Sembrava
fatta, invece la trappola Tikrit avrà ancora bisogno di tempo per
essere disinnescata. Al momento, non si può dire che sia sotto il
controllo delle forze armate irachene. Sicuramente, però, non basta la
presenza di alcune decine di jihadisti, asserragliati in alcune sacche, a
far sventolare su di essa la bandiera nera dell’Isis. Semplicemente, il
fronte si è fermato qui e ciò fa registrare comunque un netto progresso
per l’esercito regolare, che rischiava di vedere capitolare Baghdad,
appena qualche mese fa, sotto l’inesorabile avanzata della
multinazionale “takfira”. Ed è una vittoria tattica ed anche strategica,
ottenuta grazie all’innegabile spinta offerta dalle milizie sciite
iraniane guidate dal generale Suleimani. Ma qui ci si deve fermare,
almeno al momento. La città è minata, avanzare in questa fase è
pericoloso, hanno spiegato fonti dell’esercito, citando il problema
delle grandi quantità di ordigni esplosivi seminati dagli uomini del
Califfato in tutta la città, come ha riferito un portavoce delle milizie
attaccanti. “La battaglia per riprendere Tikrit sarà difficile”, ha
detto ad Afp, Jawad al-Etlebawi, portavoce della milizia sciita Asaib
Ahl al-Haq (Lega della gente della Giustizia) coinvolta nell’offensiva.
Secondo il portavoce, i jihadisti avrebbero seminato mine in tutta la
città: “Hanno piazzato bombe nelle strade, negli edifici, sui ponti,
ovunque. E a causa di queste tattica difensiva le nostre forze si sono
fermate”, ha aggiunto prima di spiegare: “Abbiamo bisogno di forze
addestrate in guerriglia urbana per guidare l'assalto”.
L’offensiva
lanciata il 2 marzo mobilita soldati, polizia e forze paramilitari di
volontari, dominate dalle milizie sciite. Due settimane fa è stata
lanciata la prima vera operazione militare per cacciare gli uomini del
califfo Abu Bakr al Baghdadi da Tikrit, il santuario sunnita a 160
chilometri a nord della capitale Baghdad. Ma la popolazione sunnita, pur
fiera rivale storica degli sciiti, non si è unita ai terroristi, ed
anzi pare abbia avuto un ruolo centrale nell’aprire le porte
all’ingresso delle truppe avvenuto nei giorni scorsi.
Sicuramente
una mano non l’hanno offerta gli Usa, che restano un attore piuttosto
marginale, al di là dei pro clamidi alcune settimane fa di Obama. Non
c’è stato alcun appoggio dell’aviazione, anzi dal Congresso arrivano
addirittura accuse di “torture” nei confronti dei prigionieri fatti
dalle forze arate irachene e dagli altri membri della coalizione
anti-Isis. L’atto è firmato dal senatore Patrick Lehary, democratico.
Una cura e un attenzione verso i detenuti che quando, nello stesso Iraq,
era aperta Abu Ghraib gli stessi americani non hanno mai avuto. Strane
coincidenze.
Sembrava fatta, invece la trappola Tikrit avrà ancora bisogno di tempo
per essere disinnescata. Al momento, non si può dire che sia sotto il
controllo delle forze armate irachene. Sicuramente, però, non basta la
presenza di alcune decine di jihadisti, asserragliati in alcune sacche, a
far sventolare su di essa la bandiera nera dell’Isis. Semplicemente, il
fronte si è fermato qui e ciò fa registrare comunque un netto progresso
per l’esercito regolare, che rischiava di vedere capitolare Baghdad,
appena qualche mese fa, sotto l’inesorabile avanzata della
multinazionale “takfira”. Ed è una vittoria tattica ed anche strategica,
ottenuta grazie all’innegabile spinta offerta dalle milizie sciite
iraniane guidate dal generale Suleimani.
Ma qui ci si deve fermare, almeno al momento. La città è minata,
avanzare in questa fase è pericoloso, hanno spiegato fonti
dell’esercito, citando il problema delle grandi quantità di ordigni
esplosivi seminati dagli uomini del Califfato in tutta la città, come ha
riferito un portavoce delle milizie attaccanti. “La battaglia per
riprendere Tikrit sarà difficile”, ha detto ad Afp, Jawad al-Etlebawi,
portavoce della milizia sciita Asaib Ahl al-Haq (Lega della gente della
Giustizia) coinvolta nell’offensiva. Secondo il portavoce, i jihadisti
avrebbero seminato mine in tutta la città: “Hanno piazzato bombe nelle
strade, negli edifici, sui ponti, ovunque. E a causa di queste tattica
difensiva le nostre forze si sono fermate”, ha aggiunto prima di
spiegare: “Abbiamo bisogno di forze addestrate in guerriglia urbana per
guidare l'assalto”. L’offensiva lanciata il 2 marzo mobilita soldati,
polizia e forze paramilitari di volontari, dominate dalle milizie
sciite. Due settimane fa è stata lanciata la prima vera operazione
militare per cacciare gli uomini del califfo Abu Bakr al Baghdadi da
Tikrit, il santuario sunnita a 160 chilometri a nord della capitale
Baghdad. Ma la popolazione sunnita, pur fiera rivale storica degli
sciiti, non si è unita ai terroristi, ed anzi pare abbia avuto un ruolo
centrale nell’aprire le porte all’ingresso delle truppe avvenuto nei
giorni scorsi.
Sicuramente una mano non l’hanno offerta gli Usa, che restano un
attore piuttosto marginale, al di là dei proclami di alcune settimane fa
di Obama. Non c’è stato alcun appoggio dell’aviazione, anzi dal
Congresso arrivano addirittura accuse di “torture” nei confronti dei
prigionieri fatti dalle forze arate irachene e dagli altri membri della
coalizione anti-Isis. L’atto è firmato dal senatore Patrick Lehary,
democratico. Una cura e un attenzione verso i detenuti che quando, nello
stesso Iraq, era aperta Abu Ghraib gli stessi americani non hanno mai
avuto. Strane coincidenze.
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