Milano 16 Marzo - Abituati come siamo
al clima ideologico italiano, sempre abilmente sfruttato dalle varie
lobby politiche, dobbiamo constatare come possiamo ancora stupirci di
quel che succede all’estero. Nessuno in Italia è riuscito ad arrivare a
un livello tale di disprezzo dell’opinione altrui come ci è riuscito il
barone di sua maestà Sir Elton John.
Parliamo dell’intervista comparsa su
Panorama ai due stilisti milanesi di adozione Dolce e Gabbana. Icone di
stile orgogliosamente omosessuali, hanno dichiarato la loro contrarietà
alla fecondazione in vitro e all’adozione di bambini da parte di coppie
gay. Citando dall’intervista, così aveva dichiarato Domenico Dolce: “Non
abbiamo inventato mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra
famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu
nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per
questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i
bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi
vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un
atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli
effetti di queste sperimentazioni”. E ha aggiunto: “Sono gay, non posso
avere un figlio. Credo che

non
si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve
essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso
naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la
famiglia”.
La furia di Elton John, padre adottivo
di due bambini fecondati in vitro, non si è fatta attendere: “Come osate
riferirvi ai miei splendidi figli come sintetici? — ha scritto il
cantante sul social network — . Vergognatevi di aver puntato il dito
contro la fecondazione in vitro, un miracolo che ha consentito a legioni
di persone che si amano, sia eterosessuali sia gay, di realizzare il
loro sogno di avere figli. Il vostro pensiero arcaico è fuori dal tempo,
come la vostra moda. Non indosserò più abiti di Dolce & Gabbana”.
In parallelo ha lanciato l’hashtag #BoycottDolceGabbana, rilanciato
anche da altre star come Ricky Martin e la tennista Martina Navratilova.
Questa vicenda rende chiara almeno una
cosa: la parola “omofobia” è completamente priva di significato, se due
icone gay vengono boicottate e attaccate proprio da altri gay. E non
pochi, perché è da anni che i due stilisti disallineati dalle lobby di
pensiero lgbt ne ricevono di ritorno continui attacchi e insulti. È più
il caso di parlare di paura della libertà di espressione e di pensiero,
paura di un’opinione che possa essere contraria con la versione
sdoganata come giusta e civile.
Dolce e Gabbana sono colpevoli di avere
un’opinione contraria, di ritenere illegittimo forzare la natura nei
limiti che ha imposto all’essere umano, solo per soddisfare puri
desideri (non diritti). Per questo, nonostante gay e icone di stile,
vengono attaccati dalla congrega lgbt internazionale, e il verdetto è
unanime: negate e convertitevi, o nessuno comprerà i vostri abiti.
Caduta la maschera della lotta alla
discriminazione e all’omofobia emerge il vero intento dei gruppi che
hanno elaborato le teorie del gender: censurare il dissenso dalle
proprie idee, da qualsiasi parte arrivi, anche da altri omosessuali, per
affermare la propria dottrina dei diritti per tutti tranne che per i
bambini. Non giudico qui tanto il contenuto delle posizioni, quanto il
disprezzo mostrato verso la libertà di espressione, lecita solo
se rispetta i propri parametri.
Il principio è lo stesso dell’attacco
jihadista alla redazione parigina di Charlie Hebdo: allora tutti erano
Charlie, tutti accoliti della libertà di pensiero ed espressione. Oggi
gli stessi boicottano Dolce&Gabbana. Io, come allora ero Charlie,
oggi senza dubbio #JeSuisD&G.
.
Gabriele Legramandi
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