - cade dello 0,6% nel 2014 e sale dello 0,4% nel 2015". "La turbolenza politica", avverte il centro studi di Confindustria, "rimane un freno seppure si sia molto attenuata e abbia preso corpo nel Paese l'aspettativa di importanti riforme". In questo scenario "la morale è che è necessaria una scossa politica molto forte per riportare l'Italia su un più alto sentiero di sviluppo". "Non appare necessaria nè opportuna alcuna manovra correttiva". Così il CSC. Sul fronte dei conti pubblici, ed in particolare del debito pubblico, secondo gli economisti di Confindustria "la strada maestra per ridurlo è il rilancio della crescita; la sola austerità è controproducente".
Squinzi: 'L'Italia non è più sull'orlo del baratro'. 'Renzi ha coraggio e volontà di decidere' 
"I numeri forse sono ancora difficili da accettare ma oggi le prospettive sono in miglioramento. L'Italia non è più sull'orlo del baratro", dice il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, dopo le stime del centro studi di via dell'Astronomia. E sottolinea anche: "Si è avviato un ciclo politico di riforme che sembra avere finalmente stabilità". "Bisogna avere il coraggio di fare anche interventi che costano", come su infrastrutture e agenda digitale. E "bisogna "avere e dare al Paese le giuste priorità", dice il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. "Scegliere è difficile, ma il coraggio e la volontà di decidere non sembrano mancare al nostro presidente del Consiglio", aggiunge. Confindustria guarda "sempre ai numeri dell'economia con realismo, nei momenti migliori come nelle fasi più critiche". Ma oggi, di fronte ad un quadro di previsioni economiche rivisto da via dell'Astronomia al ribasso, Giorgio Squinzi avverte che la lettura va fatta "con cura e attenzione moltiplicate". Il presidente di Confindustria evidenzia quindi che "l'Italia ha le persone, le risorse e le potenzialità per superare le difficoltà che stiamo vivendo". E che "è scritto nei dati anche se la durezza dei numeri potrebbe far pensare al contrario". I numeri non registrano poi la "percezione" degli imprenditori, "l'esperienza e l'empatia che hanno con il Paese". Così, il presidente di Confindustria dice: "Ripeto e lo faccio senza retorica. l'Italia ha tutte le carte in regola per superare questo difficile momento e riprendere il cammino della crescita". E sottolinea: "Non tra qualche anno. Subito". Accanto al clima politico che ora da più fiducia sulle riforme, Squinzi accenna "all'ossessione dello spread" che si è diradata, all'euro e all'Europa "non più in pericolo di vita". Ed anche se "questo non significa che tutti i problemi sia stati risolti", rileva, ""almeno sono stati messi punti fermi importanti su cui ricostruire la fiducia e rimuovere la cappa di incertezza che ci opprime da tempo". Punti fermi che "non sono il frutto di un singolo", ma "il frutto dell'opera di riforma e di fiducia innescata dal Governo, del presidente della Bce Mario Draghi che ha messo linfa nel sistema creditizio e dato qualche spazio a nuovi investimenti", ed anche "degli sforzi" che stanno facendo gli imprenditori "dimostrando al resto del mondo che siamo un Paese capace di combattere e per nulla rinunciatario"
Esodati:Poletti,proponiamo allungamento un anno tutele
La proposta del governo prevede di "prolungare di un anno le salvaguardie, così come sono oggi previste. Solo che chi maturerà il diritto nell'arco dell'anno prossimo sarà incluso nelle salvaguardie, cosa che finora non era prevista". Così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a margine della cerimonia all'Accademia del Lincei.
Pil: Delrio, fiduciosi nostra previsione
"Per adesso siamo fiduciosi della nostra previsione" sul Pil, lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, rispondendo a una domanda sulla stima al ribasso del Pil di Confindustria. Il governo prevede per quest'anno una crescita del Pil dello 0,8%. Delrio ha spiegato "siamo convinti che le le riforme messe in campo provocheranno uno shock positivo, vedremo l'effetto degli 80 euro che ora penso non sia valutato e l'effetto delle altre riforme sul lavoro, la Pa, la giustizia e la spending review"
http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2014/06/26/confindustria-taglia-stima-pil-solo-02-nel-2014_30bcbb0a-0ae7-45b4-b3ba-ddb6d7cded75.html

NoMuos, il Pd cede la Sovranità Territoriale del pololo italiano agli Stati Uniti

Manifestazione nazionale il 9 agosto

Niscemi, “hanno approvato il Muos”
In Sicilia si apre “una lunga estate di lotta”


Continua a Niscemi (Caltanissetta) la lotta contro il Muos, l’antenna radar satellitare Usa. Il 25 giugno la Camera dei Deputati ha respinto l’Atto ispettivo 1-00344, una mozione, primi firmatari Erasmo Palazzotto (SEL), Gianluca Rizzo (M5S), Mario Sberna (PI). E il Coordinamento Regionale dei Comitati NoMuos adesso annuncia battaglia e invita “tutti a partecipare alla lunga estate di lotta per la smilitarizzazione della Sicilia che culminerà nella Manifestazione Nazionale del 9 Agosto a Niscemi”, si legge in una nota diffusa ieri.
“I Parlamentari firmatari della Mozione – si legge ancora nella nota - accogliendo una sollecitazione venuta dal Coordinamento Regionale dei Comitati No Muos, chiedevano al Governo di sospendere ogni accordo bilaterale riguardante il Muos. Tali accordi, infatti, non sono sorretti dal Trattato Nato, che non prevede l’obbligo da parte degli stati membri di subire la presenza di militari e armamenti stranieri sul proprio territorio e riguardano scelte di politica internazionale di primaria importanza”
In particolare, per quanto riguarda il Muos, “trattandosi di installazione di Uso Esclusivo delle Forze Armate USA, che fa parte di un sistema di comunicazione globale che richiede il simultaneo funzionamento di tutti i trasmettitori, la sua messa in funzione comporterà l’immediata partecipazione a tutte le scelte belliche statunitensi senza possibilità di dissociarci”. Precisa ancora il Comitato.
“Ciò che è più grave – continuano gli attivisti -  secondo i parlamentari firmatari della mozione, è che simili decisioni siano state prese dal Governo e da rappresentanti delle Forze Armate, sottraendole totalmente al dibattito parlamentare, con evidente violazione dell’Art. 80 della Costituzione che prevede che gli accordi internazionali aventi valore politico siano rimessi all’approvazione da parte del Parlamento”.
Il Coordinamento Regionale dei Comitati NoMuos infine “prende atto di questo ulteriore vergognoso decadimento democratico delle istituzioni non più capaci né di svolgere né di difendere neanche formalmente il proprio ruolo istituzionale. La lotta continua e da ora in avanti avrà da additare dei nuovi nemici negli esponenti dei partiti indegni che oggi platealmente hanno tradito la popolazione siciliana e nazionale”.

Sanità pubblica, questi partiti, clero privati speculano senza compassione sulla malattia

Sanità, i vescovi battono cassa

Pubblicato Mercoledì 25 Giugno 2014, ore 11,20

Nella lettera aperta a Chiamparino e Saitta, la Pastorale della Salute pone tra le priorità la tutela del malato e delle sue famiglie. E naturalmente non manca di far emergere la preoccupazione per i mancati trasferimenti agli ospedali gestiti da enti religiosi

I vescovi marcano stretto Sergio Chiamparino e il suo assessore alla Sanità Antonio Saitta. A 24 ore dall’appello di mons. Cesare Nosiglia per un’altra Torino più vicina agli “ultimi”, arriva la lettera aperta inviata dalla Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Piemontese ai vertici della Regione per una Sanità più giusta che ponga al centro della propria azione «la persona umana», «la promozione e la tutela della vita e della sua qualità, dal concepimento al suo termine naturale», una sanità più «umana» che sappia porsi al fianco dell’individuo e la famiglia che deve prendersene cura, avvalendosi di una «sana sussidiarietà che tenga conto delle istituzioni no profit, della società civile e del volontariato». Principi generali per chiedere lo stop ai tagli dei servizi ospedalieri, un rafforzamento dell’assistenza (anche e soprattutto domiciliare) e soprattutto un sostegno, anche economico, alle famiglie con anziani malati o disabili a carico. Insomma, caro Saitta, si metta una mano sul cuore e l’altra nel portafoglio, anche perché ci sarebbe poi la non marginale questione legata ai «Presidi ospedalieri di ispirazione Cristiana che continuano a essere in sofferenza per i mancati trasferimenti  delle risorse necessarie da parte della pubblica amministrazione».

Il neo assessore alla Sanità si dimostra particolarmente sensibile al tema e poche ore dopo la decisione di sospendere il contestato programma di tagli varati dalla scorsa legislatura ai posti letto ospedalieri annuncia in un’intervista al settimanale diocesano La Voce del Popolo «un nuovo Patto Regionale della Sanità, condiviso con tutti i soggetti che operano nel settore». Certo, l’emergenza finanziaria non è conclusa e i tagli continuano a essere l’unico strumento per assolvere allo stringente piano di rientro imposto da Roma, ma a cambiare sarà il metodo, attraverso «il massimo coinvolgimento» di enti, manager, associazioni datoriali del settore cui chiederemo «quali sforzi straordinari è in grado di compiere, nei prossimi due anni, per consentire alla Sanità piemontese di centrare l’obiettivo di risanamento». Si dice preoccupato per le condizioni dei più deboli, dei malati e cronici e anziani in primis, e poi spiega: «Credo che i ragionieri debbano perseguire il loro obiettivo, proporre risparmi, ma che la politica abbia il dovere di affermare l’obiettivo generale: il benessere delle persone».

Intanto, arriva in queste ore la proteste degli infermieri aderenti al sindacato Nursing Up che questa mattina, armati di pala e catrame a presa rapida chiuderanno le buche nell’asfalto che rendono difficile l’accesso delle ambulanze alla sede del 118 di Grugliasco al motto: “Da anni tappiamo i buchi di una sanità groviera”.
http://www.lospiffero.com/sottoscala/sanita-i-vescovi-battono-cassa-17042.html