Cominciamo subito da un luogo comune, da relitti della
politica, da sfatare immediatamente: il documento “La buona scuola”,
base del programma renziano di ristrutturazione del settore non va
minimamente bene neanche nei principi. Solo il cretinismo di sinistra,
incredibilmente ancora presente in sacche di società, può pensare una
cosa del genere. Basti dire che si parla di comunità territoriali che,
una volta fatta un pò di ricerca sul piano della sociologia
dell’educazione, si capisce che non esistono che nell’ideologia. La
“buona scuola” rappresenta piuttosto un formidabile arretramento,
proprio sul piano della concezione della società e della tutela dei
diritti, rispetto al modo di vedere la società che si impone con le
ristrutturazioni a venire. Non solo, “la buona scuola” è qualcosa di
fermo alla buona vecchia educazione nazionale come se i sistemi
educativi fossero ancora quelli del XX secolo. Ma è proprio qui che
l’ideologia orwelliana di Renzi applicata alla scuola, della quale si
vuol praticare la dismissione proclamandone il rilancio, incontra la
residua ideologia standard di sinistra, disorientata dalle
ristrutturazioni e bisognosa di punti di riferimento. Nell’idea di una
calda scuola nazionale, aperta a qualche puntatina di nuovo (la capacità
di fare app) recuperando tradizioni e creatività territoriale (persino
un rapporto con le isitituzioni musicali. Istituzioni che, giova dirlo,
sono stati massacrati dal renzismo reale). Idea che al Pd e al governo
serve per produrre ideologia, ottenendo consenso per poi dismettere,
mentre al resto serve per assumere indentità. Una purché sia una in uno
mondo che gli operatori della scuola vedono, in maggioranza, oscuro,
ostile e privo di prospettive.
Ma a quale logica sovrintende il
tentativo, nelle prossime settimane vedremo quanto riuscito, di Renzi di
mettere le mani sulla scuola?
Non solo ad un logica di tagli di posti e
stipendi insegnanti, mascherati ovviamente da valutazioni di merito sul
personale docente, da assunzione solo per concorso e esplicitati da una
ulteriore verticalizzazione delle gerarchie del rapporto di lavoro.
Quella è materia che dipende direttamente da Padoan, quindi si trova nei
patti di stabilità. I quali comunque parlano chiaro: l’alto livello
degli avanzi primari di bilancio dell’Italia dei prossimi anni avrà un
riflesso diretto sulla contrazione delle risorse destinate alla scuola.
Istituto che avrà bisogno, secondo questa logica, di tagliare stipendi
per “liberare” risorse. Le cifre sparate da Renzi, milioni e miliardi
per la scuola, vanno tutte inquadrate in questo calcolo: qualsiasi cifra
sia verrà “liberata” da quando si “risparmierà” nella partita di giro
degli stipendi. Poi ci sono gli appassionati della ricognizione del volo
degli asini che vedono cose mirabolanti, o favolosi pertugi di
autonomia, nella scuola renziana. Che dire, per certe visioni, era
meglio l’LSD dei ruggenti anni sessanta.
Ma c’è un altro punto, ancora più
importante che sfugge a tanti quadranti che osservano la scuola solo con
occhi anni ’80 quindi una dimensione squisitamente nazionale. La
contrazione delle risorse comunitarie per i settori educazione,
formazione e assimilabili –entro un’idea di ricerca che più jobkiller
non si può- toglie fondi per l’innovazione che sono ottenibili tramite
la cooperazione europea. Questo grazie ai tagli, applauditi dagli stessi
giornali italiani che oggi applaudono la buona scuola, ottenuti in sede
di trattativa Ue da Mario Monti (il cui partito ha espresso l’attuale
ministro dell’istruzione oggi riparata nel PD).
Questo punto non va visto come una
storia lontana. Anzi. E qui bisogna un attimo guardare a come funziona
tutto il settore sapere (dal nido fino al post-laurea) secondo l’Ue. Da
una parte i sistemi nazionali hanno sovranità sul sapere del proprio
paese, dall’altra i fondi comunitari servono, a tutti i livelli
educativi, a garantire sperimentazione, innovazione e cooperazione.
Visto che l’Italia ha cannibalizzato i
fondi per garantire il sapere nel proprio paese (basti dire in Olanda,
che è un po’ piu’ piccola rispetto all’Italia, l’equivalente del MIUR
italiano ha oltre un miliardo di fondi su progetti nazionali dove
l’Italia prevede 50 milioni. Questo in un paese liberista..) all’Italia
restano quindi i fondi comunitari per garantire innovazione, a tutti i
livelli educativi, e cooperazione, essenziale in un mondo dove la
dimensione nazionale viene superata in ogni attività umana ogni giorno.
Già e qui, non caso, nella “buona scuola”, orrendo neologismo di chiaro
stampo veltroniano, si insiste sull’autonomia scolastica e sulla
capacità degli istituti di praticarla specie nelle fonti di
finanziamento. Perchè in Europa funziona così: i finanziamenti, che per
molti istituti di base del prossimo futuro saranno essenziali, non li
ottieni per diritto ma attraverso sistemi complessi di competizioni
continentali. Non a caso nè Renzi nè Giannini prevedono di preparare a
questa competizione gli istituti scolastici (in fondi che vanno
dall’edilizia, all’innovazione, allo scambio di esperienze, alla
capacità stessa di riprodurre l’autonomia finanziaria degli istituti).
Questa capacità di competere e di attirare fondi, nelle scuole di ogni
ordine e grado come nelle università, è il vero vantaggio che Renzi e
Giannini danno alla rete del sapere amica rispetto al grande corpaccione
del sistema italiano del sapere. Corpaccione destinato a ricevere, nel
tempo, colpi sempre più micidiali nella spirale, che si sta già creando
oggi, tra esaurimento di fondi ed incapacità di crearli. E qui che il
sistema del sapere italiano, dal nido al post-laurea, si sia spezzato,
in punti di eccellenza e zone sempre più vaste di arretratezza, è cosa
chiara ed evidente fin dalla gestazione della riforma Berlinguer
(seconda metà anni ’90). E’ forse meno chiaro che a) questo spezzamento
dei sistemi del sapere è una caratteristica tipica della formazione e
dell’educazione del mondo liberista, fin dagli anni ’80, che prevede
punte di eccellenza che dialogano col mercato, o sono esse stesse
mercato, mentre il resto degrada con la parte di società di riferimento
b) giusto prima della trattativa con la Grecia sulla questione dei
prestiti ponte, la Germania (fonte die Welt) ha espresso a livello Ue la
necessità di accelerare questa dinamica per competere, ancora di più,
con i sistemi educativi atlantici c) il nostro paese non avendo le
risorse, sia pubbliche che private, se vuol tenere qualche punto di
eccellenza in queste dinamiche deve cannibalizzare, ulteriormente, le
risorse esistenti a detrimento di quasi tutto il sistema nazionale del
sapere.
Parlare di “buona scuola”, con la calda
campanella del mattino è quindi una delle tante truffe renziane. Il
dispositivo della propaganda è già pronto, almeno nelle intenzioni, per
favorire queste dinamiche di cannibalizzazione delle risorse e delle
competenze. E i licenziamenti di massa dei precari sono solo una parte,
come si vede, di questo processo. Fanno ridere i corsi, anche di
aggiornamento, su questo e su quello. Quando il sistema, dal punto
finanziario e organizzativo, è spezzato in due nessuno va nessuna parte.
Il problema è che tutta questa storia è pensata ancora con le categorie
dello stato nazione, della dinamica sindacale di trenta e passa anni
fa, e persino con una idea di occupazione che non tiene dagli anni ’90.
L’Italia non solo ha bisogno di un sistema educativo nel suo insieme,
non con le punte di eccellenza che ne cannibalizzano le risorse, ma deve
guardare al declino del lavoro come opportunità formativa. La scuola
degli anni ‘70, quella che guardava alla piena occupazione, è finita col
fordismo. Quella degli anni ’90, che guardava al precariato, è finita
in una società tecnologica, e liberista, che uccide sempre più posti di
lavoro di quanti ne crea. Qualche decennio dopo Gorz o si pensa una
scuola che metabolizza il declino della società del lavoro, capace di
formare all’estrazione di risorse in un nuovo contesto, o il mercato
distruggerà la scuola (altro che seguire le indicazioni delle imprese
per la formazione..). Il resto è chiacchiera, le proiezioni su base
statistica del futuro del lavoro in Europa parlano chiaro: la buona
scuola guarda ad un jobs act che è assenza non solo di futuro ma anche
di presente.
Vedremo come va a finire. Di sicuro con
film già visti, petizioni al presidente della repubblica, appelli a
questo e a quello, furbesche assunzioni di valori della buona scuola per
sperare in qualche buona assunzione, indicazioni su “dove si può
risparmiare veramente” per favorire l’occupazione non si andrà da
nessuna parte. O si inverte la dinamica dello spezzamento del sistema
educativo nazionale, che non è solo una questione di stipendi e di posti
di lavoro ma di sapere e di organizzazione, o la scuola muore con
dentro quelli che ci lavorano. Oltretututto, oggi se si si assumessero
tutti i precari, mettendo Renzi all’angolo, entro poche settimane le
tendenze Ue allo spezzamento dei sistemi educativi in ogni nazione si
farebbero sentire. A partire dai patti di stabilità. E qui la Grecia,
sul cui sistema educativo la Ue si è accanita, insegna molto a chi vuol
vedere.
Un'ultima considerazione. Sulle
responsabilità di Cgil-Cisl-Uil in quanto sta accadendo si dovrebbe
davvero aprire una Norimberga. Accadendosi, in sede di condanna
esemplare, contro il nido di tutte le arretratezze e le nefandezze: la
Cgil. Ma una menzione particolare va alla Cisl dell’allora segretario
Bonanni quando, pochissimi anni fa, chiedeva a gran voce gli aumenti di
stipendio per gli insegnanti di ruolo ricavati dalle risorse “liberate”
dal lincenziamento dei precari. Bella solidarietà tra lavoratori, shame
on you Cisl.
da http://www.senzasoste.it
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