La Lega è tornata a casa. Il vento (del nord) fa il suo giro e ritrova un leader politico-carismatico
dopo la lunga malattia di Umberto Bossi, le faide tra colonnelli, le
polemiche sul “cerchio magico”, gli scandali, le epurazioni,
l'interregno sbiadito di Roberto Maroni e il flop alle Elezioni 2013.
Per qualcuno potrebbe sembrare un fatto marginale, specie se il nuovo
segretario dice di volere andare oltre la Lega o addirittura rottamarla (sostengono in molti). Ma non è così, anzi.
Nei giorni in cui Matteo Salvini riporta il Carroccio sulla via Emilia
ai consensi record del triennio 2008-2010 trasformandosi nel grande blob
della politica italiana, capace di scatenare polemiche, speranze,
indignazione e consensi in tv, alla radio, sui social network, fuori dai
campi rom, in piazza e nelle fabbriche, bisogna spingersi fino a
Palazzago, paesino a pochi chilometri da Pontida, la “Betlemme”
leghista, tra artigiani, padroncini e pensionati, per capire davvero
cosa sta diventando questo giovane e scapigliato segretario del
Carroccio. Non solo in Pedemontana e nel nord del paese. Ma in un pezzo
di Italia, nell’opposizione al premier Renzi, nella magmatica
riorganizzazione del centrodestra e nell’incertissimo scenario di
un’eurozona sempre più livida.
Consumare
le suole, come una volta. Certe cose in televisione e sulle bacheche
Facebook non si vedono, tutto viene schiacciato e Salvini finisce per
somigliare a Grillo, Grillo a Renzi e Renzi a Berlusconi.
Un popolo che ritrova il suo leader
Alle
dieci di sera fuori del centro ricreativo di Palazzago qualche bambino
gioca ancora sugli scivoli colorati, marcato distrattamente da genitori
in piumino e scarpe da tennis. Salvini arriva un po’ in ritardo come
faceva sempre Bossi - l’autista è il vecchio Aurelio -, ma quando entra
nel palazzetto scatta una lunga ovazione nonostante tenga sulla corda i
militanti concedendosi una buona mezz’ora di collegamento tv con Enrico
Mentana. Seduto in un angolo, viene circondato da un folto capannello di
curiosi che applaude e saluta ad ogni cosa che dice.
Finita la
diretta con Mentana e dopo una veloce birra al bancone, Salvini sale sul
palco. Scatta foto panoramiche con l’immancabile iPad e comincia a
martellare contro la moneta unica e l’Europa, in piedi, dritto davanti
all’asta del microfono come un cantante di provincia.
“Ringrazio
tutti voi che siete venuti...di venerdì sera...dopo una settimana di
lavoro...Per chi ancora ce l’ha un lavoro (applauso). Teniamocelo
stretto perché l’euro sta impoverendo tutti...Sta facendo chiudere le
nostre fabbriche...è servito per favorire i tedeschi e i paesi del nord
Europa e fregare i produttori, cioè tutti noi, tutti voi....”
“Dicono che siamo in crescita di consensi...”, incalza “il Matteo” (siamo a pochi giorni dal voto emiliano, ndr).
“Bene, ma io non mi accontento...non basta puntare al 10 per
cento...dobbiamo essere maggioranza nel paese...dobbiamo aprire a tutta
la brava gente al centro e al sud perché adesso c'è l'Italia da salvare.
Bisogna superare l'euro. Bisogna fermare l'invasione: viviamo in un
paese razzista al contrario dove vengono spesi i nostri soldi per
tenere gli extracomunitari in albergo tre stelle invece che aiutare gli
italiani in difficoltà...” dice tutto d’un fiato. “Bisogna far
ripartire il lavoro e la produzione ma Renzi non capisce nulla di
economia. Il suo è il modello Marchionne che sposta la Fiat
all’estero... ha scelto le grandi banche...Confindustria. Noi invece
vogliamo ripartire dai piccoli...dagli artigiani...dai
commercianti...dai lavoratori dipendenti che magari devono coprire le
spalle ai fannulloni (altro applauso)...”
Poi l’invito a
mobilitarsi per cancellare la legge Fornero - “abbiamo già raccolto
500mila firme” - e partecipare alla manifestazione del 13 dicembre
quando a Milano arriverà l’economista Alvin Rabushka, l'inventore della
flat tax, l’aliquota fiscale unica.
“Basterà una semplice
paginetta di dichiarazione dei redditi: mi dai il 15% di quel che
guadagni e stop. A quel punto non ci saranno più alibi: ti abbatto le
tasse ma chi non le paga va in galera...”
Gli argomenti che
affronta Salvini sono identici a quelli che gli si sente ripetere tutti i
giorni in televisione dove il “capitano” (Bossi in Lega era per tutti
il “capo”, Salvini è il “capitano”) è bravissimo a distillare i propri
slogan. La differenza è che davanti alla militanza torna continuamente
sui messaggi che ritiene importanti per creare empatia. Cerca il
plebiscito della base come faceva Bossi nella vicina Pontida e i
militanti apprezzano. “Il Matteo” era già in Lega quando Marco
Formentini diventò sindaco di Milano in piena Mani Pulite (1993). Non è
un marziano, molti lo giudicano addirittura in continuità con il
Senatur.
A questo punto non è banale ricordare che Salvini
prima di farsi esplodere a tutte le ore sul piccolo schermo e
attraversare in lungo e in largo l’Italia, lanciando la sua Lega
nazionale, ha rimesso le cose a posto in casa sua.
Prima di
trasformarsi in un efficacissimo telepredicatore, è diventato sempre più
il leader carismatico della Lega. Un partito con le sue liturgie, il
suo blocco sociale, i suoi consensi ancestrali. Ha liquidato l’ex
tesoriere Stefano Stefani, ha “graziato” Francesco Belsito, quello dei
diamanti in Tanzania, ha fatto piazza pulita in radio dove ha messo
amministratori fidati e sta liquidando il giornale la Padania che non
gli serve più.
Chi ha seguito il Carroccio per tanti anni l’altra
sera a Palazzago poteva benissimo chiudere gli occhi e sostituire quel
coro Mat-te-o, Mat-te-o con l’originale Um-ber-to, Um-ber-to dei tempi
d’oro. Sembrava una serata con Bossi e la sua Lega sindacato di
territorio. C’era la tombola con in palio i prodotti di bellezza
svizzeri; la pesca di beneficienza; i carabinieri sulla porta che fanno
due parole con i volontari; i tavoli strapieni apparecchiati con le
tovaglie a scacchi; polenta & cervo sui vassoi; le felpe griffate
Berghem; il cartello scritto a biro davanti alla cassa
“Avvisare la cuoca in cucina se qualcuno è celiaco”
I
manifesti "stop invasione" e “Basta euro” vicini al palco; il
segretario provinciale Daniele Belotti che gira trafelato; le sciure che
quando arriva il “capitano” si sistemano la messa in piega; il
funzionario di polizia impiegato nell’operazione Mare Nostrum che
racconta di come sia finito in quarantena perché a controllare gli
immigrati che sbarcano si rischia di prendere brutte malattie; i sindaci
leghisti della valle che cenano tra i tavoli; il dibattito sulla
caccia; l’applauso
alla Elena Poma, la sindaca più bella della Padania”;
il
banchetto di libri dove si raccolgono le offerte per gli alluvionati di
Genova e l'angolo dei gadget con la sveglia di Salvini, le cornici di
Salvini, le magliette di Salvini, le felpe di Salvini...
Matteo contro Matteo
Appena
fuori dai riti di partito “il Matteo” è però un perfetto figlio dei
tempi. La lunga stagione del Senatur sembra davvero un'altra era
geologica. E’ molto più Renzi di Bossi, che resta un leader del secolo
scorso con il suo stuolo di colonnelli, i ritmi scanditi dal calendario
parlamentare, le alleanze, i comizi, il look da provinciale vestito a
festa, una certa dose di machismo e infallibilità, rare interviste ai
giornali e al massimo una ospitata da Bruno Vespa.
Come Renzi
invece Salvini disintermedia tutto quel che può ed è un uomo solo al
comando. Ha destrutturato il partito, i segretari provinciali non
contano più nulla, lancia mini sondaggi e campagne
via Twitter e
Facebook, ad esempio:
non ha una seconda linea di comando (non esistono i Maroni, i
Calderoli e i Castelli di Salvini) e la fronda interna, che pure monta, è
fatta da quadri intermedi, parlamentari e ex colonnelli che hanno perso
peso, status e visibilità e che “il capitano” scavalca parlando
direttamente alla gente. Al pari del premier cerca di allargare il
consenso incuneandosi tra Grillo e Berlusconi, occupa gli spazi liberi
con spregiudicatezza fregandosene delle vecchie appartenenze.
Vedendolo
a Palazzago si ha come l’impressione che con Salvini si stia ripetendo
lo stesso errore che i media fecero all’inizio con Renzi: misurarlo con
il bilancino ordinario, gli equilibri politici, i rivali, le alleanze,
le mosse di Berlusconi, i diktat di Maroni, la fronda di Flavio Tosi che
gli fa da contraltare interno e vuol correre alle primarie di
coalizione, le velleità di Corrado Passera. E’ un metro sbagliato.
Come l’ex sindaco di Firenze, Salvini fa il leader di un
partito ma parla all’opinione pubblica. Al suo cospetto i concorrenti di
area
sembrano tanti piccoli Bersani. Basta vedere il seguito e l’ingaggio che ha sui social network, come infervora il dibattito,
come detta l’agenda e come si alza lo share quando va in tv (a tutte le ore).
La
vera differenza con Renzi è che il premier sta “forzando” al massimo la
dimensione mainstream del consenso, una sorta di populismo light nel
sistema dato:
(critica Draghi ma non può rompere il dogma
dell’eurozona, critica Angela Merkel ma non può rompere l'ortodossia
del deficit al 3%, critica i burocrati di Bruxelles ma presiede il
Semestre europeo),
mentre il segretario leghista può giocare
senza inibizioni nel campo del populismo cercando di portare dalla sua
gli elettori delusi dalle promesse renziane di far “cambiare verso”
all’Europa dell’austerità.
Per ora i due elettorati sembrano
distinguersi. In Emilia Romagna Salvini ha fatto aspirapolvere di tutto
quel che sta intorno al Partito democratico, rubando voti a Forza Italia
e ai Cinque Stelle, gli avversari del premier. La sfida dei prossimi
mesi sarà capire se l’enorme astensione ad un voto di prossimità come le
Regionali è un segnale di “populismo latente” che andrà presto ad
aggiungersi al “populismo espresso” a vantaggio di Salvini domenica
oppure no.
“Più la crisi morde più i bacini elettorali di
Renzi e Lega potrebbero entrare in concorrenza. Ci potrebbe essere uno
scivolamento...”,
ragiona Roberto Biorcio, politologo all’università di Milano Bicocca,
uno dei più lucidi studiosi dei fenomeni leghista e grillino.
Un
recente studio dell’Atlante politico di Demos sembra far presagire una
qualche ipotesi di vasi comunicanti. Matteo contro Matteo? Partito della
nazione contro partito populista? In palio il voto di disoccupati,
casalinghe, lavoratori dipendenti privati, pensionati e soprattutto
quelle categorie produttive che più patiscono la crisi.
Più che un partito, un’araba fenice
C’è
un’altra cosa che si vede bene da Palazzago. Il polverone mediatico
scatenato dalla (supposta) svolta salviniana, nazionale e fascistoide,
risulta francamente esagerato. Il segretario sta rilanciando in grande
stile alcune battaglie storicamente presenti nell’armamentario leghista.
Te lo racconta davanti ad una salamella e una birra un ex imprenditore
tessile ormai in pensione. Proprio in queste zone, nei primi anni
duemila, con Maroni ministro del welfare, si fecero i primi accordi di
cassa in deroga per artigiani e piccole imprese:
“All’improvviso
il mondo ci era atterrato in casa mandando fuori mercato molte
produzioni locali. La Cina era entrata nella Wto e ci copiava i
prodotti, era scaduto l’accordo multifibre e l’introduzione dell’euro
non permise più di svalutare. Il combinato disposto fu un disastro...”
Inoltre
ci si dimentica che la Lega è stata l’unico partito italiano a votare
contro l’adesione alla moneta unica e, nel 2005, si schierò contro la
ratifica della Costituzione europea. Quante volte Bossi e Calderoli
hanno contrapposto l’Europa dei popoli all’Europa dei banchieri?
Quante volte hanno attaccato “Forcolandia” e l’Europa dei burocrati che
legifera sulla lunghezza del cetriolo? Quante volte hanno criticato
l’accordo di Schengen? Tantissime. E quanti padroncini padani sognano da
anni il ritorno alle svalutazioni competitive della vecchia liretta,
una sorta di eta dell’oro mitologica spazzata via dall’euro brutto e
cattivo? Tantissimi. Insomma niente di nuovo sotto il sole...
Il
Carroccio lavora da sempre da imprenditore politico della crisi. E’ un
sismografo che misura il malessere dei territori più esposti al
mondialismo. Quando vede aprirsi un mercato elettorale prova a
conquistarlo utilizzando di volta in volta gli argomenti retorici più
efficaci che ha nel cassetto.
Era partito a fine anni Ottanta iper liberista, federalista, anti statalista e anti romano per diventare negli anni duemila,
mano a mano che la globalizzazione mostrava la sua faccia scura,
sicuritario e nazionalista a protezione della “roba” dall’invasione
cinese,
dagli extracomunitari e dalla tecno-finanza dei mercati internazionali e
di Bruxelles. Paure, spaesamento e dinamismo produttivo sono facce che
si mischiano da sempre in “Padania”.
Oggi con metà paese su
posizioni anti euro questo spazio elettorale è solo diventato più
grande, ricco e invitante. Il che da un lato “normalizza” la svolta
salviniana, dall’altra la rende concorrenziale nei confronti di Renzi.
Anche
il “vade retro” immigrazione riesploso in occasione delle tante Tor
Sapienza d’Italia, rappresenta una specialità della casa. Il giro di
vite legislativo sull’immigrazione clandestina porta la firma di Bossi e
Fini (luglio 2002). La grossa crescita elettorale del Carroccio nel
triennio 2008-2010 è anche figlia di questa emergenza (vera o percepita
che fosse) nelle provincie produttive del nord e della via Emilia. Non è
un caso che proprio a Bologna si sia registrato l’episodio più
mediatico del voto regionale appena concluso: la provocatoria visita di
Salvini al campo rom di via Erbosa e l’aggressione da parte di centri
sociali e antagonisti. Che assist per il tweet segretario...
“Io
non ho niente contro gli stranieri che vengono in Italia per lavorare,
ma i rom e le occupazioni sistematiche delle case sono un’altra cosa”,
ammette il piccolo imprenditore di Palazzago, sempre quello di prima
della cassa in deroga nel comparto tessile..“ Conosco tante persone che
non sono leghiste che davanti a questi fenomeni perdono qualsiasi freno
inibitore...”
Salvini in questo tipo di campagne va a nozze
perché batte la periferia milanese da quando è ragazzino. Dieci anni fa,
in era pre iPad, lo si incrociava nei talk show delle tv locali
appuntarsi sul block notes i nomi delle persone che lo avevano cercato
al telefono per segnalare rogne o problemi. State certi che li avrebbe
richiamati. Ci sono intere schiere di vecchietti del quartiere Barona,
Gratosoglio o Ponte Lambro che hanno in tasca il numero di Matteo
Salvini...
Al massimo la novità di queste settimane può essere la
nazionalizzazione della Lega, lo sbarco al sud, ma fino a prova
contraria siamo al marketing politico. Alla tweet-crazia...
Assalto alle spoglie del Pdl
Difficile
cancellare con un tratto di penna l’origine, il lessico e il
radicamento nordista ultra ventennale del Carroccio. Nella stessa Emilia
il risultato del Carroccio non è clamoroso in senso assoluto, aveva già
sfondato sotto il Po. Alle Politiche 2008 aveva raccolto 217.831 voti e
alle Regionali 2010 addirittura 288.601. Il risultato di domenica è
però clamoroso perchè siamo in un ciclo elettorale dominato
dall'astensione di massa: mentre l’affluenza in Emilia Romagna crollava
dai 2.700.000 votanti delle Politiche 2013 (82,1%) ai 2.300.000 delle
Europee di maggio (69,9%) fino a 1.200.000 di domenica (37,7%), il
Carroccio in termini assoluti in un anno e mezzo torna a gonfiarsi dai
69.108 ai 233.439 voti di domenica, raddoppiandoli da maggio scorso
(116.394). In sostanza l'Emilia rossa è stata a casa e quella
berlusconiana e grillina in parte si è astenuta in parte ha votato
Salvini. Segno che gli unici temi che hanno richiamato l'elettorato sono
quelli anti euro e anti establishment. Solo un caso?
“Dopo
gli scandali che hanno toccato la famiglia Bossi era difficile
risollevarsi”, prosegue Biorcio. “Maroni aveva in mente una Lega alla
Bavarese, acquartierata in Padania e alleata a Roma con Berlusconi sul
modello Cdu/Csu. Ma quello schema non ha mai davvero funzionato
precipitando al 4% nel voto del 2013. Salvini ha in testa un altra
strategia fin dal congresso di Torino (dicembre 2013)
quando invitò Marine Le Pen come ospite d’onore: una Lega partito di
lotta e di malcontento non più contro Roma ladrona bensì quella che
chiama la dittatura di Bruxelles.” Per fare sostanzialmente tre cose:
“riagganciare l'elettorato perduto (specie in Veneto e Lombardia)
finito tra le braccia di Beppe Grillo; lanciare l’Opa sul grande bacino
del fu Pdl: artigiani, commercianti, lavoro autonomo e pensionati
massacrati dai governi Monti-Letta-Renzi; allargare il consenso alla
working class delle fabbriche e ai ceti popolari delle periferie sempre
più a disagio
nel farsi rappresentare dalla sinistra tradizionale.”
Alcune elaborazioni che ci ha preparato Ipsos (autunno
2013-autunno 2014) dimostrano come la Lega stia crescendo proprio tra
quei lavoratori autonomi (+7,9%) che non accettano di fare la stampella
del Pd e avevano divorziato da Forza Italia dopo la finanziaria 2011
teleguidata da Bruxelles tutta tasse e balzelli. Stia crescendo tra
dirigenti, imprenditori e professionisti (+3,4%) e tra gli impiegati
(3,4%). Il voto in Emilia sembra confermare questo trend che ha molto a
che fare con la persistenza della crisi, il faticoso cambio di pelle di
un modello padano - l’impresa diffusa di piccola dimensione - con la
globalizzazione finita sotto assedio, e l’esplosione di tanti focolai di
disagio territoriale:
l’indotto in panne intorno
all’aeroporto flop di Malpensa, la moria di imprese sulla via Emilia, il
ridimensionamento del ciclo del bianco (lavatrici) tra il varesotto, la
Brianza e la marca trevigiana, il comparto dell’automotive orfano di
Fiat, le difficoltà del settore legno-arredo lombardoveneto, la catena
dei gloriosi subfornitori meccanici del triangolo
emiliano-veneto-lombardo che soffrono i ritardi di pagamento, il credit
crunch e lo spostamento a est delle aziende tedesche.
Ci sono due immagini e una tabella che riassumono tutto questo.
La prima immagine è l’estetica degradata dei grandi vialoni commerciali
di ingresso nelle città del nord: Milano, Torino, Genova, Padova,
Brescia, Verona.... Stradoni antropizzati fatti di cartelli divelti,
parcheggi mal tenuti, aiuole piene di sterpaglie, erba incolta, cancelli
arrugginiti, lavatrici abbandonate a bordo strada e vetrine sporche.
Fateci caso, tutti voi li avrete visti: siamo nel cuore della ex Padania
felix, sembra di attraversare la cintura urbana di Napoli...
La seconda immagine è il deserto della nuova autostrada Brebemi: doveva
sgravare di traffico e merci la mobilità esausta della Lombardia
produttiva, ci passano le auto con il contagocce...
La tabella invece è questa qui, dimostrazione impietosa di come la
competitività del paese rispetto all’Europa in questi anni è crollata al
sud come al nord...
Poi c’è il fronte di sinistra e qui c’è
persino chi rispolvera “il Matteo” capofila della lista dei Comunisti
padani ai tempi del Parlamento del nord. O chi ricorda il ragazzo
capellone che frequentava il Leoncavallo.
“Io fascista o
nazista? Io sono milanista. Non mi sento assolutamente di destra. Lavoro
con la Fiom in Lombardia sulle crisi aziendali.
Probabilmente sono più di sinistra io di Renzi...”, ha detto l’altra sera in una delle solite trasmissioni tv.
Di
certo l’appoggio di Susanna Camusso e la Cgil al referendum per abolire
la riforma Fornero e la fascinazione anti euro della sinistra Pd
(Fassina e Cuperlo) portano acqua al mulino del Salvini popolare,
interclassista, che si muove oltre gli steccati destra/sinistra. Anche
qui, nessuna vera novità. Nel 1996 quando la Lega registrò il massimo
storico il suo elettorato era diventato molto trasversale. Il Carroccio è
tradizionalmente un partito fisarmonica e i suoi picchi coincidono con
la capacità di intercettare anche il voto operaio (fatto cento la
composizione del suo consenso, negli anni d’oro arrivò ad imbarcarne il
25%). Tessera Cgil in tasca e crocetta sull’Alberto da Giussano è un
deja vù raccontato in tantissime inchieste e reportage degli scorsi
anni...
Il problema è che dare una lettura giusta alla crisi è
tremendamente complicato. In mancanza d’altro chi sa creare lessico come
Salvini è già a metà dell’opera tanto più che il suo attivismo è più
economico-sociale, meno anti casta o da rivolta etico-morale alla
Grillo. Per questo oggi ha messo la freccia. Incrocia lo spirito dei
tempi.
Internazionale populista
Soprattutto
ha cambiato bersaglio, la caccia grossa leghista punta direttamente
all’Europa. Salvini è convinto che agli occhi della Germania e di
Bruxelles la “Padania” è diventata una marca di conquista, un territorio
da espugnare, indebolendo le sue imprese, le sue banche, la sua
capacità produttiva. Come se 150 anni dopo l’Unità d’Italia il nord
fosse diventato a sua volta sud. Però dell’Europa...
Intellettualmente sono i pensieri di un Claudio Borghi Aquilini,
economista dell’università Cattolica di Milano, scuola Gianfranco
Miglio, responsabile economico del Carroccio, o di un Alberto Bagnai:
“il suo libro su il Declino dell’euro mi ha aperto la mente...”, dice Salvini a Palazzago.
Idee,
suggestioni su complotti a tavolino orditi contro i paesi mediterranei
oppure anche solo paure di non farcela dentro la camicia di forza
dell’euro, che circolano a dozzine nel dibattito pubblico, sdoganate a
vario titolo da accademici come Giulio Sapelli, Giuseppe Guarino o Paolo
Savona. Il ghetto sembra finito...
“La nostra è la
rivoluzione del buon senso”, spiega Borghi. “Proponiamo cose
convenzionalmente di destra come la flat tax e una forte opera di
sburocratizzazione ma anche di sinistra come la difesa dei nostri salari
dall'austerità europea e non ci scandalizziamo se servisse
nazionalizzare aziende o banche italiane per evitare che cadano preda di
gruppi stranieri o tedeschi che utilizzano i denari di banche
sussidiate da miliardi e miliardi statali. Oggi - prosegue il
responsabile economico della Lega - bisogna uscire dall’emergenza tutti
insieme come paese. L’Indipendenza senza moneta e con le fabbriche
chiuse non serve a nulla. Prima va ricostruito uno scenario pre euro: il
nord che può svalutare la moneta e il sud mercato di sbocco un po'
sussidiato. Poi dopo si lavorerà a ridurre le storture fiscali del
nostro mezzogiorno...”
In questo incarnare lo spirito dei
tempi Salvini è in buona compagnia. Nei quattro più grandi paesi europei
(Germania, Regno Unito, Francia e Italia) sta avvenendo qualcosa di
assimilabile, specie sul versante delle formazioni di centrodestra.
Il
movimento ora in corso è innescato da partiti radicali (Ukip, Front
National, Lega, AfD) che colgono un vasto mutamento dell’opinione
pubblica e trovano impeto nel disagio sociale. In contemporanea con
l’aumento dei consensi rivedono e precisano il proprio discorso:
affermano una volontà di guida del proprio paese, che affianca e
completa la rappresentazione della protesta, estendono il raggio
dell’azione al di là degli originari recinti di pubblico, mostrano nei
gruppi dirigenti figure contigue all’establishment (...) I
partiti-sistema (Tory, Ump, Cdu, Forza Italia) patiscono per contro i
guai derivanti dallo sbandamento della costruzione europea e dalla
crisi che vi è connessa, scontano il favore riservato per anni all’idea
dell’integrazione e il loro movimento consiste soprattutto nel
ripiegare...”Antonio Pilati, Come si riorganizza la destra (Il Foglio, 6
novembre 2014)
In
Italia, sbagliando, si tende a sottovalutare la potenza evocativa e
l’efficacia elettorale di una battaglia anti euro e anti Germania, il
vero propellente della strategia leghista, molto più della campagna
sugli immigrati, l’apertura a Casa Pound, la violenza verbale... Essere
convintamente europeisti non dovrebbe fare velo, invece è così...
Ancora Biorcio: “la percezione della politica e dell’economia negli ultimi mesi si è velocemente “nazionalizzata”
perché la geografia è ormai sovrastata dalla geopolitica. Più del Nord oggi contano l’Ucraina, la Siria, Gaza, l’Isis,
i migranti e la demografia che esplode. La nuova guerra fredda Washington-Mosca. Le nuove guerre di mercato con Pechino.”
Così, i temi del dibattito politico, anche nel Nord (Italia), si globalizzano. Riguardano la Ue e l’immigrazione.
Putin, amico orso
Ciò
che resta nell’ombra è invece la strumentalizzazione che si agita
dietro neo populismi alla Salvini. Ad esempio la liaison con Vladimir
Putin, che trova il tempo di incontrare il leader leghista in Italia e
di riceverlo a Mosca, è meno folcloristica e più prosaica di come la
vogliano dipingere giornali e tv o i tweet del segretario padano.
Dietro
i pur legittimi elogi salviniani allo zar moscovita e alla politica dei
separatisti filo russi in Ucraina, la battaglia contro le sanzioni
occidentali, le preoccupazioni per i danni alle nostre imprese
esportatrici, c’è l’interessatissimo sostegno russo a quei movimenti
populisti che giocano a indebolire l’Unione europea e l’Occidente. Front
national (Marine Le Pen è un’altra fan sfegatata di Putin) e Lega in
primis. Gli incontri a Bruxelles tra esponenti di questi due partiti e
gli osservatori di Russia Unita (il movimento del presidente russo) sono
frequenti e confermati.
Proprio in questi giorni la formazione della Le Pen, sempre a corto di soldi, ha ricevuto un prestito di 9 milioni di euro
da una piccola banca russa molto vicina al Cremlino. Sarà Lega il prossimo beneficiario?
In
attesa di saperlo e di conoscere le future mosse del “capitano”, le
alleanze alle Regionali di primavera (si vota in Veneto), la legge
elettorale, lo sbarco al sud e il rapporto con Berlusconi, l’impressione
è che questo neo partito populista di massa, che punta a svuotare il
movimento di Grillo, un bel pezzo del vecchio Pdl berlusconiano e dare
l’assalto al consenso renziano, non sia un fenomeno così passeggero.
“Gli italiani si stancheranno presto di Salvini come stanno facendo con Grillo”,
dicono molti benpensanti. “E’ una bolla mediatica...”
Da
Palazzago l’impressione che ne abbiamo ricavato è ben diversa. Evitiamo,
vent'anni dopo il primo grande equivoco sui barbari alle porte e le
ampolle del Dio Po, di demonizzare un’altra volta il Carroccio. Senza
capirlo. E senza saperne prendere le contromisure...
http://www.huffingtonpost.it/2014/11/26/matteo-salvini-leader-lega_n_6223940.html