L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 25 ottobre 2014

'Ndrangheta, le donne hanno le medesime responsabilità degli uomini, uccidono, fanno tutto per i soldi e il potere

LA CONFERENZA

"Donne rilevanti per la 'ndrangheta"

Studenti del classico a lezione di mafie e legalità. La magistrata Alessandra Cerreti ha spiegato il ruolo delle femmine nelle cosche calabresi

Da sinistra: Maria Dolores Rucci, Alessandra Cerreti, Gerardine Corona e Maria Olga Guerraggio (Foto Zidda)
Da sinistra: Maria Dolores Rucci, Alessandra Cerreti, Gerardine Corona e Maria Olga Guerraggio (Foto Zidda)
Varese - Sala piena di studenti a Villa Recalcati: nella mattinata di sabato 25 ottobre più di 100 ragazzi delLiceo Classico Cairoli hanno accolto la magistrata Alessandra Cerreti, da 24 ore nuovo Pubblico Ministero a Milano. Temi dell'incontro: legalità, mafie e ruolo delle donne nelle cosche.
L'evento, organizzato e promosso dal presidente del Consiglio di Istituto del Liceo Classico Cairoli Adelio Airaghi, è coordinato dalla professoressa Maria Olga Guerraggio, che ha creato un apposito sito per promuovere la legalità (apri qui).
Nel dibattito sono intervenute anche due esponenti delle forze dell'ordine: Gerardina Corona, Comandante della compagnia dei carabinieri di Varese, e Maria Dolores Rucci, Vicequestore vicario di Varese.
"Vogliamo creare una cultura di base sui temi della legalità - introduce la conferenza Maria Olga Guerraggio, docente di latino e greco al Cairoli - Vogliamo che Varese diventi una città plurale".
La vera protagonista, però, è senza dubbio la magistrata, che fin dall'inizio sprona giovani a prendere coscienza di se stessi e del proprio futuro: "Il dovere primario di un magistrato è quello di esercitare il potere in nome del popolo. Le vostre coscienze rappresentano il futuro. Voi giovani siete il popolo italiano".
Durante la sua carriera di magistrato la dottoressa Cerreti ha fatto il giudice alla procura di Milano ma poi ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita e trasferirsi al sud, a Reggio Calabria, per combattere le mafie.
"In italia ci sono molte mafie: Cosa nostra, Camorra, Sacra corona unita e 'Ndrangheta. La più famosa è sicuramente Cosa nostra: un gruppo di magistrati guidati da Falcone Borsellino hanno portato all'arresto di 300 mafiosi. Putroppo questi eroi sono stati ammazzati con le stragi di Capaci e via D'Amelio. Dopo quest'evento i siciliani hanno iniziato a ribellarsi e lo Stato ha attuato politiche che hanno indebolito la mafia. In compenso si è sviluppata la' Ndrangheta, che è stata inserita nel 2010 all'interno del codice penale con il 416 bis".
In questa sua esperienza calabrese ha lavorato con il procuratore Giuseppe Pignatone, colui che ha arrestato Giovanni Provenzano, con il quale ha iniziato il peocesso All Inside.
"La 'ndrangheta si è evoluta attraverso il porto di Gioia Tauro dove arriva la droga che deve essere usata per traffico illegale di sostenze stupefacenti. Si è poi infiltrata in mezzo a noi: c'è in Lombardia, negli Stati Uniti e in sud America. A Reggio Calabria mi sono occupata del processo All Inside contro la cosca Pesce".
Punto significativo di questo processo è l'arresto di  12 donne, a dimostrazione del loro ruolo all'interno della cosca. Una di loro, Giuseppina Pesce, ha collaborato con noi e ha fornito informazioni utiili alle indagini. 
"Le donne hanno un ruolo ben preciso. I mafiosi intestano a loro i beni perché sono incensurate. Da ragazze fanno anche la fuitina, cioè la fuga. Una coppia di aspiranti coniugi scappa dalle loro famiglie per rendere esplicita la storia di amore. Secondo la tradizione a quattordici anni è stato già deciso il futuro marito, e le future alleanze tra cosche: la coppia scappa e la ragazza rimane incinta. Sarà lei che in futuro dovrà educare l'erede secondo i principi mafiosi. Per esempio Ninna Nanna du Malandrineddu è un canto che usa la 'ndrangheta per trasmettere i valori mafiosi ai bambini che diventeranno i futuri boss. Sono le donne che veicolano il messaggio".
La dottoressa Cerreti si è poi soffermata su un aspetto molto importante per il futuro popolo italiano che l'ha ascoltata: i collaboratori di giustizia e il testimone di giustizia. "Voi sapete la differenza tra i due concetti? - chiede -".  Solo due studenti hanno alzato la mano. Con molto disponibiltà la dottoressa ha spiegato la differenza tra i due concetti: "Nelle indagini del processo All Inside  Giuseppina Pesce è stata indagata e da persona coinvolta nei fatti ha deciso di collaborare con la giustizia, lei è una collaboratrice di giustizia. Al contrario un testimone è una persona non coinvolta nei fatti che, però, ha assistito ad essi. Per esempio Lea Garofalo e Maria Concetta Cacciola hanno fatto parte di famiglie mafiose ma non sono mai state coinvolte nei fatti criminali. La loro testimonianza gli è stata fatale: la prima è stata uccisa dopo che ha rifiutato la protezione dello stato per tornare da sua figlia, la seconda sembra che si sia apparentemente suicidata con un litro di acido muriatico ma in realtà i fatti sono andati diversamente".
Maria Concetta Cacciola, infatti, ha conosciuto un uomo su Facebook. Il fratello scoprendo la sua "relazione" platonica l'ha minacciata. Lei si è recata dai carabinieri e ha chiesto protezione in cambio d'informazioni. Dopo un mese di copertura ha iniziato a chattare con la figlia ma le conversazioni sono state lette dal fratello maggiore della testimone. Subito dopo la donna ha confermato di voler interrompere la testimonianza. La settimana dopo è stata trovata morta.
"Queste tre donne hanno portato avanti una rivoluzione culturale - conclude la magistrata -. Nella 'ndrangheta c'è il legame naturale della famiglia, è difficile che si accusi un parente. Allora perché Giusy Pesce ha collaborato con noi? Per salvare i figli e garantirgli la libertà. Dovete sapere che i ragazzi che nascono in quel contesto sono isolati dal mondo: non possono andare a scuola e hanno un insegnante pribvato. Se la 'ndrangheta non riesce a tenere ferme le donne è destinata a finire".

Queste istituzioni vanno a braccetto con le mafie

Gratteri, Expo 2015 è vetrina per mafie

"Cercheranno di esserci non solo per guadagnare" dice pm

(ANSA) - PERUGIA, 25 OTT - Le mafie cercano di essere presenti negli appalti di Expo 2015 "non solo per guadagnare ma perché per loro è una vetrina". A dirlo è il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri in un incontro con gli studenti delle scuole superiori dell'Umbria.
    Secondo Gratteri essere a Expo 2015 "è di prestigio per le famiglie di ndrangheta e camorra". "Raffaele Cantone sta facendo un grande lavoro - ha aggiunto - ma sarà praticamente impossibile controllare centimetro per centimetro".

   http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2014/10/25/gratteri-expo-2015-e-vetrina-per-mafie_f755611c-5229-4fe5-be6e-6fd719fb9eb2.html

Stati Uniti occupano il Sudcorea con 28.000 soldati

Stati Uniti. Non taglieremo forze in Sudcorea, Nordcorea e’ una minaccia

  • 24 ottobre 2014
    Nella Penisola coreana ci sono 28mila soldati americani (ASCA) – Roma, 24 ott 2014 – Altro che disimpegno in Asia orientale. Gli Stati uniti hanno chiarito oggi che un taglio delle forze in Asia, e in particolare in Corea del Sud, e’ per il momento prematuro. Questo dopo che, ieri, Washington ha raggiunto un accordo con Seoul in base al quale, nonostante una precedente intesa, sara’ un generale a stelle e strisce a continuare a comandare anche le forze di Seoul qualora dovesse scoppiare una nuova guerra contro la Corea del Nord. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha incontrato oggi il ministro degli Esteri sudcoreano Yun Byung-se per discutere l’approccio da avere rispetto alle mosse di Pyongyang votate a ritornare a un tavolo negoziale, sempre nella cornice a sei (Corea del Nord, Corea del Sud, Russia, Cina, Stati uniti e Giappone), sulla questione nucleare. A Kerry, durante la conferenza stampa congiunta con Yun, e’ stato chiesto se Washington sta consideando una riduzione della sua presenza militare in Asia, in caso di scongelamento dei negoziati. In Corea del Sud ci sono 28mila soldati americani. 

Energia pulita, quando al governo ci sono gli imbecilli che non pensano al futuro

Renzi e le Energie Rinnovabili. Un Rapporto Problematico che Inizia da Lontano

Nell'ambito dell'approvazione del quadro energetico al 2030 ecco un interessante articolo di Monica Frassoni pubblicato sull'Huffington Post che riporto integralmente. L'Articolo parla del rapporto problematico che i vertici Europei hanno con le nuove tecnologie Low Carbon (Energie Rinnovabili) e in particolare Renzi. L'Italia in particolare, che avrebbe un potenziale enorme in tema di Energie Rinnovabili, Risparmio Energetico mentre Renzi ondeggia e parla di hub del gas e di nuovi tubi e trivelle, trascurando l'efficienza energetica e le rinnovabili, che negli ultimi anni avevano dato tanto lavoro anche e soprattutto ai giovani.

Ecco l'articolo integrale di Monica Frassoni come apparso sull'Huffington Post.

Come tutto ha avuto inizio:
Gennaio 2014 - Proposta della Commissione. Il Presidente Barroso, i commissari Hedegaard e Oettinger presentano la "Comunicazione per una politica per il Clima e l'Energia nel periodo 2020-2030". La Commissione europea propone entro il 2030: taglio del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990), ripartendo tra i diversi Stati membri la percentuale da ridurre sulla base di alcuni criteri; almeno il 27% del consumo di energia dal rinnovabile, questa volta non obbligatorio a livello a livello nazionale, ma 'a livello europeo'; quanto all'Efficienza Energetica (EE) ogni decisione è rinviata all'estate. In pratica, la Commissione rinuncia a continuare la trasformazione 'low carbon' del nostro sistema energetico, iniziato nel 2007.

Dietro il modesto obiettivo del 40% c'è un obbligo di poco maggiore al 'business as usual'; dietro il bassissimo e non vincolante (a livello nazionale) target per le rinnovabili c'è la volontà di continuare a frenare lo straordinario sviluppo di fonti energetiche che nel corso di pochi anni hanno ridotto il loro prezzo in modo spettacolare, create centinaia di migliaia di posti di lavoro, ridotto le importazioni energetiche e le nostre emissioni. Purtroppo, però, sono entrate in diretta concorrenza con i produttori di gas e stanno rendendo molto meno redditizi gli investimenti fatti in anni passati in troppe centrali, che oggi vanno a scartamento ridotto, un po' per la crisi e spesso per le rinnovabili. Logico che passino al contrattacco, forti anche della debolezza e dispersione delle imprese green e della grave crisi economica. La proposta della Commissione segnala, insomma, il ritorno in forze della lobby 'fossile': gas, petrolio, carbone, nucleare. E anche della lobby anti-Europea: ogni Stato deve rimanere totalmente sovrano nella scelta del mix energetico. La Commissione Barroso, anche stavolta, ha tenuto fede al suo motto "forte con i deboli, debole con i forti".
Ecco perché non si vogliono target ambiziosi per efficienza energetica e rinnovabili e si mantiene sotto controllo quello delle emissioni Co2. Il Regno Unito vuole finanziare con soldi pubblici il nucleare; la Francia non ha ancora deciso se avviare una lentissima uscita dal tutto atomo (il suo atteggiamento relativamente positivo sul Pacchetto Energia dipende soprattutto dal fatto che vuole evitare a tutti i costi di ripetere il fallimento di Copenhagen, quando nel 2015 dovrà organizzare il Summit sul Clima a Parigi); la Polonia vuole salvare i minatori; l'Italia del giovane Renzi ondeggia e parla di hub del gas e di nuovi tubi e trivelle, trascurando il suo enorme potenziale in materia di efficienza energetica e di rinnovabili (anche in termini di know-how), la Spagna vuole salvare gli interessi di alcune grosse imprese e persone (e il nuovo Commissario all'Energia e Clima Arias Canete ne sa qualcosa); la Germania vuole garantire l'Energiewende, puntando sì sulle rinnovabili, ma affidandosi temporaneamente a più carbone; eccetera.
Febbraio 2014 - Approvata risoluzione Parlamento Europeo. Il PE respinge l'approccio della Commissione e chiede a larga maggioranza target molto più ambiziosi per il 2030: 'almeno' il 40% di riduzione della Co2, il 30% di energia da rinnovabili e il 40% di EE. Obiettivo: rimanere in linea con la riduzione del 80/90% emissioni di gas climalteranti entro il 2050.
Luglio 2014 - Commissione pubblica comunicazione su Efficienza Energetica. La crisi ucraina rilancia la discussione sull'Unione per l'energia (intesa da chi l'ha originariamente proposta, il neo Presidente del Consiglio Donald Tusk, solo come una sorta di acquisto di gruppo del gas per contrastare il potere di interdizione russo) ma anche fa ripensare all'urgenza di diventare molto più 'risparmiosi'. Sulla base di una valutazione di impatto assolutamente manipolata (in pratica investire in efficienza energetica sarebbe più rischioso che comprare petrolio all'Isis!) e dopo furiose discussioni interne che vedono Barroso e la sua Segretaria Generale Catherine Day decisamente contrari, la Commissione decide di proporre un target del 30% al 2030. Modesto. Praticamente significa continuare sulla traiettoria presente, di circa l'1% di miglioramento all'anno, dovuto però per un terzo alla crisi.
È interessante notare che Barroso proponeva un target tra il 25% e il 27%, in pratica un rallentamento rispetto alla situazione attuale. Un vero paradosso. Soprattutto perché secondo gli scenari e i calcoli della Commissione (non pubblicati, ma ottenuti dalla Ong ClientEarth grazie a un accesso agli atti) puntare su un target del 40% di efficienza energetica al 2030 potrebbe garantire un taglio delle importazioni fra il 33% e il 40% di gas e del 18-19% del petrolio. Tanto per fare un esempio chiaro, il modesto obiettivo del 30% otterrebbe 'solo' il 22% di tagli delle importazioni di gas e il 16% di petrolio. E corrisponderebbe a un misero +12% rispetto alla situazione che avremmo nel 2030 senza misure addizionali (business as usual). Quanto alle rinnovabili, è la Commissione stessa che ci spiega, nei documenti presentati in gennaio, che il mito degli incentivi alle rinnovabili come causa prima del costo 'eccessivo' energia sostenuta a gran voce dalla propaganda di BusinessEurope (potente lobby fossile capitanata da Emma Marcegaglia) è falso.
Nonostante eccessi ed errori nel disegno degli incentivi, sono soprattutto le tasse e il costo della materia prima che fanno schizzare il costo dell'energia, come dice un documento della DG Finanze della Commissione UE, quella che partecipa alla Troikae come riafferma un documento di Ecofys, commissionato dalla Commissione stessa secondo il quale il peso degli incentivi ai fossili è di gran lunga maggiore. Ma certe cose meglio non saperle. E così, non sorprende che nel balletto dei numeri, che ha caratterizzato tutti questi mesi di preparazione al Consiglio europeo di giovedì, il Commissario Oettinger abbia voluto togliere dal Libro Bianco di preparazione al Pacchetto Clima ed Energia 2030 un dato molto interessante. In Europa, i sussidi all'energia nel 2012 sono così ripartiti: 30 miliardi di euro alle rinnovabili; 26 ai fossili; 30 al nucleare. I numeri, mi sembra, non hanno bisogno di grandi commenti, anche perché da allora i tagli agli incentivi alle rinnovabili sono stati ancora più netti. Un obiettivo debole e per di più non basato su obblighi chiari ripartiti fra gli Stati membri, rischia di rallentare la corsa all'energia verde: si passerebbe cioè da un aumento del 6,4% all'anno dal 2011 al 2020 a un mero 1,4% all'anno dal 2020 al 2030. Putin e gli sceicchi ringraziano.
A che punto siamo adesso?
Consiglio Europeo Ue, 23 e 24 Ottobre. Arriviamo così alle decisioni da prendere in questa settimana. I broker bruxellesi danno per quasi acquisito un accordo sul target di riduzioni delle emissioni al 40%, ma in questo momento i cosiddetti 'sherpa', emissari diretti dei Capi di Stato e di Governo che hanno partecipato nel corso di vari confessionali al negoziato di questi mesi gestito dal Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, stanno discutendo su quanto ogni Stato debba fare per partecipare all'obiettivo comune. Saranno certamente ore da gran mercato delle vacche su questa ripartizione anche al Consiglio Europeo e come al solito, quasi sicuramente, finirà a notte fonda. Non è un caso se il punto sul pacchetto Energia è previsto per la sera di Giovedì 23 ottobre!
In bilico invece i target di Rinnovabili ed Efficienza, a causa del tiro incrociato di vari interessi più o meno 'fossili' e dalla volontà di Renzi (che, promesse 'rinnovabili' a parte, non sembra molto interessato al tema) e di Van Rompuy di chiudere con un accordo, anche se non bello, questo importantissimo Pacchetto, anche per essere più o meno pronti per le tappe successive del negoziato Onu sul Clima. Altro tema da tenere d'occhio sono le frasette intorno ai target eventuali: vincolanti o no? Quale autonomia avrà la Commissione europea di Juncker (sulla carta molto più aperta di quella di Barroso) per proporre norme avanzate a valle della decisione del Consiglio?
Un elemento molto importante da tenere in considerazione è il modo attraverso il quale si è scelto di decidere sul pacchetto Clima ed Energia: perché mai un organo non legislativo come il Consiglio Europeo deve essere una sorta di ultima istanza, che per di più decide all'unanimità, su una politica che rientra nelle normali competenze dell'Ue, per la quale Parlamento, Commissione e Consiglio decidono a maggioranza quando legiferano? Si tratta di un'evidente forzatura introdotta nel 2007 nella discussione del famoso pacchetto 20/20/20. Un errore capitale che influenza tutta la discussione. Oggi il Regno Unito, ieri la Polonia domani chissà chi possono in modo abusivo prendere in ostaggio una larga maggioranza di Stati. Se ci fosse un modo di decisione diverso, il risultato sarebbe un altro.
Perché? Sulle rinnovabili, la Germania, la Danimarca, la Grecia e il Lussemburgo sono a favore di un target vincolante al 30%. La Svezia e il Portogallo (unico paese europeo a ridurre la sua dipendenza energetica grazie alle rinnovabili) sono favorevoli al 40%. Regno Unito, Polonia e altri paesi del cosiddetto gruppo Visegrad non sono d'accordo. Gli altri, Italia compresa premono per il minimo indispensabile. Sull'efficienza, 18 paesi, ivi inclusi Germania, Francia, Danimarca, Austria, Belgio, Italia e il nuovo governo Svedese sono favorevoli a un target sull'efficienza del 30% o più alto. Ma non basta, appunto a causa della procedura di decisione, che obbliga all'unanimità, e alla mancanza di determinazione della Presidenza e di altri Stati membri che hanno le posizioni giuste ma non si battono per ottenerle.
Dalle ultimissime notizie dopo la riunione degli sherpa di martedì 20 ottobre, apprendiamo che l'accordo sarebbe ora su un deludentissimo "almeno 27%" con revisione possibile al 2020. Se fosse veramente cosi, significherebbe che la lobby anti-europea inglese e quella fossile hanno ancora una volta avuto ragione dell'interesse europeo e che invece di aumentare il ritmo di 'efficientamento' delle nostre economie lo dovremo rallentare!
Qualche osservazione merita anche il fronte delle 'lobby' industriali che si è venuto profilando (anche se molto tardi) intorno al Pacchetto. Per la prima volta e in modo energico, il fronte industriale europeo si è visibilmente diviso in pro e contro l'agenda climatica. Già al livello Onu sono attivi vari gruppi di industrie interessate ad una reindustrializzazione verde, ma in Europa la divisione fra Business Europe (la Confindustria Europea) e il fronte più o meno unito e coordinato di decine di grosse multinazionali e medie imprese, da Ikea a Siemens, da Philips a Schneider, Unilever e perfino Shell, non era stato mai così visibile e rumoroso e, cosa molto importante, spesso ha lavorato all'unisono con Ong e think tanks ambientalisti. Una novità importante visto che, che ci piaccia o no, é solo da un'alleanza fra il business più innovativo e le forze sociali e politiche più 'verdi' che potrà davvero venire il cambiamento.
E l'Italia? Con nostro grande disappunto, il nostro energetico Primo Ministro non si è per nulla interessato al versante Clima/Energia del Summit di ottobre, pur avendo l'Italia la Presidenza di turno. Anzi le sue dichiarazioni pro-trivelle, pro-South Stream, pro-gas non annunciano nulla di buono. Il lavoro dei negoziatori italiani, stretti dal coordinamento e dal metodo Van Rompuy non è emerso gran che; il dibattito in Italia è stato nullo e anche questo ha avuto un impatto sull'atteggiamento sostanzialmente eco-indifferente del governo italiano, pur se, trascinati dalla Germania, non seguiremo come si era temuto in un primo tempo le posizioni retrograde di Confindustria. Questa inerzia è un errore capitale a nostro avviso. Perché se Renzi si fosse 'innamorato' dell'agenda Res/Efficienza energetica avrebbe dato un aiuto considerevole alla ripresa economica del paese: perché la transizione verso un'energia pulita è anche e soprattutto una grande sfida industriale. Nel 2011, la Commissione Ue ha calcolato che si potrebbero creare altri 3 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020, e che si potrebbe arrivare a 6 milioni entro il 2050 se arrivasse all'uscita dalla dipendenza dai fossili (rinnovabili/efficienza).

Vediamo con qualche numero perché Renzi e il suo governo stanno perdendo una grande occasione.

- L'Italia è la seconda 'green' economy europea. Settori che si stanno difendendo dalla crisi senza particolari aiuti, anzi, per ciò che riguarda le rinnovabili in un ambiente di ostilità crescente da parte dei media e del governo.
L'Italia importa l'82% del suo fabbisogno energetico, mentre la media europea è pari al 55%; nel 2012, la spesa per le importazioni di gas e petrolio è stata di 57,9 miliardi di euro.
L'Italia ha prezzi dell'energia mediamente superiori ai concorrenti europei, e ancor più rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti. In questa situazione, la riduzione della dipendenza energetica dell'Italia passa attraverso una scelta strategica a favore dell'efficienza.
Ma l'Italia non parte da zero. Il sistema energetico del paese fa leva su importanti punti di forza, eppure i dati della dipendenza da combustibili fossili rendono necessario un quadro normativo e d'investimenti molto più preciso. L'Italia è il primo paese al mondo nella diffusione di sistemi di 'smart-metering' che rappresentano una componente essenziale per la gestione/riduzione dei fabbisogni energetici (demand-side management); L'Italia è stata fra i primi paesi europei a sviluppare un mercato di emissione e di scambio di titoli di efficienza energetica, i certificati bianchi, basato su logiche di mercato e di neutralità tecnologica. Nell'ambito delle risorse finanziarie comunitarie che la futura programmazione 2014-2020 mette a disposizione dell'Italia (circa 32 miliardi di euro), circa 7 miliardi, vincolati ad azioni a sostegno della low carbon economy, potrebbero essere allocati per interventi di efficienza energetica. Tuttavia, secondo le ultime previsioni dell'Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, l'Italia raggiungerà solo 1/3 dell'obiettivo di riduzione potenziale dei consumi energetici da qui al 2020 (297 TWh/ anno) se non si agirà con misure robuste.

Quale è il potenziale per l'Italia di una politica energetica più 'verde'?

• Ottenere un risparmio potenziale al 2020 pari a oltre 86 Mtep di energia fossile che equivale ad oltre 5 miliardi di costo della Co2 evitato e ad una riduzione della bolletta energetica del Paese di oltre €25 miliardi;
• mobilitare circa 130 miliardi di euro di investimenti;
• aumentare la produzione industriale diretta e indiretta di 238,4 miliardi di euro e un crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro standard;
• incrementare il Pil medio dello 0,6% annuo e, considerando anche gli effetti netti sulla fiscalità, il beneficio netto collettivo sarebbe potenzialmente superiore a 1,5 miliardi di euro l'anno.

http://fotovoltaico-impianti.blogspot.it/2014/10/renzi-e-le-energie-rinnovabili-un.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+FontiEnergeticheRinnovabili+(Fonti+Energetiche+Rinnovabili)

l'Euro sta distruggendo l'Italia e il Pd, servo, collabora nell'annientamento

CGIL IN PIAZZA/ Salvini (Lega): Renzi e Camusso hanno fallito, la sinistra siamo noi


“Le regole europee stanno massacrando l’economia del nostro Paese, per essere credibile il governo deve smettere di applicarle come ha fatto la Francia”. Lo evidenzia il segretario della Lega nord, Matteo Salvini. A Berlusconi che gli dice “per Salvini c’è ancora tempo”, risponde “non ho fretta”, mentre sull’Italicum attacca: “E’ una porcheria, ma abbiamo cose più urgenti da fare che salire sulle barricate per la legge elettorale”. Anche perché il nuovo nemico della Lega non è più Roma ladrona, ma Bruxelles.

Renzi attacca l’Europa. Lo sosterrete? 
Noi lo sosterremmo più che volentieri se una volta tanto alle parole facesse seguire i fatti. In questi mesi ci ha abituato al can che abbaia ma poi non morde.

Di fatto Renzi ripropone l’austerità?
Sì, perché ha dichiarato che i vincoli imposti da Bruxelles, come quello del 3 per cento, sono idioti ma lui li rispetta ugualmente. Allora non è coerente, se un vincolo danneggia il proprio Paese non lo si rispetta come fanno i francesi.

Non è meglio cambiare le regole piuttosto che violarle?
L’Ue è fondata sugli interessi delle multinazionali del Nord Europa, non sugli interessi dei produttori come in Italia. E le regole Ue, infatti, stanno massacrando l’economia del nostro Paese. Sono fatte apposta per far guadagnare qualcuno e far morire qualcun altro.

Sarete in piazza con la Camusso?
No, domani (oggi, 25 ottobre,ndr) sarò a vedere la partita di pallone di mio figlio. Non vado né a Firenze né a Roma, anche perché dov'era la Camusso quando è stata approvata la legge Fornero? Renzi invece per quanto mi riguarda è solo un parolaio.

Alla Zanzara lei ha detto di essere più di sinistra di Renzi. In che cosa?
Basta guardare il parterre della Leopolda, o le frequentazioni di Renzi in queste settimane. Il premier ha stretto l’accordo con Marchionne, con Confindustria, con il mondo delle banche. Noi abbiamo raccolto 571mila firme per cancellare la legge Fornero, che ha massacrato pensionati e operai. Non so quindi chi sia più vicino ai lavoratori tra me e Renzi.

Ci dica tre provvedimenti che lei attuerebbe se dovesse scrivere la legge di stabilità.
Il primo è la flat tax, cioè l’aliquota fiscale unica al 15 per cento, che funziona in 40 Paesi del mondo. Lo Stato incasserebbe di più perché ci sarebbe meno evasione fiscale. Il secondo e il terzo provvedimento sarebbero la cancellazione degli studi di settore e la tassazione della prostituzione.

Pensare che ci sarà meno evasione fiscale non è un’utopia?
Quando le tasse arrivano al 60 per cento, l’evasione in parecchi casi è un fatto di sopravvivenza. Con un’aliquota unica bassa come in Russia e in Ungheria, la gente è invogliata a pagare. Più alzi le tasse più la gente evade.

Con chi pensa di allearsi in Europa?
Noi abbiamo fatto una scelta di coerenza, siamo alleati di Marine Le Pen, degli austriaci, dei fiamminghi e degli olandesi per un altro modello di Europa basato sulle piccole e medie imprese e sulle identità locali, più che sulle multinazionali e le banche.

Alternative fur Deutschland può essere un vostro alleato?
Assolutamente sì, perché anche loro si rendono conto che l’euro è stata una moneta sbagliata.

Berlusconi ha detto: “Per Salvini non è ancora tempo”. Che cosa gli risponde?
Che non ho fretta. Stiamo preparando il futuro, quindi non mi interessa l’elezione di domani mattina.

Lei ritiene di poter raccogliere il consenso degli elettori moderati di centrodestra?
Bisogna capire che cosa si intende per moderato. Se parliamo del piccolo imprenditore, dell’artigiano, della partita Iva, del commerciante, ormai non è più moderato perché ha scritto “vendesi” o “affittasi” fuori dalla sua attività. Sono convinto che la Lega possa raccogliere tutto quello che è alternativo a Renzi.

Quindi Berlusconi non ha più futuro?
Berlusconi ha un grandissimo passato, magari ha anche un futuro davanti, però io guardo in casa mia.

Il federalismo è un sogno tramontato?
No, il federalismo è il futuro. Premiare le eccellenze e le identità locali è il futuro. Più Bruxelles tende ad accentrare, più Scozia, Catalogna e Fiandre sono la risposta.

Il vero nemico non è più Roma ma Bruxelles?
Entrambi sono dei nemici. Il 70 per cento di quello che si vota a Roma arriva da Bruxelles, e quindi la battaglia spesso e volentieri bisogna farla a monte, non a valle.

Che cosa è cambiato nei contenuti della Lega nord da quando lei è segretario?
C’è stata la presa d’atto che l’Europa, che poteva essere una bellissima scommessa, si sta rivelando una prigione. Da qui le missioni in Russia e l’alleanza con la Le Pen. Se oggi secondo i sondaggi la Lega nord sta correndo è perché le idee sono buone, non è per i miei meriti personali.

Quale futuro vede per la Lega con l’Italicum?
Il Parlamento non riuscirà ad approvare una legge elettorale. Hanno già cambiato idea quattro volte, poi per quanto riguarda la Lega non è un problema.

Vi alleerete con Forza Italia?
Non è detto, può essere di sì e può essere di no. Se i progetti non coincidono, non necessariamente mi devo alleare con qualcuno.

L’Italicum è una buona legge?
L’Italicum è una porcheria, perché ha le liste bloccate, non ha le preferenze e non permette ai cittadini di scegliere. Non so come andrà a finire, ma di certo non è una legge democratica. Non è però sulla legge elettorale che la Lega farà le barricate.

La legislatura andrà avanti fino al 2018?
No, figuriamoci. Renzi vorrà andare a votare prima perché sa benissimo che in economia non riuscirà a combinare niente. Non può andare avanti a promettere 80 euro a tutti.

Napolitano accetterà di sciogliere le camere anticipatamente?
Sì, ammesso che sarà ancora Napolitano il presidente della Repubblica in carica.

Quando andremo al voto?
Presto, perché tutti i dati economici, dalla disoccupazione al debito pubblico, alla produzione industriale, sono negativi. E sono negativi perché Renzi non ha coraggio.

(Pietro Vernizzi)


Gli 80 euro e i soldi per i neonati sono tolti agli asili nido e alla sanità pubblica

Legge di Stabilità, quattro miliardi di tagli a sanità, scuola e sicurezza. Eccoli

Dalla finanziaria tagli per 6,1 miliardi alle amministrazioni dello Stato: dalla Difesa 500 milioni, 148 dall'Istruzione, 11,3 dalla salute. Toccati anche ricerca e fondi per la competitività. Il Ministero degli Esteri indenne: i tagli solo su contributi a organismi internazionali e insegnanti all'estero
Centodue milioni di euro in meno alla Giustizia36sottratti all’amministrazione delle carceri e 15 alla prevenzione del dissesto idrogeologico nei prossimi tre anni. Perfino la scuola, totem renziano della svolta buona, paga un prezzo altissimo: 148milioni di euro nel 2015, 421 entro il 2017. Mancava solo la “bollinatura” della Ragioneria dello Stato per scrivere quel che già si temeva: la legge di stabilità 2015 che doveva essere “espansiva” impone in realtà tagli dolorosi a settori sensibili della spesa pubblica come la sicurezza, l’istruzione e la sanità. Comparti che verseranno alti contributi di sangue alla causa della tenuta dei conti, al vincolo europeo e alle nuove promesse come il bonus-bebé spuntato fuori dal cilindro di Renzi che ha costretto i tecnici della Ragioneria a riaprire di corsa il capitolo “coperture” su cui insiste la richiesta di chiarimenti di Bruxelles.
Il sigillo infine è arrivato, il testo definitivo è stato depositato alla Camera, dove inizierà il suo percorso parlamentare la prossima settimana. E dunque si possono fare nomi e cifre della cura dimagrante imposta dal governo alle amministrazioni centrali dello Stato, agli enti di rilevanza costituzionale come la Corte dei Conti e i Tar, e a quelli pubblici come Istat, Commercio estero e organismi internazionali. Le forbici incidono su tutto questo per 6,1 miliardi di euro ma non colpiscono allo stesso modo, tra la mano pesante dove proprio non l’aspetti – dalla ricerca all’Autorità Nazionale Anticorruzione – e quella leggera riservata a chi non versa mai un euro. Gran parte dei tagli intaccano spese e budget di Ministeri: 2,4 miliardi come riduzione di voci di spesa di diretta competenza dei dicasteri con portafoglio, 1,4 come misure di settore, 1,017 come riduzione delle dotazioni finanziarie. Ma è nei dettagli dell’operazione che si capisce con quanta cura ha operato il chirurgo. I tagli pluriennali a interi programmi e singole missioni, trascritti nelle tabelle allegate alla manovra, certificano che la scuola privata vale più di quella pubblica, che la lotta alla contraffazione si può fare con meno soldi, che Ebola e il terrorismo sono minacce ma solo per gli altri Paesi. Ecco le riduzioni più significative.
TOGLI IL TIGRE DAL MOTORE. La manovra è tanto “espansiva” che finisce per colpire anche il Ministero dello Sviluppo Economico: in tre anni avrà a disposizione 20 milioni di euro in meno. Tra le voci rilevanti spiccano i 6,2 milioni sottratti alla “incentivazione del sistema produttivo”, che saliranno poi a 10 nel triennio 2015-2017. Non solo. Penalizzata è anche la promozione all’estero, l’internazionalizzazione delle imprese e l’attrazione degli investimenti esteri che si vedranno tagliare fondi per oltre 1,5 milioni. Cinesi e ambulanti però ringraziano preventivamente il governo per quanto si prepara a fare sul made in Italy, voce di missione tanto cara ai politici da finire serenamente nel paniere dei tagli: la lotta alla contraffazione perderà 5milioni l’anno, 15milioni dal 2015 al 2017.
L’ITALIA GIOCA META’ IN DIFESA. Nella roulette russa dei tagli il Ministero della Difesa è chiamato allo sforzo maggiore. Da solo sosterrà quasi il 50% del miliardo attinto dalle dotazioni ministeriali. Nel dettaglio, su 550 milioni di euro di riduzione 496 arrivano direttamente dalla revisione delle spese per le Forze Armate e l’approvvigionamento militare. Il resto, dalla vendita di circa 1.200 immobili che a regime dovrebbe portare minori costi per 1,4 miliardi. La lista definitiva però ancora non c’è e il condizionale, dopo anni di annunci, è d’obbligo.
CONTRORDINE, LA SCUOLA SI TOCCA. Fresco di nomina l’aveva indicata come “il luogo da cui ripartire per uscire dalla crisi” (Ansa, 12/03/ 2014). Sulla scuola Renzi deve aver cambiato idea. Anche il Ministero dell’Istruzione finisce infatti nella rosa dei tagli e con una sforbiciata da 148,6 milioni di euro, suddivisi in 30 a carico dell’istruzione pre-scolastica, 36 alla scuola primaria, 17,6 alla secondaria di primo grado, 54,8 a carico di quella secondaria di secondo grado, 5,4 milioni per l’istruzione universitaria, un milione dalla ricerca. Nel prossimo triennio il taglio sarà di 421 milioni di euro, cioè 21 milioni più delle risorse destinate all’operazione-bandiera scuole sicure. Nelle tabelle col segno “più” davanti, viene invece confermato il contributo di 200 milioni di euro alle scuole non statali per il 2015. Quindi se ne tolgono 148 alla pubblica e se ne danno ancora di più a quella privata. Con anche 50 milioni di mancia.
IL FARDELLO GIUSTIZIA. Attenzione, c’è da riparare la giustizia. Matteo Renzi lo aveva scandito in tempi non sospetti. Era il 10 marzo e dal loggiato del Sacro convento di Assisi annunciava così l’intenzione di riformare processo civile e penale. Oggi si appresta a chiedere la fiducia sul primo provvedimento mentre l’altro è in alto mare. Nel frattempo è arrivata però la Legge di Stabilità. Che fare? Il governo ha deciso di sperimentare una soluzione nuova: per rendere il processo più veloce si sollevano i tribunali dal fardello dei fondi. La dotazione per il Ministero della Giustizia scende così di ben 64,1 milioni di euro che vengono sottratti alla giustizia civile e penale. Anche lo slancio verso una migliore amministrazione delle pene, sbandierato urbi et orbi da tutti gli ultimi governi, sbatte contro la riduzione di 36,1 milioni all’amministrazione penitenziaria.
LA BEFFA SICUREZZA. Gli italiani possono però tirare fin d’ora un sospiro di sollievo: il terrorismo che colpisce in Canada non sarà una minaccia per l’Italia, almeno per i prossimi tre anni. Lo dice il governo, lo controfirma il Capo dello Stato e ci mette anche il timbro la Ragioneria. Tutti d’accordo. Dev’essere per questo che al comparto sicurezza la legge di Stabilità non porta in dote un euro di più, semmai toglie 300 milioni nel giro dei prossimi tre anni. Per il 2015 sono così suddivisi: 74 milioni sono a carico dell’ordine pubblico e la sicurezza (42,7 della missione di contrasto e tutela dell’ordine pubblico e 32 per il coordinamento e la pianificazione tra forze di polizia), altri 17 sono sottratti al soccorso civile.
LA SALUTE SI TOCCA, I DIRITTI PURE. La Lorenzin aveva puntato i piedi: no alla riduzione del 3%. Prima di lei tutti i senatori Pd della Commissione Salute avevano chiesto al loro segretario che “il settore sia al centro dell’azione di governo”. Lui non ha dato retta né al ministro né ai parlamentari della sua maggioranza. Così la cifra in tabella alla voce Ministero della Salute è di 11,3 milioni, tagli che saliranno a 33,3 nel giro di tra anni. La parte del leone la farà il settore della prevenzione con quasi 11 milioni di euro per i prossimi tre anni. La conferma contabile, finalmente, che l’emergenza Ebola non c’è e non ci sarà fino a tutto il 2017. Dopo si vedrà. A seguire il dicastero dei Trasporti con 11,2 milioni di euro per i prossimi tre anni. Otto milioni, giusto per non dimenticarsi dei più deboli, arrivano dal capitolo “diritto alla mobilità”. Pure il ministero del Lavoro viene tagliato: la sforbiciata è di 4,6 milioni nel 2015. Se poi tocca mettere in piedi la riforma dei centri per l’impiego pazienza, si dirà che mancano i soldi.
CAMPIONI DI SALTO DEL TAGLIO. La Farnesina passa col rosso e non paga dazio. L’abilità delle Feluche in questo sport è ormai proverbiale: scansa i tagli come birilli e li gira al volo su altri. Il Ministero degli Esteri si adegua al dettato del 3% su un bilancio di 1,5 miliardi ma con effetto in gran parte “differito” dietro la promessa, trascritta nelle legge di stabilità, di una prossima riforma del indennità di servizio all’estero che sulla carta dovrebbe portare circa 108 milioni di euro in tre anni. Il tutto a partire da luglio 2015. Intanto però le spese le fanno subito gli organismi terzi cui il il Ministero eroga contributi per conto dello Stato. Dei 25 milioni di risparmio ben 20 saranno sotto la voce Onu e altri 3 sotto la casella Osce. In pratica quel che non si risparmia tagliando in costi strutturali dell’amministrazione lo si taglia ai poveri, in forma di minore contribuzione ai progetti mondiali di cooperazione e sviluppo. La scampano i mega ambasciatori, non gli insegnanti all’estero che subiranno un taglio di 3,7 milioni di euro nel 2015 e di 5,1 per il successivo biennio.
PIOVE SUL BAGNATO. Un mezzo raggio di sole per gli ultimi alluvionati d’Italia. Mezzo, dopo che lo Sblocca Italia ha ridotto del 50% i fondi annunciati per Genova. E i prossimi alluvionati? Chissà, di doman non v’è certezza. Il governo ha confermato nel dd Stabilità il differimento del pagamento delle tasse per le vittime della calamità del 10-14 ottobre. Ma con la stessa legge ha deciso di tagliare i fondi per la tutela del territorio in tutto il resto del Paese, compresi quelli per la prevenzione e la sistemazione delle aree in dissesto idrogeologico. Il taglio fa parte degli 8,3 milionispuntati al budget del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, per ogni anno da qui al 2017. Tra le voci di dettaglio 2,3 milioni per tre anni ridurranno il programma di missione “Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente”. Lo stesso fondo subisce anche la decurtazione di 3,5 milioni a carico del Ministero dell’Ambiente. Tagli che si ripeteranno per tre anni consecutivi, per una riduzione complessiva di 15 milioni di eurofino al 2017. Se poi scatta l’emergenza e nessuno risponde si saprà il perché: nella tabella è previsto anche un taglio di 1,4 milioni alle dotazioni del soccorso civile, stavolta sul fronte dell’Ambiente.
DAI GIUDICI CONTABILI ALL’ANAC. La spending reviewtargata Renzi, come detto, non si limita ai soli ministeri. Nel mirino sono finiti anche 43 enti e organismi pubblici. Questi contribuiranno alla riduzione delle spese per poco più di 22 milioni di euro. L’Istat, ad esempio, si vedrà ridurre i trasferimenti, a decorrere dal 2015, per 2 milioni. Mentre per l’Agea la riduzione di risorse sarà di 3 milioni. Stesso taglio per la valorizzazione dell’istituto di tecnologia. Infine, 10 milioni arriveranno complessivamente dal taglio ai bilanci di organi a rilevanza costituzionale: circa 6 saranno dalla Corte dei conti e 3,2 da Consiglio di Stato e Tar. Perfino la dotazione dell’Autorità Anticorruzione di Cantone si vede tagliare 100mila euro dalla dotazione prevista per i prossimi tre anni. Certo non una cifra enorme rispetto a 5,2 milioni che ancora si aspettano. Ma resta emblematica. Renzi ha tagliato corto sulle coperture sostenendo che “due miliardi si trovano anche domattina”. Ma se ha cercato 100mila euro all’anticorruzione, dove l’emergenza è continua, forse non è poi così vero.http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/24/legge-stabilita-61-miliardi-tagli-ministeri-difesa-polizia-zero-per-farnesina/1166353/

la politica monetaria europea succube degli Stati Uniti

Dagli Usa una cattiva novella monetaria per l’Europa (e l’Italia)

Con tassi Usa in incremento, si potrebbe pensare a un flusso di capitali europei verso l’altra sponda dell’Atlantico che potrebbe neutralizzare le "misure non convenzionali" congetturate a Francoforte. Ecco tutti i primi, pessimi, segnali dagli Stati Uniti per l'Europa e per Draghi...
Per la Banca centrale europea (Bce), e per il Tesoro italiano, sembrano “Godot”: da settimane ci si attende un aumento dei tassi d’interesse Usa (il tasso base di riferimento è rimasto ancorato allo 0,250%, quindi è praticamente negativo), con implicazioni sui mercati monetari europei. Ma nulla pare muoversi.
Purtroppo pochi giornalisti economici e finanziari italiani hanno esperienza di vita negli Stati Uniti. E credono a quanto si legge nei manuali, ossia che i tassi dipendano solamente o principalmente dalle decisioni del Federal Open Market Commitee (FOMC), la cui prossima sessione è il 28-29 ottobre. Quindi, occhi puntati alla prossima settimana.
Gli Stati Uniti, però, sono una confederazione. In pratica, gli Stati dell’Unione non aspettano le paludate riunioni del FOMC nel palazzone in stile tardo-fascista di Constitution Avenue nella sezione North West di Washington D.C.
Un indicatore eloquente è come si muovono i “tetti normativi” posti, con legislazioni dei singoli Stati dell’Unione, al tasso d’interesse che le banche possono porre ai prestiti personali a clienti “a rischio” a ragione di basso reddito, lavoro precario e mancanza di garanzie reali. Negli ultimi mesi, otto Stati dell’Unione hanno aumentato “i tetti”, spesso al termine di un lungo confronto con altre istituzioni degli Stati Uniti. Ad esempio, nello Stato della Carolina del Nord le autorità statuali hanno avuto un lungo confronto con quelle militari federali poiché i soldati semplici hanno spesso difficoltà ad ottenere prestiti personali che non siano al “tetto”. Altri Stati che hanno aumentato i “tetti”, oppure in certi casi li hanno proprio tolti, includono il Kentucky, l’Arizona, il Missouri, l’Indiana, il Maine e la Florida. In alcuni di questi casi, per non scontrarsi con le leggi “anti-usura”, il “tetto” è stato appena ritoccato ma sono stati notevolmente aumentati gli “oneri amministrativi”: ad esempio, in Missouri gli “oneri amministrativi” sono stati portati al 10% di ogni singola operazione sino a un massimo di 75 dollari.
Occorre interpretare con le pinze questo fenomeno. Da un lato, superata la crisi, molte banche o filiali di grandi istituzioni finanziarie sono tornate a pescare nel mercato del subprime: la più nota, e la più grande, è One Main Financial, una succursale di Citigroup specializzata in questo campo. Il 60% delle operazioni di One Main sono essenzialmente rinnovi, in effetti “Insolvenze mascherate” che, con prestiti a breve, in certi casi portano (tenendo conto anche degli “oneri amministrativi” ad un costo (per il debitore) del 36% l’anno. Da un altro, sono sintomi eloquenti di un vero e proprio aumento dei tassi negli Stati Uniti, a cui il 28-29 ottobre il FOMC dovrà dare una risposta.
Ciò comporta interrogativi seri anche per la Bce: con tassi Usa in incremento, si potrebbe pensare a un flusso di capitali europei verso l’altra sponda dell’Atlantico che potrebbe neutralizzare le “misure non convenzionali” congetturate a Francoforte.