Derivati: le tre ragioni del Tesoro per non svelare i contratti
Nella lettera inviata in primis al deputato M5S Daniele Pesco si risponde alla richiesta di avere “conoscenza della reale rilevanza finanziaria degli impegni sottoscritti dallo Stato per meglio parametrare proposte di legge ed emendamenti necessitanti di copertura finanziaria”. In sostanza di quali perdite potenziali (legate ad andamenti di mercato o clausole accessorie) ci si deve preoccupare. Ma, in primo luogo, per l’Ufficio legislativo del Mef non ci sono obblighi di disclosure, nemmeno alla luce del decreto 33 del 2013 che ha riordinato gli obblighi di trasparenza della Pa.
Ciò detto, Cannata ricorda che “il mezzo proprio” per far domanda di quelle carte – visto che viene da parlamentari in relazione all’espletamento del loro mandato – sarebbe l’atto di sindacato ispettivo. Ma anche in questo caso, già nel 2003 e nel 2009 la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha dato il suo parere. Secondo stop. Il terzo risale alla legge del 1990, la 241. Per la quale, ci vuole un “interesse personale, diretto, concreto e attuale” per accedere a un documento. Ma, scrive Cannata, nel caso specifico “le motivazioni poste a fondamento della richiesta d’accesso chiariscono che tale richiesta è preordinata a un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione nella materia”. E proprio la legge del 1990 blocca per questa motivazione l’accesso agli atti. Per di più, “la richiesta non risponde alla soddisfazione di un’esigenza conoscitiva personale e diretta, attesa la natura del mandato parlamentare”. E la Res Publica, che non ha nulla di personale sul tema, attende.
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