Se n’era accorto Jack London
cent’anni fa, se ne sono accorte da cinquant’anni le donnette che vanno a
fare la spesa. Scompaiono mercatini rionali, negozietti di alimentari,
piccoli forni, pizzicaroli, tutti sostituiti da supermercati grandi e
piccoli, un supermercato ogni dieci o venti negozietti. All’inizio
sembrano un miglioramento: i prezzi sono più bassi, si fa prima a fare
la spesa. Poi, quando i piccoli concorrenti hanno rinunciato, o si sono
riciclati in boutique del pane e di delikatessen, i supermercati
aumentano i prezzi, senza possibilità di confrontarli con i concorrenti,
che o non ci sono più o stanno troppo lontano. Così nascono i monopòli
(ci ho messo l’accento per evitare che qualcuno legga monòpoli, come il
noto gioco), spiegava London.
Non succede soltanto nel piccolo
commercio, succede in tutti i settori, a cominciare dalla politica.
Michele Ainis, sul Corriere della sera di oggi, prova a fare
l’inventario delle vittime di quella che chiama “l’epoca
dell’unificazione” che obbedisce allo spirito dei tempi, lo Zeitgeist. A
chi obbedisca lo Zeitgeist Ainis non lo dice, provo a dirlo io senza
paura di dire una sciocchezza: obbedisce alla moda, e la moda obbedisce
senza saperlo a qualcuno che la lancia dopo aver fatto un’attenta
ricerca di marketing poi sfruttata con operazioni di lavaggio del
cervello di dimensione planetaria. Esistono istituti che di questo
campano, con profitti superiori a quelli delle catene di lavanderie a
gettone.
Il costituzionalista Ainis, oltre
all’inventario (che invito i lettori a andarsi a leggere sul Corriere)
delle unificazioni nella distribuzione e produzione di libri e giornali,
nell’accorpamento di scuole, cinema, prefetture, studi legali e,
aggiungerei io, di studi dentistici e medici più in generale, mette al
primo posto le unificazioni nella politica. E fa l’esempio di Renzi:
“Dal 22 febbraio 2014 il segretario del Partito democratico è anche
presidente del Consiglio. Dallo stesso giorno il presidente del
Consiglio è anche ministro per le Pari opportunità. Dal 30 gennaio 2015
il ministro per le Pari opportunità è anche ministro per gli Affari
regionali. Dal 23 marzo 2015 il ministro per gli Affari regionali è
anche ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Troppi poteri in un
solo potentato? No, sono ancora troppo pochi. Perché questo vuole lo
Zeitgeist, lo spirito dei tempi. Un venticello che Matteo Renzi respira a
pieni polmoni, e lo risputa fuori in norme, azioni, progetti di
riforma. Incontrando l’applauso delle folle, anziché un’onda di
sospetto. Lui l’ha capito, noi forse stentiamo un po’ ad accorgercene.
Questa è l’epoca dell’unificazione”.
Tutte
queste unificazioni a Ainis non vanno troppo bene,
perché “l’unificazione genera uniformità, e quest’ultima ci cuce addosso
un’uniforme. Ormai la indossano, d’altronde, pure le nostre
istituzioni. Il Senato ha appena deciso di ridurre le 105 prefetture
alla metà. La Giunta toscana propone di concentrare le Asl in una
megastruttura. Dalla Sicilia alla Liguria, s’avviano progetti di fusione
delle Camere di commercio. I piccoli tribunali sono già stati soppressi
da un decreto del 2012. La legge n. 56 del 2014 accorpa i piccoli
comuni. Ma il loro corpo resta pur sempre esile, rispetto al gigantismo
delle nuove città metropolitane. O delle macroregioni su cui s’esercita
una commissione istituita dal governo: nascerebbero l’Alpina, il
Triveneto, il Levante, e via giganteggiando.
“Dopo di che – aggiunge Ainis – su
questo paesaggio erculeo vigilerà un ciclope con un occhio solo sulla
fronte: il partito premiato dall’Italicum, che per l’appunto conferisce
un premio in seggi alla lista, non alla coalizione. (…) Anche l’eccesso
di semplificazione, però, rischia di lasciarci prigionieri dentro un
guscio vuoto”. Insomma, secondo Ainis, e pure secondo me, c’è il rischio
che l’uniformità ci costringa tutti quanti a indossare la stessa
uniforme, un po’ (solo un po’, per carità) come i cinesi al tempo di
Mao. A trasformare i cittadini italiani, per uscir di metafora, in
sudditi obbedienti alle decisioni del decisionista.
E qui, anche se il paragone che aggiungo
io può apparire eccessivo, non si può non ricordare che Mussolini aveva
la stessa abitudine di Renzi all’accentramento dei poteri nella sua
figura. Ignoro se Matteo Renzi al canto del gallo si affretti a salire a
cavallo, ma come il duce accumula cariche e si circonda di yesmen e di
yeswomen che gli lasciano la privativa delle decisioni.
L’Italia di oggi, con tutti i problemi
che ha, rimane una democrazia, almeno finché avrà una stampa libera
pronta a denunciare tutto quel che non va. Però c’è sempre il rischio,
come ai tempi del duce, che chi ha nominalmente troppo potere sia
costretto a distribuirlo ai sottoposti lasciandogli inevitabilmente il
diritto di abusarne. E di questo fenomeno, ogni giorno si trova traccia
negli scandali che denunciano furti, sperperi, tangenti, assunzioni di
personale inutile, acquisti di ostriche e champagne, tutto coi soldi
pubblici, coi soldi sottratti con la forza delle leggi fiscali a ricchi e
poveri, disoccupati e pensionati al minimo compresi.
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