Papa Francesco incontra Barzani: "Grato al
Kurdistan, la porta del Vaticano è sempre aperta per i curdi". Renzi:
"Apriremo un consolato a Erbil"
“La porta
della Santa Sede e del Vaticano è
sempre aperta per il Kurdistan”, casa di un popolo “amico” e generoso, per cui
Papa Francesco prova un sentimento ben preciso: la gratitudine. È stato un
incontro sentito e commosso quello di oggi tra il pontefice e Nechirvan Barzani, primo
ministro del governo regionale del Kurdistan iracheno. A raccontarne qualche
dettaglio all’HuffPost è Rezan Kader, Alto rappresentante del governo regionale
del Kurdistan in Italia, anche lei parte della delegazione che ha accompagnato
Barzani prima in Vaticano poi a Palazzo Chigi per un vertice con il premier
Matteo Renzi. Due appuntamenti significativi che hanno rafforzato ancora di più
il legame tra il popolo curdo – in prima fila contro il totalitarismo nero del
sedicente Stato islamico – e questa parte di mondo.
Con
l’incontro di oggi, Bergoglio ha dato un’investitura simbolica al popolo curdo
come capofila della lotta all’Isis, la forza del male che ha costretto
moltissime famiglie cristiane - e non solo - ad abbandonare le loro case e
vivere da sfollati. Durante il colloquio – spiega Kader – Papa Francesco ha
ribadito il suo desiderio di recarsi in Kurdistan, un’intenzione sottolineata
anche dal segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard
Gallagher. “Barzani ha detto al Santo Padre che tutto il popolo curdo,
soprattutto i cristiani, ma non solo, lo aspetta”, racconta l’Alto rappresentante
del governo regionale del Kurdistan in Italia. “E Bergoglio ha detto che non
vede l’ora di andare là”, pur sapendo che al momento è impossibile per ragioni
di sicurezza.
“Tra
il Santo Padre e il Kurdistan ci sono relazioni molto profonde”, continua
Kader. “La Santa Sede guarda con un occhio di riguardo al Kurdistan perché sa
che nel nostro territorio i cristiani e tante altre etnie possono vivere in
pace e nel rispetto reciproco. Per questo il Vaticano dà molta importanza al
Kurdistan come oasi della pace: lo considera un mosaico di etnie e religioni
che non deve essere toccato”.
Nei
mesi scorsi Beroglio ha lanciato moltissimi messaggi ai cristiani profughi di
Erbil, costretti a fuggire dalle loro case sotto la minaccia dell'Isis. “Spero
tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e a confortarvi”, scriveva in una lettera poco prima di Natale.
Oggi, di fronte al premier della regione che ha offerto ospitalità a quelle
famiglie, Francesco ha voluto esprimere la sua personale gratitudine. Insieme a
un’attestazione di stima e riconoscenza che si sintetizza in una frase: “la
porta della Santa Sede e del Vaticano è sempre aperta per il Kurdistan”. Come i
curdi hanno accolto i cristiani in un momento di difficoltà estrema, così le
porte del tempio della cristianità sono aperte per i “fratelli curdi”.
“Il
popolo curdo – spiega Kader – apprezza moltissimo il sostengo morale del Papa.
Gli abbiamo chiesto di pregare per noi, di aiutarci, di continuare a nominare
il Kurdistan nelle sue preghiere e nei suoi discorsi”. Con la giornata di oggi,
Bergoglio ha lanciato un altro ponte verso le popolazioni costrette a
fronteggiare la furia omicida dello Stato islamico in Iraq e in Siria, senza
dimenticare la Libia. Oltre alla delegazione curda, infatti, il papa ha
ricevuto anche i due vescovi francescani rimasti in Libia, Giovanni Innocenzo
Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, e Sylvester Carmel Magro, vicario apostolico
di Bengasi, assieme agli altri vescovi della Conferenza episcopale del Nord
Africa, in visita "ad limina apostolorum" in questi giorni in
Vaticano.
“Vorrei
sottolineare particolarmente il coraggio, la fedeltà e la perseveranza dei
vescovi della Libia, così come dei preti, delle persone consacrate e dei laici
che restano nel Paese malgrado i molteplici pericoli. Sono autentici testimoni
del Vangelo. Li ringrazio vivamente e li incoraggio a perseguire gli sforzi per
contribuire alla pace e alla riconciliazione nella regione", ha detto
Francesco nel discorso che ha consegnato ai vescovi della Conferenza episcopale
regionale del Nord Africa. Un messaggio sicuramente molto apprezzato da padre
Martinelli, che pochi giorni fa – in una toccante intervista al Corriere del Veneto
– affermava di “essere pronto a farsi tagliare la testa” pur di
non lasciare soli i suoi fedeli a Tripoli.
All’insegna
dell’amicizia e della gratitudine si è svolto anche l’incontro tra il primo
ministro del governo regionale del Kurdistan e il premier italiano Matteo
Renzi. "Ho ricevuto, a Palazzo Chigi, Nechirwan Barzani, primo ministro
del Kurdistan Iracheno. Lo avevo incontrato ad Erbil, lo scorso 20 agosto 2014,
nel momento di maggiore difficoltà della sua terra, quando le milizie dello
Stato islamico sembravano inarrestabili e incontenibili. Ho ancora nel cuore le
immagini di Erbil impaurita e gli sguardi dei profughi del campo di
Baharka", scrive su Facebook il presidente del Consiglio. “Ma le donne e
gli uomini di questo popolo coraggioso hanno saputo resistere, combattendo per
la libertà di tutti”, aggiunge. “Oggi che la situazione è migliorata
continuiamo a lavorare insieme. Apriremo un consolato generale ad Erbil e
insisteremo nel supporto e negli aiuti". "Perché la sfida contro il
terrore - conclude - si vince ogni giorno, tutti insieme".
È
sempre la signora Kader, presente all’incontro, a raccontarci qualche dettaglio
in più. “Renzi ha ricevuto Barzani come si riceve il presidente di un grande
Stato: con il tappeto rosso e la bandiera”, spiega l’alto rappresentate del
Kurdistan in Italia. “Il governo italiano ha ringraziato i nostri peshmerga e
tutto il popolo curdo per ciò che stiamo facendo in prima linea contro l’Isis”.
La promessa, aggiunge Kader, è di proseguire con il “sostegno umanitario e
militare” al popolo curdo, un sostegno di cui siamo già molto grati. L’Italia,
lo ricordiamo, ha messo a disposizione dei combattenti curdi dei razzi
anticarro in un momento che la signora Kader definisce “fondamentale”, oltre a
una squadra per poter sminare tutto il territorio del Kurdistan liberato da
Daesh. In più, ci sono i 270 soldati italiani che sono sul posto per addestrare
i combattenti curdi: “i nostri peshmerga sono svegli, imparano in fretta”, si
concede un commento la Kader. “Renzi ha spiegato che il sostegno italiano
proseguirà perché l’Isis non è nemico solo dei curdi, ma di tutta l’umanità”.
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