"Presto avrete gioie dalla Tunisia". Quei segnali nella rete trascurati dai servizi di sicurezza
Già da molte ore siti e account riconducibili allo Stato Islamico sui social network celebravano il massacro di turisti occidentali, comunicando l'idea che la matrice dell'attentato fosse implicita. L'Ifriqiyah Media, gruppo editoriale ritenuto contiguo ad organizzazioni jihadiste come il tunisino "Battaglione Uqba bin Nafi", definisce l'azione al museo come "troppo semplice" e invita i combattenti tunisini a colpire i visitatori stranieri in ogni angolo del Paese.
Questo è quanto segue la strage di Tunisi. Ma già nei giorni precedenti in rete esistevano tracce, indizi e avvisaglie che qualcosa di terribile stava per accadere. Informazioni sensibili che avrebbero dovuto essere considerate da chi doveva vegliare sulla sicurezza dei turisti e non solo in Tunisia. Il primo avvistamento è stato segnalato ancora da Site nel continuo monitoraggio delle attività jihadiste in Rete. Il 15 marzo, tre giorni prima dell'azione terroristica, la propaganda dello Stato Islamico diffonde un video in cui un miliziano da Raqqa, in Iraq lancia un appello ai jihadisti tunisini: "Cosa state aspettando? Dovreste (anche voi) annunciarlo forte questo Stato benedetto e unirvi ai vostri fratelli". La risposta alla sollecitazione arriva lo stesso giorno da "Jund al-Khilafah in Tunisia", gruppo a cui lo scorso dicembre è stato attribuito un audio in cui si giurava fedeltà al leader dell'Is, Abu Bakr al-Baghdadi. Nel messaggio, diffuso ancora da Afriqiyah Media, si legge: "Restate in attesa di magnifiche notizie riguardo cose che recheranno gioia a voi e ai musulmani in generale. Presto". Presto, tre giorni dopo, l'attentato.
Il 16 marzo, quando alla strage mancano 48 ore, un tweet annuncia: "Notizia urgente: lo Stato del Califfato vi invierà presto un messaggio". A riferirlo, stavolta, è Pieter Van Ostaeyen, analista indipendente focalizzato sui foreign fighters in Siria. Che rivela: "Il messaggio è stato diffuso in una doppia versione. Una per i musulmani, in cui preannuncia la loro gioia. L'altro per il 'nemico', per dirgli che presto sarà colpito". Nessun dettaglio sull'azione che sta per compiersi. Secondo l'analista, prima dell'attacco al museo si sarebbe potuto pensare all'annuncio di un consolidamento dell'alleanza con i jihadisti tunisini. Ma dopo la strage è probabile che il riferimento fosse all'attentato. Perché, dice Van Ostaeyen, "per come si è svolta, quell'azione era pianificata da diversi giorni, forse settimane".
E arriviamo al 17 marzo, vigilia dell'attentato. Su YouTube e nei social media si diffonde un messaggio audio registrato da Wannes Fakih, leader del gruppo jihadista tunisino Ansar al-Sharia, affiliato allo Stato Islamico. Si tratta di un avvertimento ai tunisini: ci sarà un attacco nel Paese nei prossimi giorni. A corroborare a posteriori la credibilità di quella minaccia, un dettaglio rivelato da una fonte anonima della Guardia Nazionale tunisina: il fucile di uno dei due attentatori era marchiato con la bandiera di Ansar al-Sharia.
Eppure, anche in assenza di simili manifestazioni di aperta minaccia, le sole cronache tunisine degli ultimi mesi avrebbero giustificato misure di sicurezza straordinarie a guardia di un obiettivo sensibile come il Museo del Bardo. Misure che, alla luce della strage, non sembra siano state adottate. Il 17 marzo, mentre viaggiava l'audio minaccioso di Ansar al-Sharia, il governo tunisino annunciava la morte del jihadista Ahmed Rouissi, esponente di spicco del gruppo, considerato la mente degli omicidi del 2013 dei leader dell'opposizione Chokri Belaid e Mohammed Brahmi. E la mattina del 18 marzo, mentre gli attentatori entravano in azione, nella relativamente stabile ma democratica e politicamente laica Tunisia, il Parlamento discuteva di una nuova legge antiterrorismo.
Perché la presenza dell'Is in Tunisia non è comparsa ieri dal nulla. Il 23 febbraio scorso, il Ministero dell'Interno aveva comunicato l'arresto di un centinaio di presunti estremisti, diffondendo a riprova della giustezza dell'accusa un video in cui membri del gruppo affermavano di possedere una formula per fabbricare esplosivi ed esibivano una fotografia della massima autorità del Califfato, al-Baghdadi. D'altronde, si stima che i tunisini partiti per combattere in Siria e Iraq per lo Stato Islamico siano tra i 2500 e 3000. Tra questi potrebbe esserci stato anche Hatem Khachnaoui, originario di Kasserine, nella Tunisia centro-occidentale, come afferma la stampa tunisina, secondo la cui ricostruzione l'uomo aveva lasciato il Paese tre mesi fa e aveva mantenuto contatti con i suoi genitori dall'Iraq. L'altro attentatore, Yassine Laabidi, era noto ai servizi di intelligence per ammissione dello stesso premier Habib Essi, anche se, "non sono noti legami formali tra l'attentatore e un particolare gruppo terroristico". I servizi sapevano, dunque, del rischio esistente. Ma non è servito.
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