Libia, il generale Arpino: "Isis? Un'altra minaccia è la Francia, a volte fa disastri. Sullo sfondo c'è il petrolio"
“Diciamo che la prima cosa da fare è difenderci dall’attacco mediatico cui siamo sottoposti ogni giorno. Sarebbe meglio ignorarlo e non dare risalto ad enunciazioni e video, gli esponenti dell'Isis infatti cercano di sfruttare la capacità di divulgazione dell’Occidente e lavorano con una consapevolezza mediatica molto avanzata. Con i nostri telegiornali, i talk show, i giornali, la Rete e i personaggi più o meno competenti che sparano spesso ipotesi catastrofiche ne amplifichiamo messaggi e minacce facendo loro un favore”.
“Sì, ci sono anche pericoli reali, ma la vera minaccia deriva ancora una volta non da armi da guerra ma dall’iniziativa indotta dal condizionamento. Da cellule terroristiche dormienti e dai cosiddetti lupi solitari, insomma da jihadisti presenti sul territorio”.
“Possono arrivare anche in tal modo e ci sarebbe un gran lavoro da fare a proposito. Ma sembra che in Italia si abbia paura di parlarne perché siamo invasati dallo spirito caritatevole, dal falso buonismo e da un concetto distorto di democrazia. Non significa evitare di aiutare chi ha bisogno ma individuare chi sbarca con cattive intenzioni”.
“Sì, ecco, la Francia. Un’altra minaccia secondo me è proprio la Francia. Ogni volta che si muove fa disastri. Non per niente se siamo in questa condizione buona parte della colpa è dell’intraprendente Sarkozy, che nel 2011 riuscì perfino a far fare una dichiarazione di guerra all’Onu, cosa accaduta solo 3 volte in 70 anni. Dietro la foglia di fico del voler proteggere qualcosa o qualcuno, probabilmente si cela sempre l’intento di fare i fatti propri. Ci hanno trascinato in un conflitto destabilizzando il padrone del momento, Mu'ammar Gheddaffi, dipinto come poco democratico, ma stiamo scoprendo quanto sia inutile cercare padroni democratici in Medio Oriente. Anzi, forse è impossibile trovarne. Il rischio è continuare a dare in pasto all’Isis e ai suoi simili argomenti e motivi per crescere e prosperare, di fornire ciccia al cane”.
“No. Soluzione politica significa qualunque cosa che non sia guerra. Bisogna allora stabilire se ci sono le condizioni per far colloquiare almeno i principali responsabili. Ed è ciò che sta facendo, tutto sommato, l’Onu in particolare con l’inviato speciale Bernardino Leon per la creazione di un governo di unità nazionale”.
“Credo che l’Italia possa dare un determinante contributo proprio a questo proposito, per la sua conoscenza del territorio, dei vari personaggi in campo e delle abitudini locali. Può fornire un notevole contributo anche a livello di intelligence”.
“Le operazioni di peacekeeping si possono fare quando c’è la pace oppure ci sono gli interlocutori per garantirla e mantenerla. Nel caso di cui discorriamo però non siamo in queste condizioni. E mi sono meravigliato a sentir certi politici che parlano di utilizzare per questo i militari. La soluzione militare significa uso della forza, significa la guerra. E le guerre si fanno per vincerle, non per andare a patteggiare con chi non patteggia. Se si decide in questo senso allora, alla guerre comme a la guerre, e bisogna vincere, eliminare il pericolosissimo cancro. Ma questo, sfortunatamente, significa uccidere”.
“Sì, purtroppo”.
“Quando si parla di certi pericoli ricadiamo nella propaganda mediatica. I miliziani non hanno nessun tipo di missile capace di colpire per esempio le coste della Sicilia, né aeroplani in grado di arrivare in Italia a bassa quota senza essere visti e intercettati”.
“I miliziani libici sono quasi tutti locali e son pochi quelli provenienti da fuori, quasi sempre - in effetti - dalla Tunisia e dall’Algeria. Gli islamici del califfato stanno cercando di ripetere il percorso fatto nel ‘700, nel dopo Maometto. Quando gli uomini guidati dal generale Uqba b. Nāfi arrivarono a percorrere tutta la costa libica e giunsero in Tunisia. Nel 711 erano già in Spagna. Oggi magari vorrebbero fare la stessa cosa con altri mezzi”.
“Il pericolo di espansione ad altri Paesi esiste perché l’Isis fa molta presa su giovani che non hanno lavoro, su chi non ha più ideali, è in condizioni disagiate o estraniato in una Patria non più sua”.
“Io comunque credo di aver capito che le guerre tra arabi sono sempre state guerre tra arabi. L’Occidente è sempre incidentale, e se si mette in mezzo fa spesso disastri”.
“Sicuramente. Anche l’intervento di Sarkozy che trascinò anche noi a combattere contro i nostri interessi va letto in questa luce. Alla fine si tratta di Eni da una parte e di Total (o British Petroleum, ndr) dall’altra. E’ ovvio ci sia anche questo, e anche l’Isis non si sottrae al gioco. Non per nulla in Iraq lo Stato Islamico ha cercato subito di controllare i pozzi di petrolio. Ed anche in Libia i miliziani hanno cercato di attaccare terminali petroliferi e pozzi a Sud della Sirte, anche se poi non sono riusciti a tenerli. Ci sono questi signori che partecipano al gioco e ci sono altri che approfittano del disagio e del campo libero per guadagnare spazi nel controllo energetico”.
“E’ possibile. Per fortuna c’è l’Eni che lavora in modo abbastanza autonomo con una politica sua e una sua capacità di intelligence, con suoi accordi e suoi contatti sul territorio, a volte molto più forti di quelli governativi. Le azioni dei livelli governativi risentono infatti del politicamente corretto e portano in qualche caso a non fare la cosa giusta al momento giusto. A scegliere ciò che conviene di più politicamente, magari all’interno e non in prospettiva estera”.
“Si, soprattutto attento a non fare grossi rilanci in avanti e non amplificare la propaganda. Quando si è al governo i responsabili devono essere molto cauti. E purtroppo non è vero che bisogna dire sempre tutto al popolo. Ci sono cose che devono stare dove devono stare, per esempio all’interno dell’intelligence. Questa è una guerra e se noi andassimo a raccontare tutto sbaglieremmo. Saremmo degli ottimi esempi di democrazia ma dei pessimi servitori della patria”.
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/15/02/libia-isis-generale-arpino-intervista.html
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