Neanche se glielo ordina Draghi in persona. Ecco perché il QE potrebbe essere inefficace
Il cavallo non beve a comando
Lo stimolo più efficace è la diminuzione delle tasse
di Pietro Bonazza
Mario Draghi è un signor
economista–monetarista, ma non è la Bce, pur dirigendola con prudenza ed
esperienza. Anche gli altri componenti del board, sono esperti. Questo
per dire che il Quantitative Easing (QE) è una manovra collegiale,
probabilmente varata non senza contrasti interni, e dopo aver fatto
pesanti concessioni alla cancelliera Merkel, che, fino all'ultimo, ha
recitato la parte del «non vorrei, ma se fate questo e quest'altro, mi
va bene», come se la Germania, non avesse interesse, mentre è vero il
contrario.
È bene premettere che il QE, come tutte le manovre
monetarie, regge sulla speranza: dovrebbe servire a stimolare l'eurozona
a uscire dalla deflazione e consentire il rilancio della domanda di
consumo e di investimento portando il tasso di inflazione al 2% in un
paio d'anni.
Se
accadrà, Draghi avrà visto giusto, se no, non lo si potrà accusare di
non aver usato tutti gli strumenti che un monetarista ha a disposizione.
Premettiamo che non tutti gli operatori finanziari sono d'accordo, ma è
bene non ascoltarli troppo, perché si sa quali sono i loro interessi.
L'obiettivo principale della manovra è di rovesciare liquidità sui
mercati e sperare che, invece di ingrassare le banche, siano facilitate
le imprese di produzione nel ricorso al credito, stimolandone
soprattutto la domanda per investimenti. Questa speranza è fragile, se,
parallelamente, gli stati non proseguiranno con le manovre di riduzione
della spesa pubblica, riorganizzazione della pubblica amministrazione,
riconduzione della magistratura a ruoli di giustizia senza interferenze
con la politica, investimenti in infrastrutture e, da parte delle
imprese private, nuovi investimenti in macchinari e tecnologie e
riorganizzazione di governance, management anche con allontanamento di
incapaci, protetti da parentele e cointeressenze. In Italia, molte
imprese private soffrono delle stesse malattie delle pubbliche.
Se analizziamo la parte tecnica della manovra, notiamo, tra l'altro, che
nei
limiti di quantità e gradualità, le singole banche centrali dovrebbero
intervenire sul mercato secondario per acquistare titoli, già emessi
dallo stato di appartenenza (ma anche altri non statali e persino
azioni) con emissione di moneta, che, si spera, dovrebbe agevolare le
imprese territoriali nel ricorso al credito, soprattutto per
investimento. L'obbligo di operare sul solo mercato secondario implica
che il singolo stato titolare del debito non vedrebbe nemmeno un euro
della manovra e, alla fine la Bce si troverebbe con un bilancio che
espone all'attivo i titoli acquistati sul mercato secondario
controbilanciati dalla moneta emessa per l'acquisto. Da qui il dubbio se
la liquidità si tramuterà in credito alle imprese o finirà per
alimentare meandri speculativi. Certamente la Bce non starà inerte a
guardare. Soprattutto avrà cura di tenere sotto controllo il
funzionamento della cinghia di trasmissione esercitata dalle banche
ordinarie.
il tasso dei titoli, garantiti dallo stato e
in parte dalla Bce, farà scendere ulteriormente il tasso di interesse,
rendendo più appetibili investimenti in azioni quotate in borsa,
peraltro con un P/E già elevato;
lo stimolo all'economia
dovrebbe risvegliare anche la domanda da consumo. Questa è l'ipotesi
più contraddittoria, perché, se l'inflazione sale, aumentano anche i
prezzi, ma se, correlativamente non aumentano anche i redditi, la
domanda non si schioda. Qui torna il collegamento con la manovra
fiscale: se le tasse continuano ad aumentare o a non diminuire e i
redditi netti dopo le tasse non salgono, come potrebbero i consumi
essere rilanciati? Non solo, ma se anche i tassi di interesse, che
remunerano il risparmio, continuano a essere a zero, o sotto (Germania),
come si può pensare che la manovra monetaria abbia successo? Anche i
tassi di interesse sono prezzi e se l'inflazione salisse al 2%, non
potrebbero mantenersi a zero!
almeno per l'Italia, non
bisogna dimenticare che sconsiderate politiche di pressione fiscale e di
angherie della pubblica amministrazione hanno stressato gli
imprenditori, che hanno perso la voglia di fare impresa.Il cavallo non beve a comando, nemmeno se glielo ordina Draghi.
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1973099&codiciTestate=1
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