L’evasione fiscale non sembra essere stata influenzata dalla soglia imposta dalla legge all’utilizzo del contante, che in Italia è la più bassa d’Europa. I risultati di un’analisi elaborata dall’Ufficio Studi dell’organismo presieduto da Giuseppe Bortolussi
Roma – Nonostante l’Italia abbia il limite all’utilizzo del contante più basso d’Europa, l’evasione fiscale non sembra averne risentito. Anzi, c’è scarsa
correlazione tra la soglia limite all’uso di cartamoneta imposta per
legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil,
vale a dire l’evasione fiscale. Questo il dato centrale emergente da
un’analisi elaborata dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre,
l’organismo presieduto da Giuseppe Bortolussi.
“Tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all’uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008,
l’evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi
scivolare progressivamente fino al 2010″, si legge nella nota della
Cgia, “se tra il 2010 e l’anno successivo l'”asticella” del limite al
contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 e 1.000 euro),
l’evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del Pil,
per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento”.
“Alla luce di questa comparazione”, prosegue la Cgia, “possiamo affermare che non c’è una stretta correlazione tra l’uso della carta moneta e l’evasione fiscale;
anzi, il minor utilizzo del contante può diminuire le possibilità di
riciclaggio di denaro proveniente da attività illegali che, come
sappiamo, non venivano però incluse nelle statistiche ufficiali riferiti
all’evasione fiscale”.
Tra i principali membri dell’Unione europea, ben 11 Paesi non prevedono alcun limite all’uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L’Italia e il Portogallo,
invece, manifestano la situazione più restrittiva: la soglia massima
oltre il quale non si può più usare il contante è pari a 1.000 euro.
“Il diffusissimo uso del contante è correlato al fatto che in Italia ci sono quasi 15 milioni di unbanked“,
dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia, “ovvero di persone
che non hanno un conto corrente presso una banca. Un record non
riscontrabile in nessun altro paese d’Europa. Non avendo nessun rapporto
con gli istituti di credito, milioni di italiani non utilizzano alcuna
forma di pagamento tracciabile, come la carta di credito, il bancomat o
il libretto degli assegni. Questa specificità tutta italiana va
ricercata nelle ragioni storiche e culturali ancora molto diffuse in alcune aree e fasce sociali del nostro Paese“.
“Non possiamo disconoscere”, conclude Bortolussi, “che molte persone di una certa età e con un livello di scolarizzazione molto basso preferiscono ancora adesso tenere i soldi in casa, anziché affidarli ad una banca. Del resto, i vantaggi economici non sono indifferenti, visto che i costi per la tenuta di un conto corrente sono in Italia i più elevati d’Europa“, fa presente il segretario generale della Cgia di Mestre.
Cresce per questo l’ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese. Nel 2014, ricorda la Cgia, la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi sette anni di crisi, fa sapere la Cgia, l’incremento percentuale è stato del 30,4 per cento,
a fronte di una variazione dell’incidenza delle banconote sul Pil del
+2,4 per cento e di un aumento dell’inflazione che ha sfiorato il 10 per
cento.
Il
furore fiscale dei governi presieduti da Mario Monti, da Enrico Letta e
da Matteo Renzi è pertanto smentito e sbugiardato. Forse abbassare
drasticamente il prelievo fiscale farebbe diminuire altrettanto
drasticamente l’evasione, considerato lo sbilancio esistente tra prelievo
fiscale e livello e qualità dei servizi pubblici in molte parti del
Paese. Le ultime tragedie che hanno colpito la sanità - e non solo al Sud – lo testimoniano in modo grave e, purtroppo, ricorrente.
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