La Grecia
rischia di finire i soldi, nonostante l'accordo con i creditori
Atene
deve infatti ripagare 1,5 miliardi di euro al Fondo Monetario Internazionale
entro marzo, e i partner della Grecia sembrano essere intenzionati ad
utilizzare questa scadenza per fare pressioni sul governo Tsipras.
L'accordo-ponte
di quattro mesi prevede infatti che la Grecia abbia tempo fino alla fine di
giugno per completare la propria parte del programma e ricevere così i 7,2
miliardi di euro che le servono per rimanere a galla.
Il
problema è che questi soldi non arriveranno fino a quando il nuovo programma
del governo greco, che dovrebbe essere presentato nelle prossime settimane, non
sarà giudicato soddisfacente dai creditori. Le scadenze però incombono, e
la Grecia non ha molte opzioni per trovare altrove il denaro che le serve nel
breve periodo.
I
creditori sperano in questo modo di mettere Tsipras davanti ad una possibile
crisi di liquidità, e quindi costringerlo ad approvare più in fretta il nuovo
piano di riforme, possibilmente prima della fine di
aprile ovvero quando il denaro dovrebbe essere sbloccato.
Il
governo greco potrebbe cercare di battere altre strade per ottenere quei
(relativamente) pochi spiccioli necessari per sopravvivere peri prossimi due
mesi, ma le alternative presentano tutte alcuni problemi importanti che le
rendono irrealizzabili.
Bisogna
innanzitutto escludere, a meno di colpi di testa del governo, la possibilità
che Tsipras tenti di finanziarsi ricorrendo al mercato. I tassi di interesse
greci sono a livelli proibitivi, e gli unici titoli che potrebbero essere
emessi sono quelli a brevissimo termine, tre o sei mesi.
Purtroppo
però la cosiddetta Troika, morta-ma-non-troppo, ha fissato le emissioni di
nuovo debito pubblico ad un massimo di 15 miliardi. Questo tetto è già stato
raggiunto, e infrangerlo unilateralmente significherebbe far saltare il tavolo.
La
Grecia potrebbe provare a rivolgersi alla Banca Centrale Europea, seguendo
principalmente due strade: la prima è provare ad ottenere i profitti che ha
guadagnato la Banca centrale europea attraverso l'acquisto di bond greci (circa
due miliardi, che solitamente vengono rigirati ad Atene); la seconda, invece,
prevede l'uso del denaro avanzato dal fondo di stabilità finanziaria per le
banche greche (11 miliardi non utilizzati dagli istituti di credito).
Il
problema in questo caso è che i fondi sono soggetti ad un certo grado di
discrezionalità da parte della BCE e dei partner di Atene, i quali
difficilmente daranno il proprio assenso. I profitti della BCE infatti possono
essere sbloccati solo in presenza del piano di salvataggio, che al momento è in
alto mare (e Draghi non sembra voler concedere troppi margini),
mentre le rimanenze del Fondo Salva Grecia dovrebbero ritornare nelle casse
lussemburghesi dell'ESM, stando a quanto deciso dai ministri delle finanze
europei.
La
strada più facile sembra quindi essere quella di fare presto queste riforme,
ovvero presentare un piano maggiormente dettagliato da presentare ai
creditori, che già si sono lamentati per la vaghezza del piano presentato
da Yanis Varoufakis.
Se
la situazione non dovesse sbloccarsi, c'è il rischio che il governo decida
di bloccare i pagamenti ai propri fornitori salvando un po' di liquidità.
Si tratterebbe comunque di una manovra che permetterebbe alla Grecia di
rimanere a casa solo poche settimane: il governo spende intorno ai 5 miliardi
al mese, e a cittadini e aziende greci quel denaro non può mancare molto a
lungo, visto che già oggi la situazione economica è drammatica. Tsipras già
sta subendo pressioni (anche violente) perché gestisca l'"emergenza
umanitaria".
Inoltre
una volta pagati i debiti primaverili per circa 2,5 miliardi di euro, la
Grecia dovrà rimborsare crediti per otto miliardi di euro in estate, cifra non
rimborsabile se la Grecia vorrà contare solo sulle proprie (deboli) forze.
Stando
così le cose, a Tsipras non rimane che dimostrare che vuole davvero rimettere
in piedi la Grecia, adottando in fretta delle riforme sempre più necessarie
per resuscitare l'economia greca.
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