Quei derivati molto derivati del processo di Trani
16/03/2015 di Federico Nascimben
Il
processo di Trani contro S&P per il pagamento di 2,5 miliardi a
Morgan Stanley è legato ad una serie di conflitti di interesse che
appaiono inconsistenti
Il 5 marzo
sono iniziate le prime udienze a
Trani del processo contro le agenzie di rating
Standard & Poor’s e
Fitch, mentre i pm di Roma hanno
aperto un’inchiesta contro
Morgan Stanley: in entrambi i casi il reato ipotizzato riguarda la manipolazione di mercato. Sullo stesso tema la Corte dei Conti a febbraio
aveva archiviato un’altra inchiesta avviata nel settembre 2013 contro S&P.
Il minimo comune denominatore dei tre casi riguarda il
downgrade del debito pubblico italiano deciso
da S&P nel 2011. In quell’occasione l’Italia, o meglio, il
Ministero dell’Economia tramite il capo direzione Debito pubblico,
Maria Cannata, chiuse un
contratto quadro sottoscritto nel 1994 con Morgan Stanley che conteneva una
clausola unilaterale di estinzione anticipata
da un contratto derivato in caso di declassamento del debito sovrano
italiano, come poi avvenne il 19 settembre 2011 ad opera di S&P (che
seguì a quelli dell’8 e 11 luglio dello stesso anno), oppure in caso
esposizione elevata verso l’Italia. Il nostro Paese pagò
2,5 miliardi.
Secondo i pm, a causa del
conflitto di interessi
causato dall’intreccio azionario tra Morgan Stanley e S&P, che
vedrebbe la prima nel ruolo di mandante e la seconda in quello di
esecutrice, l’azione fu messa in piedi a tavolino per risolvere in
maniera unilaterale il contratto, ottenendo così la liquidazione dei
circa tre miliardi di attivo in suo favore (ottenendone poi 500.000 in
meno).
Il Ministero dell’Economia, invece, non ritenne
“di chiedere un parere giuridico sulla possibilità di difendersi da
quella clausola. O, almeno, di prendere tempo in attesa di capire la
legittimità e trasparenza di quei declassamenti”.
Un articolo di Claudio Gatti, pubblicato
sul Sole 24 Ore il 5 marzo, riassume in cinque punti le
ipotesi degli inquirenti:
1- Il doppio declassamento tra settembre 2011 e gennaio 2012 ad opera di Standard & Poor’s avvenne nonostante il Governo Monti stesse intervenendo pesantemente per risanare la finanza pubblica;
2-
A riprova che tale declassamento avvenne infondatamente, i pm citano il
presidente del Consiglio, Mario Monti, che lo definì “un attacco all’Europa” non giustificato dalle contingenze economiche;
3- Il downgrade ingiustificato permise a Morgan Stanley di esercitare la clausola di uscita da un contratto derivato, come detto, e chiedere così circa tre miliardi di euro all’Italia;
4- “Morgan Stanley era azionista
di McGraw Hill Financial Inc, società proprietaria di S&P, e quindi
aveva il modo per influenzare il giudizio dell’agenzia di rating per
potersene avvantaggiare”;
5- “Pur sapendo che a Trani c’era un procedimento
penale in corso che metteva in discussione la legittimità della misura
presa dalla agenzia di rating, il Mef ha prontamente pagato
quell’altissimo prezzo”.
Tralasciando gli altri aspetti che si possono approfondire nell’articolo di Gatti, pare opportuno soffermarsi sugli
assetti proprietari e sui legami/conflitti di interesse alla base delle accuse mosse dai pm di Trani.
Morgan Stanley era ed è legata a livello azionario a
McGraw Hill Financial Inc,
che è a sua volta la parent company di Standard & Poor’s. Il punto è
che, come sottolinea Gatti, Morgan Stanley deteneva una quota pari al
2,75%
in McGraw Hill Financial, ma tramite la propria società di gestione che
opera in modo autonomo rispetto alla banca, il cui nome è
Morgan Stanley Investment Management (Msim); e quel 2,75% rappresentava la
quota aggregata del totale delle quote dei vari fondi gestiti da Msim. Inoltre, come spiega
Mario Seminerio,
McGraw Hill è una vera public company posseduta da una pluralità di
investitori, che sono fondi comuni d’investimento, cioè entità che
operano
per conto terzi e non per conto proprio.
Infine, sull’altro punto in questione, quello del
downgrade che fece scattare la
risoluzione unilaterale della clausola portando al pagamento di 2,5 miliardi. Nella sua deposizione al pm di Trani, Michele Ruggiero,
Maria Cannata ha dichiarato che “la questione Morgan Stanley… non è stata determinata dal declassamento… era legata al
valore del mark-to market e peraltro un valore di mark-to market che era stato superato da almeno dieci anni”.
“Questo
valore di mark-to-market era molto basso ma la controparte non aveva
mai esercitato questa clausola. Questo per, diciamo, i buoni rapporti
[…]. Poi arrivati alla fine del 2011, in quel periodo particolarmente
turbolento… i responsabili della vigilanza della banca, che aveva
un’esposizione molto rilevante in quella data in particolare nei
confronti della Repubblica, gli fecero presente che avendo questa
clausola, dovevano in qualche modo farla valere, perché questa esposizione era eccessiva“. Ovvero
– prosegue Cannata – “fino al 2011 con l’Italia sotto schiaffo, cioè
molto esposta e considerata molto debole. Questo venne ritenuto
inaccettabile dalle autorità di sorveglianza”, cioè la Sec americana e la Fse inglese.
Il Ministero dell’Economia perciò pretese “dalla banca [Morgan Stanley,
ndr] che ci facesse una dichiarazione [formale, ndr], dove
sostanzialmente dice questo: le nostre autorità ci dicono che questa
esposizione è eccessiva, dobbiamo assolutamente risolvere”.
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