la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune. Produrre, organizzare, trovare soluzioni, impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST? Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
sabato 13 dicembre 2014
Matteo Salvini, Fronte Unico per uscire dall'Euro, condizione necessaria ma non sufficente
Fronte Unico per uscire dall'Euro per il Bene Comune
La Grecia spaventa sempre più: boom di rendimenti e spread, ecco cosa ci aspetta
Continua a crollare la Borsa di Atene, mentre s'impennano i rendimenti dei bond sovrani ellenici, con la curva dei rendimenti invertitasi. Si teme l'arrivo di Syriza al governo, che probabilmente porterebbe la Grecia fuori dall'Eurozona.
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L’indice ASE della Borsa di Atene ha perso un altro 7% ieri, portando le perdite al 40% rispetto al picco raggiunto nel marzo di quest’anno. In una sola settimana, il listino ha perso il 20%. Dall’inizio dell’anno, il crollo è stato del 29%, il secondo maggiore al mondo, dopo quello della Borsa di Mosca. Sintomo di un ritorno al panico tra gli investitori sulla Grecia. Cosa ancora più agghiacciante è l’inversione della curva dei rendimenti: ieri un titolo a 3 anni rendeva in chiusura il 10,61%, balzando in una sola seduta di 119 punti base (+1,19%).
APPROFONDISCI - Panico in Grecia, ecco cosa temono i mercati. La curva dei tassi s’inverte, è allarme rosso
Default Grecia molto probabile
In sostanza, un titolo ellenico a più breve durata rende oggi di più di uno a scadenza più lunga, cosa che sul mercato ha un significato ben preciso: gli investitori stanno prezzando la probabilità di un default e dell’uscita della Grecia dall’euro nei prossimi mesi o qualche anno al massimo. Il costo per assicurare 10 milioni di euro in bond greci per 5 anni con i cds è esploso a 2,9 milioni (29%), implicando una probabilità del 52% che si registri un default da qui ai prossimi 5 anni.Terrore per elezioni Grecia
Il panico è tornato con le avvisaglie di una crisi politica imminente e di elezioni anticipate all’inizio del 2015. Se entro il 27 di dicembre, il premier Antonis Samaras e la sua maggioranza non saranno in grado di trovare gli altri 25 voti in Parlamento, che serviranno loro per fare eleggere il nuovo capo dello stato, la Costituzione prevede lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni. A quel punto, la vittoria di Syriza, il cartello della sinistra radicale anti-Troika (UE, BCE e FMI) e sempre più contraria alla permanenza della Grecia nell’Eurozona, sarebbe altissimamente probabile. In pratica, da qui a qualche mese, potremmo trovarci ad Atene un governo, che chiederà ai partner europei di condonare almeno grossa parte del debito ellenico, che rifiuterà ulteriori misure di risanamento fiscale e che sarà ostile alla Troika. I mercati si stanno già fasciando la testa, scontando lo scenario tremendo che li attenderebbe e hanno iniziato a disfarsi dei bond e delle azioni del paese.APPROFONDISCI - In Grecia si avvicina il rischio di elezioni anticipate e monta la paura di uscita dall’euro
Grecia e Troika divise da 2,5 miliardi. Samaras scalpita per uscire dal piano di aiuti
A poco vale, in questa fase, fare notare che rispetto al 2010, nonostante i dolori profondi patiti dalla popolazione greca, i fondamentali dell’economia ellenica sembrano essere volti verso il miglioramento. Si è passati in appena 4 anni da un deficit fiscale del 16% del pil a uno inferiore al 2% e l’anno prossimo si dovrebbe sfiorare il pareggio di bilancio. Al contempo, il saldo delle partite correnti – indice del grado di competitività di un paese e della sua capacità di attirare investimenti stranieri – è passato da un disavanzo mostruoso dell’11% del pil a un avanzo.
Intanto, 12 deputati indipendenti hanno annunciato che non sosterranno il candidato presentato da Samaras per la presidenza, con ciò restringendo le probabilità della maggioranza attuale di farcela. Restano 15 giorni per trovare un’intesa ed evitare elezioni anticipate, ma sarà molto difficile per il governo convincere gli oppositori a stringere un accordo. I sondaggi premiano tutti coloro che fanno netta opposizione alle sue politiche. Ed è ovvio che se quanto sopra delineato dovesse avverarsi, le conseguenze non sarebbero più limitate alla sola Grecia, ma sarebbe l’inizio della rottura dell’Eurozona.
APPROFONDISCI - Bond in alta tensione su timori elezioni Grecia
Gli Stati Uniti usano la tortura, non hanno titolo per fare la morale a nessuno
Usa e Venezuela: linea dura che non fa paura In evidenza
- Scritto da Aurelio Lentini
L'ultima parola, purtroppo o per fortuna staremo a vedere, spetta al presidente Obama, che potrà bloccare o avviare l'iter del provvedimento approvato anche dalla Camera pochi giorni fa, dopo che il Senato aveva dato già via libera, e che prevede di «imporre sanzioni specifiche alle persone responsabili di violazioni dei diritti umani nei confronti di manifestanti di opposizione in Venezuela, con l'obiettivo di rafforzare la società civile in Venezuela e per altri fini».
Aberrazione quasi totale visto il fine essenzialmente eversivo dei moti di protesta, fomentati da cellule di estrema destra prezzolate da agenti esterni che si sono macchiate dell'uccisione di numerosi civili.
Di fatti il commento più in voga in Venezuela è che non si capisce quali diritti umani interessino agli Stati Uniti, specie dopo le rivelazioni sulle torture, e sembra opinione comune che non si tratti di quelli che si declinano a partire dai beni e dalle libertà comuni e universali.
Tanto che, alla prova dei fatti, i tentativi palesi della destra statunitense di tornare a premere sull'acceleratore delle strategie eversive in SudAmerica sono ormai così sputtanati che le allodole hanno smesso di guardare negli specchi. E infatti il presidente del parlamento venezuelano Diosado Cabello ha commentato ironicamente che «la destra nordamericana si lancia così contro il Venezuela perché sa che i suoi rappresentanti qui sono un disastro, i soldi che arrivano, se li rubano, non son capaci di eseguire gli ordini, per questo gli Stati uniti hanno deciso di agire direttamente».
E non contento ha rincarato la dose commentando il sequestro di un camion che viaggiava su una nave proveniente dagli USA e conteneva oltre quattro milioni di dollari. La persona arrestata, ha dichiarato Cabello, è "Arquimede Rondon di origine portoghese, ha legami con la Usaid e con Miami e con altri di cui non posso fare i nomi perché c'è un'inchiesta in corso», la stessa USAID di cui parlavo qui.
Basterebbe questo a dimostrare quanto marcio ci sia sotto, ma invece c'è dell'altro, e i servizi di sicurezza venezuelani sono in allarme dopo il ritrovamento di esplosivi nelle aree eversive di estrema destra, le stesse i cui diritti umani sarebbero stati violati si presume, e le stesse che erano attive durante gli scontri di qualche mese fa.
In gioco naturalmente c'è molto altro, non solo in termini di geopolitica e pretese sovranazionali degli USA, ma soprattutto in termini di lotta sul mercato petrolifero. Maduro ha infatti denunciato l'utilizzo da parte degli statunitensi della tecnica estrattiva del fracking, con la quale essi inondano il mercato di petrolio a basso costo, facendo crollare i prezzi e provocando gravi danni all'ambiente. Per il Venezuela naturalmente è un colpo durissimo, ma il presidente ha già dichiarato che, nonostante l'abbattimento del prezzo del greggio a 50 dollari a barile, le misure sociali non saranno messe in discussione. Di certo in questi mesi abbiamo imparato una cosa: che malgrado i reiterati tentativi di destabilizzarlo Maduro tiene duro.
@aurelio_lentini
http://www.lineadiretta24.it/esteri/9022-sanzioni-contro-maduro.html
dove c'è corruzione c'è il Pd
Mose, indagati i deputati Pd Mognato e Zoggia per finanziamento illecito
Orsoni, che aveva concordato con la Procura di Venezia un patteggiamento respinto dal giudice, in piena bufera giudiziaria in corso per convincere la stampa della sua tesi difensiva aveva spiegato: “Io chiedevo i fondi su richiesta del partito ma non mi sono mai occupato di organizzare né finanziare alcuna iniziativa elettorale così come non potevo di certo sapere se quei soldi provenissero da fondi neri”. In quella sede i nomi non li aveva fatti, ma poi agli inquirenti aveva spiegato chi chiedeva e aveva anche spiegato i rapporti con Mazzacurati: “Mazzacurati è venuto diverse volte a casa mia,
ogni tanto mi lasciava dei carteggi e delle buste, non sempre – aveva raccontato Orsoni – ho aperto per vedere cosa c’era dentro”. Alla domande del se li avesse poi portati al Pd. “Può anche essere, ma non ricordo. I fatti sono avvenuti anni fa”.
L’avvocato amministrativista prestato alla politica, che conosceva da 30 anni l’imprenditore che lo ha accusato di avergli chiesto sempre più soldi, aveva confermato di essere stato spinto a chiedere il denaro dalle pressioni dei “maggiorenti” del Pd. “I miei interlocutori nel Partito Democratico erano sostanzialmente il segretario, che era Mognato” e po tra gli altri “Zoggia che era fra l’altro il delegato agli enti locali a livello nazionale e che, pur essendo occupato anche per altre elezioni, perché essendo il delegato nazionale poi si doveva occupare di altre cose, però era presente spesso anche a Venezia” aveva detto Orsoni. Che aveva aggiunto: “Non avendo nessuna esperienza politica e tanto meno elettorale non avrei saputo come organizzarmi… non avrei saputo come reperire le risorse per sostenere una campagna elettorale, della quale non conoscevo i costi”. Poi arrivarono 300mila euro: cifra che mi sembrava enorme”.
I due, che si sono detti estranei ai fatti, sono stati sentiti in Procura, dal pool di magistrati che indagano sulla vicenda, martedì scorso nell’ambito della conclusione delle indagini che dovrebbero portare a processo l’ex sindaco Orsoni. I due deputati del Pd hanno smentito le affermazioni di Orsoni, e hanno negato di essere stati i destinatari finali del finanziamento in nero di 450mila euro messo a disposizione da Mazzacurati sui 550mila totali ricostruiti dai magistrati.
È stato sentito l’ex assessore ai lavori pubblici della giunta Orsoni ma all’epoca dei fatti (2010) segretario veneziano del partito, Alessandro Maggioni che non è indagato che ha spiegato, in circa un’ora di incontro, che all’epoca dei fatti si occupava di aspetto organizzativi e non economici. Nei prossimi giorni altri politici potrebbero essere sentiti dalla Procura veneziana. L’ex sindaco dovrebbe andare a processo dopo che appunto l’ipotesi di patteggiamento con la Procura era stata respinta dal Gup perché ritenuta troppo ‘leggerà specie sul fronte economico, la proposta di 16mila euro da versare al fondo per la giustizia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/12/mose-indagati-i-deputati-pd-mognato-zoggia-per-finanziamento-illecito/1270606/
Israele vuole il genocidio del popolo palestinese
Israele, guerra e Pil: e i palestinesi diventano schiavi inutili
Come mai prima d’ora, i palestinesi rischiano di essere cancellati dall’anagrafe dell’umanità: Israele, che li sottopone a uno spietato regime di apartheid, non fa nulla per impedire che si faccia strada la “soluzione finale” del genocidio, di cui Gaza sta già facendo esperienza. Lo sostiene il professor William Robinson, sociologo dell’università californiana di Santa Barbara, in un’analisi presentata su “Truth-Out” in cui delinea il fondamento economico della persecuzione: se fino a ieri la manodopera palestinese sfruttata poteva ancora servire, specie in Cisgiordania, oggi la nuova struttura socio-economica dello Stato sionista ne fa volentieri a meno, data l’evoluzione della fisionomia produttiva israeliana nel sistema mondiale globalizzato, in settori chiave come quello degli armamenti. Questo spiega il sistematico fallimento di tutti i negoziati di pace e la drammatica accelerazione terroristica nei confronti della popolazione di Gaza, che solo nell’estate scorsa ha provocato 2.000 morti, 11.000 feriti e centomila senzatetto. I palestinesi non “servono” più, nemmeno come schiavi. Possono solo scegliere se andarsene o restare a farsi massacrare.
Gli Stati Uniti dicono bugie
Ungheria:funzionaria querela inviato Usa
http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Mondo/981281_ungheriafunzionaria_querela_inviato_usa/
la Sardegna è una nazione
Cassazione: sardo è lingua; Doddore Meloni, splendida vittoria
La pronuncia della Cassazione arriva a seguito di un ricorso presentato dall'avvocato Cristina Puddu, per conto di Meloni, e secondo il quale, protagonista di tante battaglie per l'indipendenza della Sardegna, è "la dimostrazione che i pessimisti e quelli che non combattono per i propri diritti hanno sempre torto e che i sardi se vogliono e combattono saranno sempre vincenti e mai perdenti".
Per quanto riguarda la bocciatura della richiesta di patrocinio a spese dello Stato per non aver dimostrato l'appartenenza all'etnia sarda, Meloni non si scompone. "Vuol dire che alla Suprema Corte manderemo le analisi del mio Dna per dimostrare che la stirpe dei Meloni in Sardegna ha una storia millenaria".
La chiusura del commento di Meloni non poteva non essere in lingua sarda. "Ma candu mai m'appa arrendi datu chi binciu sempre... Sempri innantis fintzas a s'indipendentzia" ("Ma quando mai dovrei arrendermi dato che vinco sempre... Sempre avanti fino all'indipendenza").
http://www.ansa.it/sardegna/notizie/2014/12/12/cassazione-sardo-e-linguadoddore-melonisplendida-vittoria_a906c70a-4edb-4ec5-9687-be5b59884b23.html
Solo gli imbecilli sanzionano la Russia, parte integrante della cultura europea
L’EFFETTO BOOMERANG DELLE SANZIONI ALLA RUSSIA PER L’ITALIA
Il valore del dollaro cresce rispetto al valore dell’euro, diminuisce il costo del barile, aumenta il prezzo dell’oro, aumenta il costo delle sementi sul mercato asiatico. Questa sembra soltanto un’altalena divertente ma le borse internazionali che praticano il grande movimento di capitali sono le grandi artefici della stabilità del nostro standard di vita. Facciamo una analisi della politica economico- finanziaria europea del momento, un continente in preda alla stagnazione economica che adotta, in accordo con gli USA e la Nato le sanzioni contro la Russia: cosa provoca questa presa di posizione ai russi, agli Usa, agli europei, all’Italia?
La decrescita dell’economia russa
Tali sanzioni hanno destabilizzato l’economia russa ed hanno immediate conseguenze: la caduta del rublo rispetto al dollaro del 60% e del 50% rispetto all’euro, la caduta del prezzo del petrolio del 45%, la caduta delle importazioni dall’Europa, dall’Italia e, dalla Russia verso l’Europa. La decrescita dell’economia Russa porta all’indebolimento delle aziende russe che lavorano nel campo energetico, con preoccupanti pericoli per i nostri approvvigionamenti, altre sanzioni invece, bloccano l’importazione di prodotti tecnologici russi da parte dei paesi dell’Unione, sono state bloccate le importazioni dei prodotti agricoli e alimentari provenienti da Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, prodotti tipici della dieta mediterranea, che costituiscono una forte fonte di guadagno per le aziende che esportano nell’Europa dell’Est.
Le sanzioni hanno toccato anche altri settori strategici ad esempio l’impossibilità da parte delle banche russe di emettere bond e azioni nel mercato finanziario e il divieto ai paesi UE di firmare nuovi contratti di esportazione con le aziende russe che lavorano nei settori petrolifero, energetico e degli armamenti. È proprio di questi giorni l’annuncio della cancellazione del progetto South Stream, che avrebbe dovuto fornire fino a 63 miliardi di metri cubi di gas l’anno agli europei, progetto al quale le italiane Eni e Saipem partecipavano con contratti che avrebbero portato ricavi all’ Italia rispettivamente di 2.4 e 1.25 miliardi di euro.
Per i Russi si tratta di un grande risparmio, il progetto che inizialmente era di 14 miliardi era lievitato 23 miliardi e se da una parte c’è chi ci guadagna aprendo il mercato del petrolio e del gas alla Turchia e alla Cina, firmando importanti contratti, ed incassa circa 3 miliardi di dollari dall’UE come tariffe di transito del gas sul territorio ucraino, dall’altra i paesi balcanici, la Bulgaria e la Serbia in primis sono disperati all’idea di perdere sia i proventi di transito che quelli prospettati da Mosca per lo stoccaggio del gas.
E noi italiani ? I settori più colpiti sono quelli dell’export del Made in Italy dove le perdite relative alle mancate consegne nel biennio 2014-2015 potrebbero raggiungere i 2.4 miliardi di euro. Stiamo perdendo grandi quote di mercato anche nella meccanica strumentale, settore dove Italia e Germania sono i principali partners. Di fronte a questa perdita di mercato, il Ministro Mogherini dice che è quanto mai urgente diversificare non solo le rotte ma anche le fonti di energia, e Renzi , durante la sua visita in Algeria conferma l’interesse ad esplorare nuove tratte.
Al contrario nell’asse Mosca-Berlino continuano gli scambi commerciali e non si è ancora discusso l’annullamento della partnership del gas del progetto Nord Stream. Gli Usa con lo Shale oil contano di aumentarne la produzione a 9.4 milioni di barili al giorno, ma negli ingranaggi dello shale oil ci sono dei granellini di sabbia non trascurabili: quello dei finanziamenti. Il prezzo di questo prodotto è lievitato a dismisura, ma se il prezzo del petrolio dovesse arrestarsi a 60$ a barile chi ha emesso sul mercato delle high yeld, volgarmente detto debito spazzatura, incorrerebbe in un alto rischio di insolvenza degli emittenti, e gli strateghi della finanza sono già nella fase in cui stanno vendendo tutto quello che possono a scapito dei soliti noti. David Kurtz, Global head di AllianceBernstein dice: ho la sensazione che siamo sul punto di avere cattive notizie e che vedremo le cose andare ancora peggio prima di migliorare.
Non da meno sono i dati ipotizzati per l’Italia dalla Sace. Si considera che l’Export italiano nel biennio 2014-2015 le perdite derivanti dalle sanzioni sfiorerebbero 1 miliado di euro e circa il 50% deriverebbero dal settore della meccanica strutturale. Intanto l’attività economica russa registra un -2.2%, il tenore di vita del popolo sta già subendo un forte arresto a causa del drastico calo di investimenti , dei consumi e della trasmissione dell’instabilità alla valuta locale. Aumenterà drasticamente a breve termine il numero dei poveri, i consumatori limiteranno l’uso dei beni e servizi non indispensabili, si registra già un calo dei salari reali, cresce il ritardo sulla restituzione del prestito da parte della popolazione, aumenta il credito insoluto e si percepisce il peggioramento delle condizioni finanziarie, la diminuzione del reddito, la perdita dei posti di lavoro. Ma i Russi hanno la loro moneta interna, il rublo, e grande fiducia in questa moneta nazionale, componente importante nel processo di stabilizzazione dell’economia.
E noi Italiani che abbiamo già subito la catastrofe economica sopra prospettata per il popolo russo , che crediamo in questo meraviglioso progetto che è l’Europa e che siamo condizionati da eventi economici- politici e finanziari esterni che turbano la nostra solidità e la nostra unione, riusciremo ad uscirne limitandone i danni?
Simona Agostini
http://www.futuroquotidiano.com/leffetto-boomerang-delle-sanzioni-alla-russia-per-litalia/
Combattere contro la massificazione del cibo attraverso la diversità del seme
Iran, le nuove sementi nascono senza multinazionali
Siamo nella provincia di Semnan, qualche centinaio di chilometri Est di Teheran e nel mezzo di quel territorio dove l’agricoltura stessa è nata diecimila anni fa, nella cosiddetta mezzaluna fertile. Mentre ci addentriamo nei campi di grano vicino alla statale, Taheri ci racconta che di queste parti è anche l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad che ha contribuito in modo determinante alla reputazione difficile dell’Iran in Occidente e al suo isolamento internazionale.
Quelli di Taheri sono diversi dai campi di grano che si incontrano nelle grandi aziende europee o americane. Non si tratta solamente dell’estensione limitata di un’agricoltura familiare: è la varietà di piante diverse per forma e colore che colpisce. Come gli agricoltori che lo hanno seguito, Taheri sta producendo continuamente nuove varietà di cereali che sperimenta piantandole in una piccola zona della sua terra. Cenesta, un’ONG di Teheran che si occupa proprio di sviluppo agricolo, li sostiene con i propri agronomi. Ma c’è anche lo zampino di un italiano ben noto a livello internazionale per le sue campagne in difesa dell’autonomia e dell’emancipazione delle comunità contadine dalle grandi aziende sementiere, Salvatore Ceccarelli. “Il mercato mondiale del seme è attualmente nelle mani di 10 grosse ditte”, ci racconta nel mezzo di una giornata di formazione per agricoltori sulle colline pisane, “che ne controllano circa il 75%”. Il che significa il 75% di un mercato che vale miliardi a livello globale.
La grande idea di Ceccarelli, messa a punto una quindicina di anni fa e ormai diffusa in molti paesi del Sud ma anche in Italia e in Francia, si chiama miglioramento genetico partecipativo. Un modo forse un po’ involuto per definire una pratica molto semplice e diretta: la selezione delle varietà, pure o miste, che devono essere coltivate nei diversi territori deve nascere dalla collaborazione, in ogni fase del processo, tra agronomi, genetisti e contadini. “Questo”, dice indicando una delle parcelle sperimentali dove la sua idea è stata messa in pratica, “significa non dover più andare al mercato a comperare il seme”, rendendosi almeno un po’ più padroni del proprio destino. Secondo Ceccarelli e chi la pensa come lui, gente che lavora a tutte le latitudini e in tutti i climi, si può ripartire dalle sementi locali conservate perlopiù in banche e collezioni di germoplasma sparse ai quattro angoli del mondo, create e accresciute negli ultimi decenni. O andando a cercare quelle piccole colture marginali che sono rimaste in campo in qualche vecchia azienda.
Salvatore Ceccarelli, l’agronomo che ha ideato il PPB
I semi delle varietà commerciali devono seguire i dettami della legge sementiera europea in vigore, usata da modello per leggi simili in altre parti del mondo: le sementi devono essere certificate, iscritte a registro e vendute esclusivamente dalle aziende sementiere. Il che vieta la riproduzione a scopo commerciale per i contadini. I semi tradizionali delle cosiddette varietà da conservazione, però, riescono a sfuggire a questi vincoli. Sono le varietà antiche, spesso locali, che vengono considerate un patrimonio pubblico, collettivo, mantenuto appunto nelle banche presso istituti di ricerca o collezioni territoriali. E sono accessibili. Quindi da qui, Ceccarelli e gli altri innovatori sparsi per il mondo sono partiti, riutilizzando, moltiplicando e conservando in campo queste sementi, alla ricerca di nuovi incroci e nuove varietà che soddisfino sia l’agronomo che chi le coltiva.
Tra i primi progetti, ci sono sicuramente quelli di Ahmed Taheri e delle altre comunità di contadini iraniani, stanchi delle basse rese e della scarsa qualità delle sementi fornite, nel loro caso, dal governo. Ma oggi la mappa dei progetti di PPB, questa la sigla inglese usata per indicare il miglioramento genetico partecipativo, è molto più ampia.
Raccolta dati e mappa a cura di Giulia Annovi
Quali sono i vantaggi del miglioramento partecipativo e perché si sta dimostrando una scelta adatta soprattutto in tutte le situazioni di agricoltura marginale, a basso input, nelle zone dove la produzione non è intensiva né segue i parametri dell’agro-industria? I primi studi sul PPB dimostrano che il tempo di produzione di nuove varietà, partendo da semi tradizionali selezionati direttamente in campo danno risultati più velocemente rispetto alla procedura tipica dei laboratori delle ditte sementiere.
Nei paesi del Sud, come il Senegal e l’Etiopia che abbiamo attraversato per SEEDversity il webdoc pubblicato da Wired in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione 2014 ci sono spesso anche altri vantaggi: le varietà tradizionali hanno colori, sapori e odori che sono più graditi alle comunità locali rispetto a varietà di importazione. Queste ultime magari piacciono in un primo momento perché considerate più moderne ma poi deludono perché non sono adatte alle preparazioni alimentari tradizionali o perché richiedono tecniche e supporti costosi e poco disponibili in paesi a basso reddito.
SEEDversity, il primo webdoc di Wired.
Un altro vantaggio è quello di poter ottenere prodotti diversi da una stessa pianta: la farina dalla molitura dei chicchi, il mangime dalla paglia e dagli scarti, prodotti fermentati, etc. Un dato fondamentale in una agricoltura fatta al 90% da piccole unità produttive di taglia familiare, come dice il recente rapporto FAO The state of food and agriculture 2014 pubblicato nell’anno del family farming, che sottolinea pure come questi piccoli agricoltori siano però anche quelli che producono l’80% del cibo al mondo. Le grandi aziende agricole occidentali pesano dunque assai poco nel bilancio complessivo della sussistenza agricola.
E infine c’è la libertà. Perché i contadini si producono da soli i semi come fanno da sempre tornando a essere padroni della propria sicurezza alimentare. E andando anche un passo oltre. “Il nostro obiettivo è e deve essere la sovranità alimentare”, ci ha dichiarato Omer Agoligan, agricoltore del Benin e presidente di una associazione che si occupa di produzione sostenibile. Lo abbiamo incontrato a Djimini, in Senegal, durante la Fiera dei semi raccontata nel reportage sull’Africa Occidentale di SEEDversity. In maniera più diretta, lo ha sottolineato anche Aliou Ndiaye, il coordinatore dell’Organizzazione rurale dell’Africa Occidentale: “Un contadino senza sementi è un contadino povero”. E con lui sono d’accordo anche i francesi, come Bernard Lassaigne, Armand Duteil e Jean-Francois Berthellot, e gli italiani Rosario Floriddia e Giuseppe Li Rosi, agricoltori della Rete semi rurali che si sono impegnati, in questi anni, a recuperare varietà tradizionali di mais e di grano antico.
E lo ha ribadito convinto Ahmed Taheri. Essere indipendenti, affidarsi a varietà migliorate in campo selezionate proprio per rendere al meglio nel clima arido della provincia di Semnan, moltiplicare e conservare in loco il seme: tutti fattori che offrono una possibilità di crescita economica per un contadino come lui. È un’innovazione vicina alla cultura rurale, sostenibile, a low input, capace di conferire resilienza alle produzioni. Ma soprattutto, è un’innovazione facilmente accessibile a chi costituisce la chiave della sicurezza alimentare di gran parte del pianeta: i piccoli agricoltori e le loro famiglie.
http://www.wired.it/scienza/ecologia/2014/12/12/seedversity-nuove-varieta-semi-antichi/
Stati Sovrani si sottraggono alla dittatura del dollaro
Tutti abbandonano la barca che affonda (detta "Dollaro")
Dall'inizio di quest'anno sono tanti i paesi che hanno abbandonato il dollaro negli scambi commerciali.
Ecco, ora se ne sono aggiunti altri due.
Gennaro Porcelli 12 dicembre
Lo so, ormai non fa più notizia. Eppure ci tengo a segnalarti che anche Brasile (membro dei BRICS) e Uruguay hanno firmato un accordo interno che prevede l'esclusione del dollaro americano dalla maggior parte degli scambi commerciali, in favore delle valute locali (il Real Brasiliano e il Peso Uruguayano).
Brasile e Uruguay, pertanto* “scaricano” il dollaro americano dalle loro relazioni bilaterali commerciali.
Il Governatore della Banca Centrale Brasiliana, Alexandro Tombini e il suo omologo uruguayano Alberto Grana, ritengono che con questo accordo i due paesi rafforzeranno le relazioni commerciali tra tutti i paesi dell’America Latina. Un passo verso l'”indipendenza monetaria” dal dollaro e dai vecchi meccanismi di regolazione commerciale instaurati dagli USA in America del Sud.
*I nuovi accordi valutari tra Brasile e Uruguay potrebbero essere presto estesi ad altri paesi, come Paraguay, Bolivia e Venezuela.
All’inizio di quest’anno Russia e Cina avevano controfirmato accordi bilaterali per commerciare in Rubli e Yen emarginando il dollaro americano nella bilancia commerciale tra i due paesi. Sembrava una follia, eppure ora sono molti i Paesi che li stanno seguendo nel fuggi-fuggi dalla nave che affonda.
La Cina ha già stipulato accordi commerciali con Australia e Germania per escludere il dollaro all’interno delle rispettive trattative economiche e finanziarie.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con gli accordi Bretton Woods, il dollaro americano (agganciato all’oro) fungeva da valuta di riserva globale garantendo la stabilità del sistema economico e finanziario.
Ora le cose stanno per cambiare.
La maggior parte delle nazioni intende stabilire accordi di commercio-bilaterale diretti per facilitare la crescita economica reciproca, senza transitare tramite il “dollaro” come valuta “intermediaria” all’interno dei reciproci rapporti commerciali.
Questo processo si sta intensificando anche a causa della sfiducia del sistema economico globale nel dollaro a titolo di valuta di riserva.
È vero, il dollaro americano si è rafforzato contro tutte le valute negli ultimi tre mesi.
Ti invito però a guardare il contorno delle quotazioni, cioè quell'insieme di parametri che ne forzerà il trend in futuro (quali appunto il numero di Paesi che sta abbandonando il dollaro come valuta di scambio, l'ingenete debito statunitense, l'emergere delle economie asiatiche,...).
Se lo farai capirai: per il dollaro non c'è più speranza.
http://www.trend-online.com/fxe/barca-affonda-dollaro-121214/
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venerdì 12 dicembre 2014
chi oggi difende l’euro è contro la democrazia
Scegliete: o l’euro o la democrazia Bagnai coglie (di nuovo) nel segno
La tesi è decisamente controcorrente : in un’epoca di disfattismo imperante e di autoflagellazione, Bagnai ha scritto un libro quasi patriottico, benchè per nulla emotivo. Non è un libello, né un pamphlet ma un saggio vero, documentato, strutturato, come conviene a un professore universitario ma scritto con il brio e il sarcasmo della grande penna. La tesi è audace perché invoca la capacità di riscatto di un popolo, la fede nella sua imprenditoria e in un tessuto economico che, per quanto deprecato, ha garantito all’Italia per mezzo secolo una crescita industriale impressionante e che ora si affloscia sotto i colpi di un sistema implacabile, devastante eppur impalpabile: quello della moneta unica.
Bagnai da par suo smonta, con nuove argomentazioni rispetto al Tramonto dell’euro, il pensiero dominante, mainstream, che accomuna economisti e giornalisti nel presentare l’euro come un dogma intaccabile, sacro, inviolabile.
Non è un iconoclasta, né un provocatore, ma un italiano mosso dall’impulso irresistibile di fare qualcosa per salvare il proprio Paese.E ha il merito, in un’epoca di appiattimento intellettuale, di proporre riforme e percorsi di uscita originali, audaci, basati non sull’ideologia ma su un’osservazione disincantata della realtà. E’ più liberale di molti liberali di facciata ma non si vergogna ad invocare l’intervento dello Stato quando lo ritiene indispensabile o perlomeno il male minore rispetto a una situazione sociale ed economica che oggi è devastante e senza speranza ; lo fa senza timore di indispettire renziani e piddini.
Sorprende sempre e costringe il lettore a pensare, a non arrendersi, ad interrogarsi anche quando chi legge legittimamente dissente dalle tesi del libro. E ad allargare la riflessione. Bagnai – e non è un mistero – propone l’uscita dell’Italia dall’euro, ma non si limita alle argomentazioni economiche. Coglie nel segno evidenziando i rischi impliciti di una costruzione monetaria che sta di fatto smantellando i capisaldi della nostra convivenza civile.
L’affermazione è forte : chi oggi difende l’euro è contro la democrazia.
Forte ma tutt’altro che impropria. Questa Europa ci sta privando silenziosamente di tutto, soprattutto della libertà di decidere, di cambiare, di scegliere a chi affidare il destino di un Paese, di cambiare politca economica e anche quella sociale. I governi e i parlamenti si trasformano in simulacri del potere o, se preferite, in reality della democrazia, dove l’apparenza è tutto ma chi decide davvero è lontano, appartiene a lobby europeiste, a élite tecnocratiche, che sanno usare l’Unione europea a fini propri e senza vera alternativa.
Una dittatura invisibile che si impone tramite l’euro, che si trincera dietro l’inviolabilità della Bce, che deprime i singoli Paesi depotenziandoli con una legislazione europea sovente assurda e prevaricatrice, che ci sta portando via oltre alla democrazia, lo stato di diritto, la sovranità, la libertà di intraprendere, la giustizia sociale e che punisce sia i piccoli imprenditori che gli operai. Ingiusta con tutti.
E’ a questa Europa che Bagnai dice basta. Con il coraggio che gli è proprio. E una convinzione nel cuore : l’Italia può aprire gli occhi. E farcela, anziché morire di inedia da euro.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2014/12/11/scegliete-o-l%E2%80%99euro-o-la-democrazia-bagnai-coglie-di-nuovo-nel-segno/
È nella natura degli Stati Uniti destabilizzare i governi legittimi per sostituirli con governi servi
L'America Latina reagisce alle sanzioni dell'Impero (Usa) contro il Venezuela
"È la patria di Bolívar e Chavez, che voi dovete imparare a rispettare"
"ALBA, l'America Latina, reagiscono contro le sanzioni dell’Impero alla nostra Patria", ha detto il presidente citato da Telesur.
"L'Alleanza Bolivariana per i popoli della nostra America desidera sottolineare che proibiremo l'autorizzazione di vecchie pratiche già attuate in paesi della regione, volte a favorire il cambiamento di regime politico, come è successo in altre regioni del mondo. In questo senso esprimiamo il sostegno e la più profonda solidarietà al popolo e al governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela", dice il comunicato di ALBA.
Egli aggiunge che "i paesi dell'ALBA ribadiscono con forza il loro rifiuto di ogni aggressione, sia di natura giuridica, economica o politica contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, che costituisce una violazione del diritto internazionale, così come contro qualsiasi paese membro dell'ALBA e si riserva il diritto di dare una risposta adeguata a tali azioni".
In precedenza entrambe le Camere del Congresso degli Stati Uniti hanno approvato un disegno di legge che mira a sospendere i visti e congelare i beni negli Stati Uniti ad almeno 56 funzionari venezuelani accusati da Washington di violazioni dei diritti umani durante le proteste scoppiate quest'anno nel paese latinoamericano.
Le fonti del governo USA hanno confermato alla Cnn che lo stesso Obama intende diffondere il documento a breve.
Maduro ha detto che il suo Paese "non accetta imponenti sanzioni imperialiste": “È la patria di Bolívar, che voi dovete imparare a rispettare. Siamo gli eredi di Ayacucho, siamo i figli di Bolivar, di Chavez".
Quelle buffe banche tedesche piene di titoli tossici
Grecia: chi resta con il cerino in mano in caso di ristrutturazione del debito? Sorpresa: i tedeschi

Gli aiuti finora concessi sono tecnicamente dei prestiti che dovranno essere restituiti. Diverso il caso dell'haircut da 100 miliardi di euro che ha coinvolto solo i detentori privati dei bond ellenici nel marzo 2012.
Syriza chiede anche di ridurre le politiche di austerità fornendo elettrcità gratuita e cibo gratuito (food stamps come negli Usa) alle famiglie più povere, ma Jorg Sponer in una mail inviata ai suoi clienti ha parlato di «scenario cipriota», con i risparmiatori che corrono ai bancomat delle banche , fuga dei capitali all'estero e fine dell'arrivo degli investimenti dall'estero.
Ma chi sono i detentori del debito greco? Dei 330 miliardi di euro complessivi del debito greco il 72% sono da considerarsi “officials loans”, cioè crediti in mano a istituzioni pubbliche (60% della Ue attraverso i suoi fondi Efsf e Esm, e 12% dell’Fmi); 5% sono altri prestiti; l'8% è detenuto dalla Bce; il restante 15% sono marketable debt, cioè titoli di debito trattabili sul mercato secondario (11% sono bond e 4% sono bills, cioè prestiti a breve termine).
Quindi, se si arrivasse a uno “sconto” per evitare l'uscita di Atene dall'euro, a perderci sarebbe soprattutto la Ue, attraverso l'Esm (il fondo salva-Stati) e i suoi stati membri: in percentuale maggiore la Germania, che ha una quota del 27% del fondo salva-stati europeo,seguita dalla Francia con il 20%, dall'Italia con poco meno del 18% e dalla Spagna con l’11,9 per cento.
In una recente intervista sulla dimensione del debito pubblico ellenico, che quest'anno toccherà il picco del 177% del Pil, Klaus Regling, presidente del Fondo salva-Stati, ha spiegato come il debito greco sia comunque «sostenibile» finché proseguono le riforme strutturali. L'Esm detiene attualmente il 44% del debito pubblico greco, mentre sui fondi prestati, con una durata media di 32 anni, Atene paga tassi annui di interesse molto bassi «intorno all'1,5%», ha sottolineato Regling. Eppure l’ipotesi di ristrutturazione del debito resta sullo sfondo e Tsipras conta di farne un argomento della sua campagna elettorale in vista delle elezioni anticipate, che potrebbero svolgersi ai primi di febbraio se il Parlamento ellenico non riuscisse a eleggere il capo dello Stato entro la fine di dicembre.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-11/grecia-chi-resta-il-cerino-mano-caso-ristrutturazione-debito-ma-tedeschi-ovvio-093535.shtml?uuid=ABopNBPC
Dobbiamo informare Napolitano: Mediaset che cambia la Costituzione e fa la legge elettorale è un atto antipolitico di una violenza brutale
Vescovi a Napolitano: “Un corrotto è più eversivo di un anti-politico onesto”
Con la tempesta di Mafia Capitale che soffia furiosa sulle istituzioni e sui palazzi del potere romano, uno dei pochi spiragli di luce sembra arrivare da oltretevere. “Corruzione e antipolitica, alla fine, sono il medesimo risultato triste di un fenomeno di mancanza di etica all’interno della politica – ha spiegato monsignor Bregantini – dobbiamo creare un’economia dove le decisioni non siano prese da pochi in stanze oscure, ma che siano trasparenti. Ci devono essere organi di controllo, la partecipazione della base. E’ il buio che crea la corruzione o l’antipolitica”. Le parole dell’arcivescovo suonano come una chiara risposta a Giorgio Napolitano: “La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva“, aveva detto il capo dello Stato mercoledì all’Accademia dei Lincei, scatenando la reazione del Movimento 5 Stelle e
della rete Internet.
Alla domanda se sia più eversivo un politico corrotto o un antipolitico onesto, il capo-commissione Cei risponde senza titubanze: “Un politico corrotto“. “E’ la corruzione che crea entrambi i guai: l’allontanamento dalla politica e poi, di conseguenza, il disservizio – è il punto di partenza del ragionamento di Bregantini – però, non stiamo lì tutti, con l’indice puntato contro pochi; dobbiamo tutti insieme dire: creiamo delle istituzioni partecipative che ci permettano di tenere sotto controllo i politici, non solo additandoli ma condividendo, imparando però anche da noi stessi che il denaro, se non lo sai usare, ti schiavizza”. Bregantini si dice preoccupato per la situazione politico-sociale ed economica dell’Italia, “però – aggiunge – c’è anche una fortissima reazione morale che c’è stata, ad esempio, dopo la questione di Roma: ha dimostrato che c’è una società sana, che non si rassegna“.
Un intervento che si iscrive nel solco della linea dettata da Papa Francesco fin dai primi mesi di pontificato. Era il 25 luglio 2013 quando da una favela di Rio il pontefice esortava i giovani a “non scoraggiarsi mai” nonostante la “corruzione da persone che, invece di cercare il bene comune, cercano il proprio interesse”, e si ripeteva l’8 novembre scagliandosi contro la “dea tangente“. Le “forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse offendono gravemente Dio”, avvertiva il 12 dicembre mentre i richiami più forti sono arrivati nel 2014, il secondo anno di pontificato, a cominciare dalla messa tenuta in Vaticano per i politici durante la quale il 24 marzo Francesco disse: “No alla corruzione, agli interessi di partito e ai dottori del dovere e ai sepolcri imbiancati”. I danni causati dai “corrotti economici, corrotti politici o corrotti ecclesiastici li pagano i poveri“, avvertiva Bergoglio il 6 giugno per poi tornare sull’argomento poco più di un mese fa, il 23 ottobre: “Le forme di corruzione che bisogna perseguire con maggiore severità sono quelle che causano gravi danni sociali come le frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione o qualsiasi sorta di ostacolo alla giustizia“.
Ha scelto una personalità di alto profilo, la Conferenza Episcopale Italiana, per commentare le parole del presidente della Repubblica. Presidente della Commissione vescovile per gli affari sociali e il lavoro, prima di arrivare a Campobasso nel 2007, Giancarlo Maria Bregantini è stato un vescovo di frontiera: per 13 anni ha guidato la diocesi di Locri, dove scelse per sé un ruolo di forte opposizione alla criminalità organizzata. Quando nell’ottobre del 2005 venne ucciso Francesco Fortugno, vicepresidente della Regione Calabria, Bregantini aveva incoraggiato i giovani a scendere in piazza e far sentire la loro voce contro la mafia. La sua azione contro la ‘ndrangheta ha guadagnato la ribalta dopo la strage di Duisburg, quando aveva ottenuto che per le vittime ci fossero i funerali pubblici, era riuscito a incidere sulle donne nel tentativo di riportare la pace tra le famiglie della faida di San Luca e si era recato in Germania per incontrare gli emigrati calabresi. Ma sono in molti ancora quelli che lo rimpiangono nella Locride anche per il suo ruolo di organizzatore ed ideatore di tante cooperative sociali che hanno dato lavoro ai giovani dell’area, una delle più povere e violente della regione. Quest’anno Papa Bergoglio gli ha affidato la redazione delle meditazioni della via crucis al Colosseo e secondo voci che circolano oltretevere ha le carte in regola per approdare alla guida di una grande diocesi come Roma e Napoli o per un incarico di rilievo all’interno della curia romana.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/11/vescovi-napolitano-politico-corrotto-eversivo-fa-antipolitica/1267455/