la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune. Produrre, organizzare, trovare soluzioni, impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST? Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
sabato 22 novembre 2014
Il governo Pd pranza con i padroni mentre approva il Jobs Act che precarizza, elimina ammortizzatori sociali a due lire mese
il governo Pd fa l'ennesimo condono fiscale per i ricchi mentre noi popolo bue paghiamo tutto
Voluntary Disclosure, annunciata approvazione entro fine novembre. Ma lo slittamento del rientro dei capitali al 2015 sembra più probabile
Voluntary Disclosure, la normativa sul rientro dei capitali illecitamente detenuti all’estero potrebbe vedere la luce più in fretta di quanto anticipato. Il Senato, infatti, starebbe puntando a chiudere la partita entro la fine di questo mese, arrivando al massimo ai primi di dicembre. Ma per il via libera definitivo potrebbe volerci del ancora del tempo.
I prossimi passi dell’esame
Nel frattempo, sta per avere inizio il classico ciclo di consultazioni: sono attesi l’Agenzia delle Entrate, Bankitalia, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, tributaristi e docenti universitari. Il tutto però, avrà luogo tra domani e martedì 25 novembre, tecnicamente in tempo per un via libera sul filo di lana.Attese poche modifiche
In un contesto dettato dalla limitatezza dei tempi, però, sono in molti ad osservare che non ci sarà molto spazio per grandi modifiche. In particolare, si attende la sostanziale conferma delle aliquote progressive, un punto che non sembra suggerire controindicazioni di sorta né suscitare particolari controversie tra le diverse forze politiche. Se la Commissione Finanze ostenta tutto sommato tranquillità sulla rapidità dell’iter, gli occhi sono puntati maggiormente sulla Commissione Giustizia, vero giudice sulla dibattuta questione del reato di autoriclaggio. Anche qui, però, apparentemente nessuno si preoccupa; secondo Nicola D’Ascola, senatore del Nuovo centrodestra e relatore in commissione, l’impianto normativo varato da Montecitorio è “solido” ed eventuali modifiche potranno “al massimo completare il quadro”.Giunti a questo punto, i più maliziosi si chiedono se davvero si possa sperare in un’approvazione definitiva della norma o se - come qualcuno insinua - sia più verosimile l’ipotesi di vedere apportare al testo quel minimo di modifiche necessarie a rendere obbligatoria la terza lettura. In questo modo, di Voluntary Disclosure se ne riparlerebbe direttamente nel 2015.
http://www.forexinfo.it/Voluntary-Disclosure-annunciatahttp://www.forexinfo.it/Voluntary-Disclosure-annunciata
il governo Pd dice che lotta contro l'evasione fiscale poi fa un decreto che premia chi evade/elude
L'articolo 4 della bozza del provvedimento prevede che nel caso di dichiarazione infedele, il reato penale scatti solo dopo il superamento della soglia dei 200 mila euro. Attualmente questo tetto è molto più basso, 50 mila euro. In precedenza era di 200 milioni delle vecchie lire, 103 mila euro, ma fu ridotto dall'ex ministro Giulio Tremonti in una delle ultime manovre di finanza pubblica da lui firmate. Per chi deciderà di collaborare con il Fisco, sottoponendosi al tutoraggio dell'Agenzia delle Entrate, il tetto oltre il quale scatta il reato penale sarà ancora più alto: 400 mila euro. Non solo. Non sarà più considerato reato nemmeno la non corretta classificazione nel bilancio di oneri deducibili reali.
COSA CAMBIA
Significa che se nei conti viene indicato un costo realmente sostenuto, ma che il Fisco non considera deducibile, non potrà scattare la denuncia penale. Su questo punto, tuttavia, ci sarebbero ancora dei dubbi dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, che avrebbero chiesto di rivedere la norma. Anche le frodi fiscali subiranno una modifica. Per contestarle non basterà una falsa rappresentazione delle scritture contabili, ma bisognerà dimostrare che sono state compiute operazioni simulate «oggettivamente o soggettivamente», avvalendosi di «documenti falsi o altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento».
Confermata la non punibilità penale delle false fatture inferiori a mille euro. Altra novità è che i beni (escluso denaro e titoli), sequestrati dalla magistratura nell'ambito di indagini fiscali, potranno essere affidati alla gestione dell'Agenzia delle Entrate e del Demanio invece che agli amministratori giudiziari.
L'impianto del decreto, per il resto, conferma quanto riportato ieri da Il Messaggero. L'elusione fiscale non sarà più reato penale, ma sarà sanzionata solo amministrativamente. Il decreto precisa che se un'impresa può scegliere tra due regimi fiscali, è lecito utilizzare quello più conveniente. Un'operazione, poi, non può essere considerata «abusiva» se ha non marginali motivazioni economiche.
Limitato anche l'uso del raddoppio dei termini di accertamento. Il Fisco potrà ottenere questa sorta di «extra-time» per le sue indagini, solo se la denuncia penale sarà fatta entro i termini naturali dell'accertamento. La norma è in parte retroattiva, coprendo anche le violazioni commesse prima dell'entrata in vigore del decreto, ma solo se non è stato notificato l'avviso. Anche su questo punto l'Agenzia delle Entrate avrebbe delle perplessità. Per il principio del «favor rei» potrebbero cadere numerosi contenziosi in corso.
Ungheria, Orbán ci sta insegnando quello che dobbiamo fare quando riusciremo ad andare via dall'Euro
È un terremoto quello che il governo di Viktor Orbán intende scatenare nel comparto delle vendite al dettaglio ungherese. Bersaglio: le grandi catene straniere, accusate di aver conseguito una posizione di predominio facendo leva sulla propria ricchezza e operando in perdita.
A fianco del prelievo per le ispezioni nei supermercati, già approvato, è arrivata una nuova proposta: una catena con giro d’affari sopra i 163 milioni di euro che presenti conti in rosso per due anni di fila dovrà chiudere bottega.
“Ovviamente le catene al dettaglio ungheresi saranno completamente risparmiate o, comunque, saranno toccate pochissimo”, spiega András Mihálovits, giornalista economico. “Di più, questa situazione crea un’enorme opportunità di mercato per loro. Inoltre è ipotizzabile che alcune delle catene al dettaglio non riterranno desiderabile operare sul mercato ungherese in queste circostanze, semplicemente perché non ne vale la pena, e lasceranno l’Ungheria”.
In effetti, la norma sembra fatta su misura per colpire le compagnie straniere, in quanto le grosse società del Paese (CBA, molto vicina allo stesso Orbán, ma anche Coop e Reál) operano per la maggior parte come unità separate o in franchising. Colpo di grazia, un’altra proposta in discussione: vietare l’apertura dei negozi la domenica, il che danneggerebbe, ancora una volta, i grandi supermercati.
“Abbiamo sentito che le misure porteranno a molti licenziamenti, a salari più bassi, ed è il contrario di quello che vuole il governo, cioè l’espansione della forza-lavoro e quant’altro”, commenta una donna in un uno dei supermercati. “Dovrebbero rimanere aperti, perché la domenica c‘è molta gente che va ancora a fare spese”, aggiunge un altro cliente.
Ben 7 delle principali catene nel Paese sono straniere, tra cui la francese Auchan e la britannica Tesco, terzo di lavoro del Paese. E mentre gli esperti notano l’effetto “circolo vizioso” delle prime due misure combinate tra loro l’olandese SPAR ha già annunciato lo stop degli investimenti.
http://it.euronews.com/2014/11/20/supermercati-governo-ungherese-all-attacco-delle-catene-straniere/
Tagli ai comuni, servizi all'Expo sono aumenti di tasse al popolo milanese
Mancano fondi, sarà l'Expo delle tasse
Per l'evento il Comune ha messo a bilancio 114 milioni, ma il governo ne garantisce solo 50. E si rischia la stangata
L'assestamento di Bilancio, contesta De Corato, «è l'ennesima conferma che Milano a Roma conta come il due di picche e il centrosinistra vorrebbe mettere altre tasse per Expo. Cosa succede se i soldi non arrivano? La soluzione di Rizzo, tassare le categorie che guadagnano da Expo, è allucinante». Un altro «pacco» e una promessa non mantenuta dal premier Renzi costano quasi la stessa cifra ai residenti: 13 sono i milioni di trasferimenti in meno iscritti a Bilancio come «contributo» di Milano allo spot degli 80 euro in busta paga. E 12 milioni costa il restyling della scuola di viale Puglie. Renzi scrisse una lettera ai sindaci a marzo invitandoli a indicare un istituto da ristrutturare. Ma la ginta non ha ancora visto un euro e ieri stanziato con fondi propri i lavori, sia per viale Puglie che per la media di via Viscontini che aveva aggiunto tra le priorità.
la 'ndrangheta ha comprato tutto il comprabile in Italia e in Europa
‘Ndrangheta, Gratteri: “con la cocaina ha comprato tutto ciò che poteva comprare”
21 novembre 2014 16:23 | Ilaria Calabrò
sempre peggio con i nostri soldi vogliono indottrinare i bambini
IDEOLOGIA “ GENDER”, MA CHE COS’È?

La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, di negare che l’uma
nità è divisa tra maschi e mira a eliminare le identità sessuali “naturali”; non è il corpo sessuato con cui ognuno di noi è nato a determinare l’essere maschio o femmina di ogni essere umano, ma una scelta personale alla quale contribuiscono anche le condizioni della società in cui si vive. Uomo o donna non si nasce, insomma, ma si diventa, magari per scelta, e non irreversibile.
La chiave della rivoluzione del gender è il linguaggio, come si deduce da qualche ordinamento giuridico, dove solo cambiando qualche termine – “genitore” invece di “madre” e “padre”, “parentalità” invece di “famiglia” – si è riusciti a cancellare nei documenti la famiglia naturale. Con un’altra operazione artificiosa si sostituiscono “sesso” con “sessualità” e “sessuato” con “sessuale”, per confermare che non conta la realtà, ma solo l’orientamento del desiderio.
Si tratta di una vera e propria sfida antropologica al fondamento culturale non solo della nostra società ma di tutte le società umane. In sostanza, significa negare che le diversità fra donne e uomini siano naturali, e sostenere invece che sono costruite culturalmente, e quindi possono essere modificate a seconda del desiderio individuale. L’adozione di una “prospettiva di genere” è stata la linea ideologica adottata con forza da alcune delle principali agenzie dell’Onu e dalle Ong che si occupano di controllo demografico, con il sostegno della maggior parte delle femministe dei Paesi occidentali, ma con l’opposizione dei molti gruppi nati a difesa della maternità e della famiglia.
Da qui il termine gender (che è più elegante e neutro di “sesso”) non solo è entrato nel nostro linguaggio, ma utilizzando la copertura del programma anti-omofobia 2014/2015 di concerto con le principali associazioni LGBT italiane, il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha concordato con “Agedo”, “Arcigay”, “ArciLesbica”, “Associazione Radicale Certi Diritti”, “Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli”, “Equality Italia”, “Famiglie Arcobaleno”, “Gay Center”, “MIT” un piano strategico nazionale di contrasto all’omofobia e la transfobia che ha assunto a base ideologica proprio la teoria del gender.
Ma che cosa c’entra la lotta all’omofobia con la diffusione della teoria del gender?
Non dovrebbe centrare nulla ma le associazioni LGBT, ne hanno fatto impropriamente la piattaforma ideologica e culturale per la loro battaglia di riconoscimento dei matrimoni gay.
L’ONU ha adottato una Strategia Nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, recepita il 30 aprile 2013, dall’“Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni” (UNAR) per volere dell’allora Ministro del Lavoro (con deleghe alle Pari Opportunità) Elsa Fornero.
Tale “Strategia Nazionale” si focalizza sull’asse di intervento programmatico dedicato all’“educazione e istruzione” che individua nella scuola il luogo principale di formazione di una nuova cultura che favorisca il «processo di accettazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere» .
In tale prospettiva, le parti hanno, infatti, stabilito l’avvio di corsi formativi per tutte le figure apicali degli uffici scolastici regionali e provinciali e l’istituzione, all’interno della Settimana contro la violenza e discriminazione, della lotta all’omofobia e alla transfobia come tema centrale per l’anno scolastico 2014-15.
La Ministra Giannini ha promesso, alle numerose realtà associative LGTB, un confronto più assiduo anche rispetto alla stesura delle nuove linee guide sul contrasto del bullismo e del cyberbullismo.
Il governo affida dunque alle associazioni LGBT il delicato e fondamentale compito di redigere le politiche educative nazionali in ambito scolastico. Tra queste anche il “Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli” che continua oggi l’opera di distruzione e dissoluzione morale della nostra società iniziata dal suo ideologo Mario Mieli colui che negli Elementi di Critica Omosessuale del 1977, scriveva che gli uomini nascono «naturalmente» con un’innata tendenza polimorfa e «perversa», caratterizzata da una «pluralità delle tendenze dell’Eros e da l’ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo».
Il governo ha affidato all’Istituto A.T. Beck, associazione professionale di psicologia e psicoterapia, incaricata dall’UNAR, la realizzazione di opuscoli informativi rivolti agli/alle insegnanti per il contrasto del bullismo omofobico nelle scuole. Tutto ciò secondo un protocollo d’intesa MIUR-Pari Opportunità che parla di approfondimento nelle scuole di “temi riguardanti la violenza di genere, la violenza nei confronti dei minori, la pedopornografia, anche on line, il bullismo anche quello a sfondo omofobico e transfobico.”
La guida contro la discriminazione sconsiglia per esempio ai genitori di leggere fiabe ai bambini perché promuovono solo la famiglia”. Per le Pari opportunità è, dunque, davvero ora di finirla con la bigotta famiglia tradizionale. Aria nuova ci vuole, specialmente per i bambini. Avanti allora con esempi più moderni, di coppie omosessuali, con genitori uno e due!
Può il MIUR e il Ministero delle Pari Opportunità imporre alle scuole e agli insegnanti una ideologia che mira a distruggere i valori tradizionali della società e sostituirsi alle famiglie che sono le depositarie dell’educazione dei loro figli?
E’ lecito in nome dell’eguaglianza e del rispetto dei diritti civili stravolgere quelli che sono i canoni consolidati e costituzionalmente garantiti dei valori della nostra civiltà?
L’aggressione educativa del “ gender “ nei confronti dei giovani e delle famiglie è una delle più pericolose derive formative del nostro secolo che come un virus letale si annida nei centri nevralgici dell’Europa e degli States e tende ancor di più ad aumentare il divario con le altre società quali la Cina, la Russia, l’India e i paesi islamici che già hanno steso un cordone sanitario contro questo virus dell’Occidente malato e decadente.
La libertà educativa è un valore imprescindibile che non può essere strappato alle famiglie e imposto ai docenti con pseudocampagne formative e libelli dell’UNAR pagati con i fondi dell’Europa.
Salvatore Indelicato
ASASI ©
http://parcodeinebrodi.blogspot.it/2014/11/ideologia-gender-ma-che-cose.html
Il governo Pd stia tranquillo scorporeremo il Canone Rai dalla bolletta elettrica
Assoelettrica boccia il canone Rai in bolletta. Testa: "Assolutamente contrario"

Vedi le fotoAssoelettrica boccia il canone Rai in bolletta. Testa: "Assolutamente contrario"
perchè il popolo francese voterà in massa il Front National di Marine le Pen che vuole uscire dall'Euro
SVELATO IL ''PIANO'' DELLA COMMISSIONE JUNCKER PER LA FRANCIA: COMMISSARIAMENTO DEL GOVERNO E AGGRESSIONE COME ALLA GRECIA
venerdì 21 novembre 2014PARIGI - Per ottenere un nuovo rinvio del suo rientro del deficit e per ottenere una parte dei 300 miliardi di euro (sempre che esistano e non siano la presa in giro che già appaiono essere) previsti dal piano Juncker per il rilancio degli investimenti in Europa, la Francia dovra' seguire un preciso calendario di riforme strutturali, la cui lista e' contenuta nel documento adottato dal Consiglio europeo nello scorso luglio, tre pagine fitte di "raccomandazioni" per il biennio 2014-2015.In pratica la Commissione europea intende comportarsi con la Francia come ha fatto con la Grecia: una specie di commissariamento con diktat esecutivi, in stile occupazione.
La Ue dunque si prepara a mettere la Francia sotto tutela.
Il primo atto sara' il lunedi' 25 novembre, quando riprenderanno le trattative tra il ministero francese delle Finanze e la Commissione europea sui conti pubblici della Francia, che proseguiranno fino alla riunione plenaria dei commissari il 28 novembre.
Nonostante le fughe pilotate di voci, la squadra di Juncker non ha voglia - anzi, non ha più l'autorevolezza per colpa dello screditatissimo Juncker - di comminare la sanzione dello 0,2 per cento del Pil (nel caso della Francia, ben 4 miliardi di euro) che e' prevista dai trattati europei ma non e' mai stata applicata.
Tuttavia, per ottenere che gli obbiettivi di bilancio vengano rinviati al 2017 o al 2018, il governo francese deve pagare un prezzo, sempre che in Francia non scoppi la rivolta popolare: portare avanti le "riforme" ovvero le imposizioni dei corrotti oligarchi di Bruxelles sotto "la supervisione della Commissione". Questo, le canaglie di Bruxelles intendono fare alla Francia.
Il secondo atto andra' in scena mercoledi' 28 novembre a Strasburgo, quando Jean-Claude Juncker sollevera' il velo sul suo piano di 300 miliardi di investimenti europei per rilanciare la crescita, anche qui: sempre che la mozione delle opposizioni che chiedono la dimissioni del Re degli evasori fiscali non abbia successo. E in ogni caso, già la discussione che avrà luogo in Parlamento a Strasburgo aumenterà il discredito di questo inconcepibile personaggio invischiato in affari sporchi e patti segreti con multinazionali mondiali d'ogni genere.
In ogni caso, al riguardo di questi fantomatici 300 miliardi, un principio sembra acquisito: la manna sara' distribuita in funzione "dell'entusiasmo riformatore" mostrato da ciascuna delle 28 capitali.
La lista delle riforme imposta a Parigi comprende: riduzione del costo del lavoro (taglio delgi stipendi); ammorbidimento della rigidita' del mercato del lavoro (libertà di licienziamento indiscriminato); riduzione delle spese per la sicurezza sociale ed in particolare per la sanita' (taglio di ospedali, assitenza malati), compresa la spesa farmaceutica (taglio delle medicine per i malati poveri); misure supplementari per riportare il pareggio entro il 2020 il sistema pensionistico (taglio delle pensioni); accorpamento delle amministrazioni locali (centralizzazione del potere); soppressione delle restrizioni all'accesso alle professioni regolamentate (eliminazione dei controlli di qualità sulle profesisoni) ed all'apertura di nuovi esercizi commerciali (ipermercati per tutti e ovunque); facilitare la concorrenza nel settore della distribuzione del gas e dell'elettricita' (privatizzazioni dei serivzi primari con aumento dei costi per i cittadini).
In pratica, una macelleria sociale, economica, politica e perfino istituzionale degna di un colpo di stato o di una occupazione manu militari come quella fatta dalle truppe naziste durante la seconda guerra mondiale.
A Bruxelles devono essersi scordati della Rivoluzione Francese.
max parisi
il Pd ci sta affamando in questo modo l'Italia non uscirà mai dalla crisi
La crisi del debito privato in Italia. Vediamo perché i consumi non ripartono
Pochi pongono l'accento all'aumento del debito privato, che sarebbe la vera causa della mancata ripartenza dei consumi. Il reddito delle famiglie, in termini reali, si è portato, infatti, ai livelli di 20 anni fa.
In queste settimane, si fa un gran parlare sul perché il bonus Irpef degli 80 euro del governo Renzi, ormai nelle buste paga da 5-6 mesi, non abbia ancora determinato una ripartenza dei consumi delle famiglie, i quali al contrario mostrano una persistente contrazione. Certo, si potrebbe controbattere che il calo sarebbe stato ancora più marcato senza gli 80 euro, ma non era evidentemente questo lo scopo del premier, che mirava a sostenere la spesa privata, non semplicemente ad attenuarne la caduta.
Mettendo insieme un pò di dati, potremmo riuscire a comprendere quanto stia accadendo in Italia. Partiamo da quello forse più drammatico, la disoccupazione. La percentuale di coloro che cercano un’occupazione e non la trovano è del 12,6%, ai massimi di sempre. E oltre il 40% dei giovani della fascia compresa tra i 15 e i 24 anni non riesce a trovare lavoro. E dovremmo tenere conto dei famosi “Neet” (“Not in education, employment and training”), ossia di circa 2 milioni di giovani, che non studiano e non lavorano.
APPROFONDISCI - Allarme Moody’s: l’Italia rischia la recessione anche nel 2015. La disoccupazione salirà
In Italia, lavora mediamente il 55% della popolazione in età lavorativa (15-64 anni), circa il 15% in meno della Germania e il 10% in meno della media europea. Ne consegue che non solo abbiamo una percentuale altissima di disoccupati, ma anche quelli che lavorano sono pochi. In sostanza, esiste una fascia ampia di italiani, che nemmeno cerca un’occupazione (vedi al Sud, le donne, etc.), perché sa di non poterla trovare.
E con prospettive così cupe sul fronte del mercato del lavoro, difficilmente le famiglie spendono un bonus, per quanto strutturale, preferendo risparmiare gli 80 euro per le avversità. Inoltre, l’abbattimento dell’Irpef a livello nazionale, tramite il bonus, è stato spesso compensato o più che compensato dall’aumento della pressione fiscale locale (Regioni e Comuni), per cui le famiglie hanno risparmiato da un lato per pagare dall’altro.
La crisi del debito privato
Se fino a qui sembrano ragionamenti sin troppo noti, esiste un problema, che non si affronta convintamente nel nostro paese, quello del debito privato. Concentrati a ragionare su come sostenere il debito pubblico, abbiamo forse dimenticato che alla fine del 2012, le famiglie e le imprese risultavano indebitate per 1.900 miliardi, il 126% del pil. Una percentuale relativamente bassa, che ci pone tra le economie più solide del pianeta. E, tuttavia, è cresciuta del 52% del pil dal 1999. Anche in questo caso, nulla di drammatico, siamo nella media europea. Solo la Germania ha registrato nel frattempo una sua riduzione (-20% del pil).APPROFONDISCI - Fermare il debito privato, la vera causa della crisi per l’Economist
Ma la differenza con gli altri paesi sta tutta in un altro dato: il reddito reale disponibile delle famiglie – quello che resta loro, tolte le imposte e i contributi previdenziali e tenuto conto dell’inflazione – fatto 100 nel 2001, salito fino all’apice di 106 nel 2007, oggi è crollato a meno di 70, lo stesso livello del 1995.
Ma se abbiamo lo stesso reddito reale disponibile di 19 anni fa, il debito privato è quasi il doppio di quello di allora, essendo passato dal 66% al 126% del pil. Dunque, a parità di reddito, le famiglie e le imprese sono più indebitate e ciò ci porta a ipotizzare che: o si comprimono i consumi e gli investimenti per pagare i debiti o non si pagano i debiti per potere continuare a consumare e investire.
Questa seconda scelta farebbe esplodere, però, il mercato del credito, che è in parte quello che sta avvenendo in questi anni, quando le sofferenze bancarie si sono portate ai massimi di sempre e i crediti deteriorati sono schizzati ormai a 333 miliardi, l’80% del capitale bancario e delle riserve.
APPROFONDISCI - Bankitalia: credit crunch continua a marzo, sofferenze bancarie a 164 mld
Per concludere, le famiglie non consumano, perché il loro reddito è fermo a quello di 20 anni fa, mentre nel frattempo sono raddoppiati i loro debiti. Il secondo fenomeno è comune a tutte le economie avanzate e, anzi, in Italia è persino meno accentuato, ma all’estero si cresce, mentre la perdurante stagnazione della nostra economia crea un problema di sostenibilità non solo del debito pubblico, ma anche di quello privato. D’altronde, i dati sul pil ci dicono che la nostra ricchezza, in termini reali, è tornata ai livelli del 2000, unico caso in Europa. Lo stesso hanno fatto i consumi.
APPROFONDISCI - L’Italia peggio della Grecia dal 2000 ad oggi. Siamo gli unici in Europa ad esserci impoveriti
http://www.investireoggi.it/economia/la-crisi-del-debito-privato-in-italia-vediamo-perche-i-consumi-non-ripartono/
oggi chi si pone contro la dittatura dell'Euro è trattato come un delinquente. Terrorismo di stato
Cronaca - Il movimento interviene sulla vicenda di Magliano Romano spiegando che si tratterebbe di una sorta di complotto e di "un polverone creato ad arte", visto il consenso dell'alleato leghista - Espressa solidarietà ai "ragazzi arrestati"
CasaPound attacca media, forze dell’ordine e magistratura
Addirittura in una provincia diversa da quella dove sono avvenuti i fatti. Berretti di lana che nei verbali di una perquisizione si trasformano magicamente in passamontagna, una marca di giubbotto usata come prova.
CasaPound Italia (Cpi), commentando i fatti di Magliano Romano, esprime solidarietà ai ragazzi arrestati e ricorda che fino al terzo grado di giustizia la presunzione di innocenza è garantita a tutti, perfino a chi osa fare politica dentro Cpi.
E’ una storia già nota, la conosciamo bene. Quando il nostro movimento fa paura, alle urne e per il consenso nelle piazze, scatta immediata la caccia all”uomo nero’, si scatenano i cani rabbiosi dei media, partono le operazioni di polizia. C’è chi prova a metterci in mezzo agli scontri di Tor Sapienza e chi alle risse da stadio di terza categoria.
Per quanto ci riguarda, si tratta dell’ennesimo caso di polveroni creati ad arte, il tentativo di ferire, colpendo CasaPound, una Lega in vertiginosa crescita di consensi e che, guarda caso, spaventa soprattutto l’Ncd di Alfano.
il governo Pd sarà mai capace di tassare i fondi avvoltoi? No
Islanda, pronta la maxi tassa per gli hedge
Energia pulita, eolico offshore
Manutenzione “gonfiabile” per le turbine eoliche offshore
- Debutta in Gran Bretagna Blade Habitat, la cabina gonfiabile da allacciare alle lame dell’aerogeneratore per facilitare la manutenzione eolica
una sinistra che non pone una Alternativa al Capitalismo è un falso ideologico
Il leader? Ecco dove non è
Il fatto è che nemmeno nel Pd tutti sono d’accordo e, come ci racconta Tiziana Barillà, si è ricominciato a ragionare attorno a qualcosa di sinistra. Un qualcosa che, a giudicare dai suoi atteggiamenti tutt’altro che inclusivi, non pare preoccupare più di tanto Matteo Renzi. Il quale è convinto che verrebbe fuori l’ennesimo partitino “a vocazione minoritaria”.
Le forze potenzialmente vincenti in Grecia, Spagna e Slovenia hanno dei tratti comuni: sono nate di recente, derivano da movimenti di protesta e sono guidate da forti figure di giovani leader. Questa constatazione – che alimenta l’idea di una sinistra vincente anche senza il centro – è all’origine del quesito che domina tutte le discussioni sul futuro della sinistra italiana: il leader dov’è? Perché la necessità di un leader (magari di un leader capace di tracciare il solco per poi farsi da parte: il leader dei sogni, diciamo) è data per scontata anche da chi non la condivide perché ritiene che il leader non sia, in quanto tale, di sinistra.
E infatti, periodicamente, spunta un nome. L’ultimo della serie è Maurizio Landini che, essendo un grande sindacalista e anche un uomo accorto, ha già detto mille volte di non volerne sentire parlare. In attesa dell’arrivo del messia, è possibile avviare un lavoro preparatorio. Che sarà utile sia nel caso in cui la mitica forza di sinistra nasca, sia nel caso in cui diventi una componente del mitico Pd inclusivo. Si tratta, semplicemente, di rubare al Renzi della prima ora l’idea vincente della rottamazione. E individuare i luoghi dove il leader non va assolutamente cercato, a meno di non decidere che la condanna minoritaria è a vita.
Ecco, facendo tesoro dei punti comuni della sinistra europea vincente, si arriva all’esclusione immediata: 1) dei partiti della sinistra radicale esistenti, disciolti e morenti, 2) della componente ex Ds del Pd, 3) di tutti i fondatori e ideatori di Rivoluzione civile. È solo una prima bozza. Si accettano integrazioni.
http://www.left.it/2014/11/21/il-leader-ecco-dove-non-e/
venerdì 21 novembre 2014
la Cassazione decide che la norma estingue il danno ambientale pur di difendere i ricchi
Eternit, licenza d’uccidere

La querelle assurda e grottesca sulla prescrizione di un omicidio di massa, mette sotto i riflettori tutta l’esiguità politica di ciò che viene chiamato a torto giustizialismo, ma che consiste nell’illusione di poter risolvere i problemi del Paese, quelli dell’eguaglianza e del lavoro, attraverso una corretta applicazione della legge, come se quest’ultima fosse scritta nella pietra del monte Sinai da un qualche essere superiore e non fosse invece un prodotto della politica, degli assetti di potere, delle classi dominanti e dello spirito del tempo, ovvero l’espressione dell’egemonia culturale di queste ultime. E così attraverso le leggi scritte o la loro interpretazione o ancora attraverso la pratica giurisdizionale ( per esempio la decisione di esaminare caso per caso al fine di allungare i tempi) si arriva alla conclusione che fattispecie simili, non solo dal punto di vista etico e morale, ma anche normativo, ricevono costantemente trattamenti diversi. L’omicidio singolo infatti non può essere prescritto, ma quello collettivo a fini di profitto viene evidentemente considerato come peccato veniale, come un danno collaterale inevitabile nel luminoso percorso del capitale.
La cosa in questo caso è evidentissima : l’amianto è una delle poche sostanze la cui nocività e cancerogenicità è stata studiata e provata da molto tempo. Già nel 1906 (il brevetto dell’Eternit risale al 1901) si cominciarono ad esprimere le prime perplessità, poi nel 1930 studi medici ebbero l’effetto di limitarne l’uso in Gran Bretagna, mentre nel 1943 in Germania fu ufficialmente riconosciuto come causa di cancro al polmone e mesotelioma e venne previsto un risarcimento per queste malattie. Dunque il lato oscuro dell’amianto era ben conosciuto da chi produceva ogni tipo di manufatto edilizio con questo materiale senza prendere alcuna precauzione e più concretamente ci si può chiedere come mai l’asbesto sia stato proibito in Italia solo nel 1994, grazie a un uso strumentale e aberrante della concezione di “prova” scientifica Non ci vuole molto a capirlo: addirittura la proibizione del suo utilizzo nella Ue è ancora più tardo e risale al 1999 peraltro con alcune deroghe fino al 2008 . Ma nel 2007 la Direzione generale Imprese della commissione europea si è battuta perché la proroga fosse estesa e ora, grazie alla pressioni delle lobby si parla del 2023. Così abbiamo da una parte il riconoscimento ufficiale del pericolo costituito dall’ amianto, ma lo si continua a produrre, anche se non più per l’edilizia, nonostante la stima di migliaia di morti all’anno causate dall’uso assurdo e generalizzato che si è fatto di questo materiale. E’ uno di quei casi in cui la malattia e la morte coincidono con la legalità perché non sono le persone che contano e tanto meno la sicurezza del lavoro, ma il profitto.
L’insieme giurisdizionale esprime questa realtà, che del resto con il Trattato transatlantico verrà estesa oltre i limiti costituzionali. Solo gli ingenui possono meravigliarsi che i fatti non sussistano o siano troppo stagionati o non si riesca ad individuare un responsabile: tutelare il lavoro e la vita è roba da gufi, da rottamati, una cosa del passato. Come la giustizia.
https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2014/11/20/eternit-licenza-duccidere/
la burocrazia e' generata da questa politica
L’ATTUAZIONE NON ARRIVA MAI
Troppe leggi che restano solo annunci
di Sabino Cassese
I ritardi nell’attuazione delle leggi sono divenuti un male endemico. Solo un terzo di esse è messa in atto in un anno. Le altre aspettano. Un anno e mezzo dopo la fine del governo Monti, solo due terzi delle leggi da esso promosse sono state seguite dai relativi decreti delegati e regolamenti.
Così gli atti del Parlamento diventano promesse. L’attuazione differita produce disillusione e sfiducia. La distanza tra «Paese reale» e «Paese legale» aumenta. Quando i governi hanno durata breve, come quelli Monti e Letta, il divario temporale fa danni ancor maggiori, perché non sempre le priorità del governo successivo, su cui ricadono le maggiori responsabilità attuative, corrispondono a quelle del governo precedente.
Inoltre, l’attuazione per via normativa è solo una parte delle procedure esecutive. Ogni legge è seguita da grappoli di norme (decreti delegati e regolamenti). Ma, poi, servono altre decisioni: destinazione di risorse, organizzazione di uffici e di personale, redazione e approvazione di circolari e di provvedimenti amministrativi, spesso da adottare di concerto e sentite più autorità. La gestione di tutta questa macchina è nelle mani della burocrazia, talora lenta, talaltra mossa da altre motivazioni, diverse da quelle del legislatore e della classe politica. È solo alla fine di questa trafila che una prescrizione legislativa, spesso reinterpretata dalla burocrazia, giunge al cittadino. E questo ha ragione di lamentarsi se deve aspettare anni. L e cause di questo scarto tra ciò che si scrive nella Gazzetta Ufficiale e la realtà sono chiarissime e non si capisce perché non vi si ponga rimedio.
La prima è l’ipertrofia legislativa. Più di un quarto delle norme inserite in leggi potrebbero essere approvate con altri atti, meno solenni e più spediti. Più leggi si fanno, più se ne dovranno fare, con una crescita esponenziale, perché per modificare una legge occorre un altro atto dello stesso legislatore.
Poi, le leggi sono anche un modo per comunicare politiche pubbliche. Anzi, in Italia, per una distorsione legalistica pericolosa, sono diventate il modo prevalente. E i governi danno la precedenza all’annuncio piuttosto che alla realizzazione, all’iniziativa piuttosto che all’attuazione.
Infine, i governi non sanno organizzarsi, non dispongono di una «cabina di regia» e di un «giornale di bordo», necessari per seguire costantemente le complesse procedure che fanno diventare realtà una legge.
Dunque, i rimedi ci sono. Non ci sono, invece, la cultura e l’attenzione per il risultato. L’Italia resta ferma alle cerimonie della «posa della prima pietra», mentre sarebbe utile che le cerimonie si facessero quando l’edificio è terminato e i cittadini possono entrarvi.
21 novembre 2014 | 07:34
http://www.corriere.it/cultura/14_novembre_21/troppe-leggi-che-restano-solo-annunci-f3a25b44-7145-11e4-b9c7-dbbe3ea603eb.shtml
Dopo anni stiamo scalfendo il monolite della fede nell'Euro
"Matteo Renzi sta studiando l’uscita dall’euro”, Mario Giordano su Libero
Nell’occasione ha incontrato alcuni di quelli che lui definisce «consiglieri economici del governo Renzi» che gli hanno comunicato ciò che starebbe bollendo nella pentola di Palazzo Chigi. È lo stesso Sapir a raccontarlo sul suo blog: «I consiglieri economici di Renzi», scrive, «sono molto pessimisti sull’avvenire del Paese. Stimano che, se non ci sarà quest’inverno un forte cambiamento della politica economica tedesca, l’Italia non avrà altra possibilità che uscire dall’euro verso l’estate 2015». Non sappiamo chi siano i consiglieri economici (gufi?) che ha incontrato Sapir. E immaginiamo che da Palazzo Chigi si affretteranno a smentire rapidamente, perché l’uscita dall’euro magari la si prepara, ma di sicuro non la si annuncia con dieci mesi d’anticipo. Resta però il fatto che l’economista francese è un docente autorevole, riconosciuto a livello internazionale. Nel suo articolo intitolato «Se l’Italia esce dall’euro…», si preoccupa di analizzare le possibili conseguenze per gli altri Paesi di questa eventualità. Che evidentemente, dopo i colloqui con gli esponenti del Pd, ha avuto modo di considerare qualcosa più di un’eventualità.Renzi sta pensando di far uscire l’Italia dall’euronell’estate 2015? È evidente che si tratterebbe di una notizia clamorosa, destinata a cambiare radicalmente il futuro del nostro Paese e dell’intera Unione. A lanciarla è una fonte attendibile,l’economista francese Jacques Sapir, uno dei grandi sostenitori del no euro, che a inizio mese ha partecipato a un seminario in Italia organizzato dal Pd.
Che qualcosa si stia muovendo nel Pd sul fronte della moneta unica, del resto, è evidente. Se fino a qualche tempo fa, il partitone difendeva in modo compatto l’euro e ogni voce contraria era considerata come frutto di colpo di sole o improvvisa follia, ora si moltiplicano i segnali di apertura ai no euro. È nota la presa di posizione contro la moneta unica di Stefano Fassina, che ha fatto molto discutere nei giorni scorsi, così come ha fatto discutere la sua partecipazione e quella di Gianni Cuperlo al convegno organizzato l’8-9 novembre a Montesilvano (Pescara) dal grande guru dei no euro, il professor Alberto Bagnai. Ed è stato lo stesso Bagnai, in quell’occasione, a raccontare di essere stato invitato a seminari e incontri, rigorosamente riservati, con esponenti della sinistra di governo. Tutti della minoranza Pd? O c’è anche qualche renziano doc che comincia a studiare la pratica? Non sarebbe una novità (…)
giovedì 20 novembre 2014
TTIP ulteriore impoverimento dei popoli europei
TTIP: la storia si ripete
di Alberto Bagnai
Da ognuno c'è qualcosa da imparare, ma rimane il fatto ineludibile che questa è una crisi economica, cioè quella cosa che si verifica quando per motivi che abbiamo illustrato tante volte la gente si trova senza soldi in tasca. Va anche ricordato che, come i marZiani dovrebbero sapere e come una lettura anche superficiale dei fatti dimostra (soprattutto in Italia), le dinamiche economiche reggono quelle politiche, che a valle reggono quelle giuridiche, ed è questo simpatico trenino, guidato dalla locomotiva "Economia", che ci porta a spasso per le interminate praterie della SStoria.
Deriva da questo semplice (ma ineludibile) fatto il vantaggio comparato di questo blog. So che dispiace a molti, ma per fortuna piace a voi, e tanto mi basta.
Oggi voglio parlarvi, da economista, e più precisamente da economista applicato, del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Parlare di un trattato commerciale in chiave economica è, lo premetto, una lettura riduttiva, e lo sappiamo benissimo. Quello che inquieta del TTIP sono alcuni aspetti giuridici, in particolare giurisdizionali, come la possibilità, che abbiamo sentito evocare più volte, per le imprese multinazionali di chiamare in giudizio gli Stati sovrani (?) che non si attengano alle prescrizioni di liberalizzazione del mercato che il trattato promuove (e che si riferiscono, badate bene, non alle barriere tariffarie - cioè ai dazi - ormai in via di definitivo smantellamento nel quadro dell'OMC, ma a quelle non tariffarie, cioè alle normative ambientali, igieniche, di sicurezza alimentare e fisica, ecc.). Insomma, la famosa fiorentina all'ormone della quale sentite ogni tanto parlare sui giornali. Rimarrà deluso Emilio Pica, che in un afflato socratico ci ha confessato di amare le donne androgine: nel meraviglioso mondo del TTIP tutti avranno una sesta di reggiseno, anche i maschietti.
(ah, Emilio, però quella me piace pure a me, sia chiaro: homo sum, nihil humani mihi alienum puto. E la Nappi la apprezzo più come filosofa...).
Questo, naturalmente, per quanto riguarda la parte "trade". Poi c'è quella investment, che lasceremo da parte.
Parlare di un trattato commerciale in chiave economica è quindi riduttivo, ma, come vedrete, indispensabile per cogliere pienamente il carattere truffaldino e antidemocratico dell'operazione in corso, un'operazione che, come solo un economista può aiutarvi a cogliere pienamente, è del tutto isomorfa a quella compiuta col Trattato di Maastricht. Vengono cioè vendute agli elettori come conquiste assodate risultati di studi metodologicamente dubbi, palesemente in conflitto di interessi, i cui risultati vengono proposti orchestrando un falso pluralismo, e dietro ai quali ci sono, ovviamente, i soliti noti.
Il prequel
Come andò con il Trattato di Maastricht lo sapete e comunque ve lo ricordo in l'Italia può farcela. Michael Emerson, Jean Pisani-Ferry e Daniel Gros, prezzolati dall'Unione Europea (perdonatemi: "pagati" non è il verbo giusto, anche perché sono morte delle persone, chiaro?), nel loro studio One market, one money, affermarono che “a major effect of EMU is that balance of payments constraints will disappear in the way they are experienced in international relations. Private markets will finance all viable borrowers, and saving and investment balances will no longer be constrained at the national level” (Emerson et al., 1990, p. 24)[i]. Notate la raffinatezza della loro linea di attacco. Studiosi come Kaldor avevano da tempo ammonito che una moneta senza stato avrebbe disintegrato politicamente l'Europa, in particolare perché avrebbe creato squilibri che sarebbe stato necessario rifinanziare attraverso un budget federale. E allora i tre porcellini che si inventano? L'uovo di Colombo: loro sostenevano che non ci sarebbe mai stato bisogno, per il Nord, di rifinanziare il debito del Sud mediante trasferimenti, perché i mercati finanziari avrebbero prestato solo a chi fosse stato in grado di generare sufficiente reddito da ripagare i debiti (i “viable borrowers”, appunto). Ritenevano, cioè, i nostri amici, che non sarebbe stato necessario costituire uno Stato europeo, almeno nell’immediato, perché il mercato, che non può sbagliare, avrebbe pensato da sé a trasferire ove necessario i fondi, all’interno della nuova area finanziariamente integrata, senza bisogno di costruire un bilancio federale, e anzi affidando ai bilanci pubblici nazionali il compito di “respond to national and regional shocks through the mechanisms of social security and other policies” (ibidem)[ii]. Non ci sarebbe quindi mai stata una crisi di debito estero all'interno dell'Unione Monetaria (tesi che alcuni economisti ancora oggi sostengono - vedi Boldrin - ma che è sconfessata dai fatti e dall'interpretazione della stessa Bce).
Infatti, che le cose non siano andate come Pisani-Ferry sosteneva (e Boldrin sostiene), ce lo ha spiegato Constâncio(2013) (ma anche De Grauwe 1998); prima che i tre porcellini si esprimessero, come sarebbero andate le cosa lo avevano chiarito Thirlwall 1991, e subito dopo Feldstein 1992, e decenni prima Kaldor 1971 e Meade 1957. Se siamo nei guai è proprio per colpa degli errori dei mercati finanziari privati, che hanno accumulato insostenibili debiti esteri all’interno dell’Eurozona. Quindi i tre porcellini mentivano sapendo di mentire, perché erano pagati per mentire.
Il percorso è sempre quello: da Pangloss ("tutto va per il meglio nel migliore dei mercati possibili") a Eichmann ("non sapevo, eseguivo gli ordini"), con biglietto di andata e ritorno, perché in mancanza dei drastici rimedi adottati dal governo israeliano nel caso in specie gli illustri colleghi rimangono disponibili ad appoggiare il progetto successivo. Ma le "incognite" delle quali parla Pisani-Ferry tutto erano fuorché "incognite": i rischi dell'Unione Monetaria erano stati denunciati dalla letteratura accademica e divulgati sulle più importanti testate finanziarie internazionali. Quindi "io non sapevo" meriterebbe il trattamento che ha avuto in altri tribunali, ma passons. Noi siamo per la non violenza, cioè per subire la violenza, non per esercitarla, perché gli altri, come vedete, tanti scrupoli purtroppo non se li fanno.
Il sequel
E oggi? Come vanno oggi le cose, con il TTIP? Nello stesso identico modo. Ci vengono proposte come verità oggettive i risultati di studi basati su una cieca fede nella capacità autoequilibrante del mercato, studi dei quali fin da ora è possibile sconfessare gli errori metodologici, ma, attenzione: gli studi vengono a valle di decisioni politiche già prese (come fu per One market, one money)...
Ci aiuta a orientarci un recente studio di Jeronim Capaldo, The Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership: European Disintegration, Unemployment and Instability.
Non lasciatevi fuorviare dal nome: nonostante la collocazione negli States, il Jeronim cui facciamo riferimento non è questo, è questo. Jere è romano de Roma, ma la sua mamma no, da cui la scelta un po' esotica del nome di battesimo. Io ho studiato Ragioneria I con suo zio, sono stato in commissione ricerca alla Sapienza con sua madre, e molti di noi sono stati, credo, clienti della sua famiglia (com'è piccolo il mondo...). Lui, a sua volta, è stato mio "cliente" quando ero ricercatore in econometria alla Sapienza, nel lontano anno accademico 2001-2002, quando discusse una tesina sulla curva di Phillips (pensa un po' te...). Ora è finito qui, da dove è stato mandato qui a lavorare sul Global Policy Model. Mi illudo di essergli stato un po' utile (o per lo meno lui la pensa così), e sono contento che ci sia un economista eterodosso infiltrato a Ginevra. Sì, perché Jere è relativamente "de sinistra". Certo, questo lo ha portato a commettere un errore cruciale: ha diffuso in Italia i risultati del suo pregevole studio tramite un forum che nessuno legge (rank in Italy: 27804, secondo Alexa oggi), perché, come sapete, ha tradito. Lo Sbilifesto merita di essere consegnato all'oblio (e li esorto a considerare che, per quello che hanno fatto - soffocare scientemente il dibattito sulla moneta unica, quel dibattito che sono riuscito a portare dove sapete - l'oblio è molto meglio dell'alternativa), però lo studio di Jere no, e visto che uno di voi me l'ha segnalato, ne faccio una simpatica sintesi per i diversamente europei e diversamente economisti. Gli faremo così risalire più di 24000 posizioni in termini di visibilità: mi aspetto una cassetta di vino per questo, va da sé...
Dunque: il copione è sempre il solito. Esattamente come in One market, one money:
Vantaggi irrisori
Cominciamo dal primo punto. Come ricorderete, One market, one money quantificava il riparmio di costi di transazione (commissioni su cambi) determinato dall'Unione monetaria in uno 0.4% del Pil, che si sarebbe evidentemente verificato una tantum. Voglio cioè dire che in un singolo anno l'abolizione di questi costi avrebbe fatto crescere il Pil dello 0.4% in più. Ma una volta aboliti i costi, i costi non ci sarebbero più stati (per definizione), e quindi già dall'anno successivo non si sarebbero avuti ulteriori effetti. Ve lo spiego in un altro modo: nell'anno dell'introduzione della moneta unica avremmo avuto 0.4 punti percentuali di crescita in più, negli anni successivi no. Chiaro?
Ovviamente Eichengreen ci si fece una bella risata sopra: "Ma come vi viene in mente di affrontare un progetto così incerto a fronte di un beneficio così irrisorio?". Ma sse sa, signora mia, la ggente so tanto tanto 'nvidiosi, gli americani c'hanno paura che je rubbamo er monopolio de 'a moneta...
(discorsi da comare che oggi si sentono solo in certi seminari...)
Oggi non va tanto meglio. Lo studio leader per la valutazione dei benefici economici del TTIP è quello del CEPR (e come ti sbagli): Reducing Transatlantic Barriers for Trade and Investment. Come nota Jere, le conclusioni di questo studio sono presentate dalla Commissione come fatti, e allora, da bravi europei, facciamo così anche noi. La Table 2 dello studio di Jere riporta una valutazione comparativa dell'impatto sul Pil europeo nel 2027 (fra 13 anni). Il CEPR (che verosimilmente è quello che ha preso più soldi dalla Commissione) è il più ottimista. In caso di realizzazione di una "full FTA" (Free Trade Area, zona di libero scambio, con pieno abbattimento delle barriere interne, ma mantenimento di barriere tariffarie differenziate verso i paesi terzi - cioè gli Usa potrebbero adottare verso la Cina dazi diversi dall'Europa, in pratica), bene, in questo caso estremamente favorevole, il beneficio sarebbe immenso: lo 0.48% in più del Pil spalmato su 13 anni (cioè un aumento del tasso di crescita medio europeo dello 0.03% l'anno circa)!
Dice: ma che mme stai a pijà per culo? No, no, sto leggendo la Table 16 a p. 46 dello studio del CEPR. Quindi, pensate, se adottassimo il TTIP subito, con un colpo di bacchetta magica, l'anno prossimo la crescita europea sarebbe non del previsto 1.35%, ma, udite udite, dell'1.38%.
Sono i dettagli a fare la delizia dell'intenditore, e questi dettagli potete leggerli solo qui!
Ora, per carità, io capisco di non poter impedire alla maggior parte di voi di adottare toni barricaderi e piazzaleloretisti (plateale il caso di Alberto49, che comincia a farmeli girare: ma non glielo spiego perché ho capito che non può capirlo). Quindi ragliare "multinazzzzionali bbbbrutte, lobby cattive, attentato alla costituzzzzione", per poi andare all'osteria a farsi un quartino di bianco, è, come dire, la soluzione naturale che si presenta a molti di voi, e, fra l'altro, è un approccio giustificatissimo: dietro questo autentico attentato alla nostra costituzione c'è in effetti il potere di lobbing delle multinazionali, che di fatto agiscono nel loro, certo non nel nostro interesse.
Ma che sorpresa, eh?
A me però, invece di questo segreto di Pulcinella (che strano! I ricchi e potenti comandano nel loro interesse e comprano i politici per farsi i fatti propri! Chi lo avrebbe mai detto?) sembra molto più sorprendente, divertente e dirompente andare a leggere sui documenti ufficiali in base a quali pretesi vantaggi questo attentato ai nostri diritti viene perpetrato. Ci stanno vendendo per una cosa che dal punto di vista statistico è del tutto insignificante. A questo punto chi vuole piazzaleloreteggiare alzerà i toni, sbraiterà, si raccoglierà sotto la bandiera della rivolta, cederà al demone del qualcosismo ("dobbiamo fare qualcosa"), malattia senile del qualunquismo.
Chi invece vuole vincere una battaglia di democrazia andrà avanti con la lettura e mi aiuterà a portare questo dibattito nelle sedi opportune (cosa che, occorre saperlo, non è gratis).
Sintesi: per la seconda volta ci stanno proponendo un progetto che comporta rischi notevoli promettendo un beneficio che perfino ricercatori in conflitto di interessi e distorti in favore del progetto (perché pagati da chi lo propugna) quantificano come irrisorio.
I potenziali svantaggi non vengono quantificati
Veniamo al secondo punto (che poi è connesso al terzo): i potenziali svantaggi non vengono quantificati (punto 2) anche e soprattutto perché l'impianto analitico utilizzato per verificare i vantaggi nega che esistano gli svantaggi, e lo fa sempre per il solito motivo: perché si basa su una cieca fiducia nel mercato (punto 3).
Del caso di One market, one money abbiamo già parlato: l'idea era che non ci sarebbero state crisi finanziarie perché i mercati finanziari non avrebbero potuto sbagliare.
Nel caso delle valutazioni del TTIP, la fiducia nel mercato si traduce nel fatto che il modello analitico utilizzato per valutare il progetto è un cosiddetto modello CGE (Computable General Equilibrium). Due fra i quattro studi che Jere analizza utilizzano proprio lo stesso modello CGE, il GTAP. Il punto è che questi modelli sono basati sul paradigma neoclassico, per cui l'offerta crea la propria domanda, ovvero, in altri termini:
Ad esempio: se in Italia la siderurgica non è competitiva, ma l'agroalimentare sì, le acciaierie chiudono e gli operai vanno a lavorare la terra. Facile, no? Ma non ditelo agli operai dell'AST...
Ci sono però alcuni problemini evidenziati da Jere:
Lo studio del CEPR è commovente: andate a pagina 71:
E va be'...
Qui i problemi sono due. Il primo ve l'ho detto: di posti di lavoro si preferisce non parlarne, et pour cause. Il meccanismo del modello, per i tre punti sopra esposti, può considerare solo effetti riallocativi, sotto l'ipotesi estremamente eroica che la riconversione di un operaio siderurgico in un dentista, o quella di un parrucchiere in un progettista aerospaziale sia istantanea e senza costi. L'altro aspetto è che la stima dei potenziali benefici in termini di salari (l'idea che i salari crescerebbero) è basata sull'ipotesi che la distribuzione del reddito rimanga costante. Come nota Jere, il CEPR prevede che nel 2027 la famiglia europea media guadagni 545 euro in più all'anno (45 euro in più al mese!) grazie al TTIP, ma questo, ovviamente, se la distribuzione del reddito rimane invariata, perché se invece la quota salari continua a scendere, il maggior Pil andrà ai profitti, non ai salari, e non tutte le famiglie beneficeranno in ugual misura dei mirabolanti incrementi di cui sopra (lo 0.48%).
La vera chicca
Ma concludiamo con la vera chicca. Gli effetti su Pil e redditi sono irrisori, perché sono irrisori, secondo lo stesso CEPR (cioè secondo la commissione) gli effetti sul commercio! Il commercio bilaterale crescerebbe tantissimissimo (quante volte abbiamo sentito questa storia), ma siccome crescerebbero sia le esportazioni che le importazioni, l'impatto netto non sarebbe così rilevante. Le esportazioni europee extra-UE nel 2027 in presenza di TTIP sarebbero del 5.9% superiori a quanto si avrebbe in assenza di TTIP. Il risultato di questa bella storia è che in effetti il TTIP disintegrerebbe l'Europa, nel senso di ridurre il commercio intra-zona (vedi la Table 24 dello studio CEPR). Insomma: con il TTIP gli europei commercerebbero di meno fra loro, e di più con gli Stati Uniti.
Ora, come ci siamo detti più volte, il beneficio di creare un'Unione economica è quello di avere un grande mercato che permetta di assorbire shock esterni: se gli Stati Uniti vanno per aria, la caduta della loro domanda viene compensata dal fatto che il grande mercato unico europeo in teoria sostiene l'acquisto dei beni europei. In pratica no, perché l'euro condanna a politiche di deflazione competitiva, come vi ho spiegato, ma almeno in teoria...
Con il TTIP questo beneficio teorico verrebbe ulteriormente compromesso: saremmo più legati agli Usa, e quindi più esposti agli shock che da essi provengono, pur essendo ugualmente privi di strumenti di politica fiscale, monetaria e valutaria per reagire ad essi. Come nota Jere, un esito simile non lascia tranquilli.
Io mi limito a ribadire quello che abbiamo più volte osservato: i difensori dell'euro e di questa Europa sono costretti, fatalmente, a stuprare la logica. Tutto quello che fanno contraddice platealmente tutto quello che dicono. Vogliono più Europa, e firmano dietro le nostre spalle un trattato che disintegrerà l'Europa prima commercialmente, e poi macroeconomicamente, esponendoci a qualsiasi errore di gestione dell'economia statunitense (e non è che ultimamente ce ne sian stati pochi...).
Una valutazione indipendente
Ovviamente non è necessario valutare l'impatto di un trattato commerciale con modelli di equilibrio generale. Si possono anche usare modelli basati sulla sintesi neoclassica, in cui si considerano le interazioni fra domanda e offerta (come avviene nel modello di a/simmetrie e nella maggior parte dei modelli utilizzati da banche centrali e enti di ricerca: ce l'ha ricordato il prof. Lippi a Pescara).
Nel suo working paper Jere fa questo lavoro, e lo fa, da bravo europeo, prendendo per buoni i risultati dello studio CEPR, cioè ipotizzando che il volume del commercio si sviluppi, in seguito al TTIP, secondo quanto prevedono gli studi prezzolati finanziati dalla Commissione. Cosa cambia, allora? Cambia il fatto che usando un modello keynesiano:
Lo vedete nella Table 4 dello studio di Jere. Per la maggior parte dei paesi europei il TTIP comporterebbe un peggioramento del saldo delle partite correnti, verosimilmente perché a causa della stagnazione della domanda interna (cioè dei bassi redditi) gli europei si rivolgerebbero sempre di più a beni a basso valore aggiunto, nei quali sono meno competitivi: meno golf di Cucinelli, più magliette di cotone cinesi (importate via Stati Uniti, va da sé). Risultato: un peso ulteriore sulla bilancia dei pagamenti, che per i paesi del Nord sarebbe più grave che per noi - che già siamo stesi. Il tasso di crescita dell'economia d'altra parte diminuirebbe (com'è ovvio, dato il calo della domanda estera netta), e l'Europa sperimenterebbe una perdita di circa 600000 posti di lavoro. Non è una cosa enorme, considerando che la nostra popolazione attiva è di oltre 240 milioni, ma sarebbe meglio farne a meno, soprattutto perché i redditi di chi il lavoro lo conserverebbe diminuirebbero (il modello delle Nazioni Unite prevede in Italia una diminuzione di 661 euro per occupato, anziché un aumento di 545 per famiglia), e con essi la raccolta fiscale, con impatti negativi sulla sostenibilità dei conti pubblici.
Per carità, io sono di parte. Jere mi sta simpatico e l'Europa mi sta sui coglioni, però qui stiamo parlando di analisi condotte con un modello delle Nazioni Unite, e basato su ipotesi lievemente meno ideologiche di quelle adottate dall'oste Commissione Europea per valutare il vino TTIP.
Se a questo aggiungiamo il fatto che la storia che avremmo lavorato un giorno in meno ecc. ce la siamo già sentita dire, ecco che qualche motivo di allarme sorge, e un'analisi economica ci aiuta a motivarlo in termini oggettivi, quindi dialetticamente più efficaci del piazzaleloretismo e del window flagging.
Perché?
E allora chiediamoci perché? Perché i nostri governanti ci stanno consegnando a questo progetto che ha benefici irrisori, costi potenzialmente elevati, ed è contraddittorio con la retorica dell'integrazione europea.
E la risposta è semplice: perché l'Unione Economica e Monetaria, che ci viene venduta come il momento più alto di realizzazione della nostra identità europea, di un nostro comune progetto europeo, in realtà è il momento più infimo del nostro asservimento all'ideologia e agli interessi statunitensi. Ne ho parlato tante volte, non ci ritorno, ma quello che va capito è il senso complessivo dell'operazione, che secondo me è questo: gli Usa hanno bisogno di un mercato di sbocco perché, da potenza declinante, stanno perdendo potere di signoraggio sui mercati internazionali. Gli sviluppi delle relazioni bilaterali fra i BRICS, e in particolare la dedollarizzazione degli scambi fra Cina e Russia, se dovessero generalizzarsi, significherebbero per gli Stati Uniti la fine del periodo dello "stampa (dollari) e compra (ovunque nel mondo)". Il "privilegio esorbitante", come lo chiamava Valery Giscard d'Estaing, verrebbe meno in un mondo nel quale il dollaro non fosse l'unico e solo strumento di regolazione delle transazioni sui mercati internazionali. A questo punto gli Stati Uniti non potrebbero permettersi più di essere in deficit strutturale netto verso l'estero. Puoi essere "acquirente di ultima istanza" se stampi a casa tua la moneta nella quale acquisti. Quando le cose non vanno più esattamente così, ti conviene avere una posizione equilibrata negli scambi con l'estero, altrimenti le cose si mettono male. Il +1% di esportazioni nette che il TTIP potrebbe arrecare agli Stati Uniti andrebbe proprio nel senso di ridurre il loro deficit (a costo di un aumento del nostro). L'Europa diventerebbe la periferia, in una nuova edizione del romanzo di centro e periferia, da voi tanto amato, dove gli Usa, chiedendoci l'Ani, ci inonderebbero della loro liquidità (con la quale il resto del mondo progressivamente avrebbe iniziato a nettarsi le terga), allo scopo di farci acquistare i loro simpatici bistecconi transgenici.
Sappiamo tutti quali siano gli incentivi che le élite periferiche traggono dal vendere i propri subalterni alle élite del centro, quindi di cosa ci stupiamo? Direi di nulla: BAU! Non è un cane: vuol dire business as usual.
E naturalmente qui sento i ragli dei piddini renziani (ormai tocca distinguere): "eh, ma l'euro ci aiuterebbe a difenderci!".
No!
Noooo!
Nooooooooooooo!
Le cose stanno esattamente al contrario, e ancora una volta tutto questo ci è stato detto, e detto in faccia, e detto in sedi autorevoli. L'euro non ci aiuta a difenderci nemmeno un po', e per due motivi ben evidenti. Il primo è che, come ormai sarebbe futile negare, è causa della nostra crisi, e quindi, banalmente, ci costringe ad affrontare in condizioni di debolezza qualsiasi negoziato internazionale. Il secondo è che nell'ottica statunitense l'euro è il primo passo verso la creazione di una moneta unica transatlantica, e questa non è una novità. Mundell ne parla da qualche anno, per capirci. E ora che sappiamo quali benefici ci abbia portato la moneta unica europea, e prima ancora quella italiana, siamo in grado di apprezzare quali e quanti benefici ci apporterebbe quella transatlantica.
Concludendo: nell'affrontare un tema così complesso sono io il primo a segnalarvi che l'ottica economica è necessariamente ristretta. Ma sarete d'accordo con me che aiuta a mettere a fuoco i probemi, no? Ricordatevi questo numero: +0.48% del Pil nel 2014.
Va bene, non siamo Gesù Cristo: ma lui, almeno, fu venduto per trenta denari...
(a proposito: Giuda e Eichmann hanno una cosa in comune, salvo errore...)