la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune.
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impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
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"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
giovedì 12 marzo 2015
Turkish Stream sostituisce il South Stream e gli imbecilli europei che hanno buttato il gas dalla porta adesso lo vogliono far rientrare dalla finestra
Poco meno di un decennio fa, nel 2006, Fiona Hill e Omer Taspinar scrissero un suggestivo saggio dal titolo Turkey and Russia: Axis of the Excluded?
[1]. L’articolo analizzava le relazioni che si stavano consolidando
dall’inizio degli anni 2000 che, in quel periodo, avevano raggiunto un
notevole grado di profondità al punto dall’essere considerate le più
cordiali di sempre.
Le
caratteristiche di tale asse erano molteplici; un rapporto privilegiato
tra i due leader (Putin ed Erdoğan) che incontravano una serie di
affinità nello stile adottato tanto negli affari domestici quanto nella
proiezione esterna. Entrambi stavano portando avanti campagne di
riabilitazione del passato imperiale (zarista e ottomano) considerati
come i capisaldi della propria identità. In Turchia tale operazione si
poneva in contrapposizione con l’occidentalizzazione imposta dal
kemalismo, in Russia essa rappresentava un recupero dell’orgoglio
nazionale che era stato schiacciato dopo la fine della Guerra Fredda e
la caduta dell’Unione Sovietica. Un secondo fattore era rappresentato
dalla proiezione regionale: sia Ankara sia Mosca non vedevano di buon
occhio gli sviluppi ai propri confini. Le rivoluzioni colorate in
Ucraina e Georgia venivano percepite per lo più come fattori di
destabilizzazione in grado di innescare i separatismi nel Caucaso
Settentrionale e nel Kurdistan turco. Dopo la crisi che ha coinvolto il
leader del PKK Abdullah Öcalan (fuggito dalla Siria e riparato a Mosca)
nel 1998, i due Paesi hanno deciso di adottare una politica di basso
profilo chiudendo un occhio, quando non tutti e due, sulle misure
adottate per sconfiggere i rispettivi separatismi. A dare l’avvio a
questa strategia era la stata la guerra in Iraq del 2003, nella quale
Ankara si era rifiutata di fornire appoggio logistico alla coalizione
dei volenterosi voluta da George W. Bush. I due Paesi si erano trovati
affini anche in quella che Hill e Taspinar definiscono la “Paranoia del
Mar Nero” [2]. Questo mare è da sempre considerato dai due Paesi come un
affare privato che coinvolge esclusivamente gli Stati rivieraschi e
soprattutto Ankara e Mosca, che da secoli esercitano il proprio dominio
nello specchio d’acqua delimitato dallo stretto del Bosforo. La
proiezione americana era vista come un elemento in grado di minare, con
il pretesto della democratizzazione lo status quo. Un terzo fattore è quello che riguarda il commercio bilaterale. Attraverso la pipeline
Blue Stream, inaugurata nel 2003, veniva trasportato il 70% del gas
naturale importato dalla Turchia facendo dell’oro blu la voce più
rilevante di una relazione commerciale che era raddoppiata nel biennio
precedente, il tutto accompagnato da un sempre più stretto rapporto che
coinvolgeva anche il settore industriale (con numerose compagnie turche
impegnate in terra russa) e il turismo (che poneva la Turchia ai primi
posti tra le destinazioni preferite dalla popolazione russa).
La
tesi centrale del saggio è che tale relazione, con le caratteristiche
sopra indicate, non fosse frutto di una reale consonanza strategica
quanto il risultato di un senso di esclusione dovuto alla politica
americana [3]. La personale affinità dei due leader non si traduceva
però in una relazione di amicizia di ampio respiro, in grado di
coinvolgere l’intero apparato statale. Specialmente in ambito militare,
infatti, persisteva una certa sfiducia nei confronti del partner
transcaucasico e, anche a livello di opinione pubblica, la percezione
dell’“altro” continuava ad essere minata dai timori derivanti dalla
pluri-secolare inimicizia [4]. A questo si aggiunga che le
collaborazioni commerciali continuavano ad essere accompagnate da una
persistente rivalità nel settore energetico, in particolare per quel che
riguarda lo sfruttamento delle risorse del Caspio. Il revival imperiale
si concentrava sull’opposizione all’occidente tralasciando l’atavica
rivalità tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano ancor più accentuata
nel momento in cui la discussione si spostava sul Mar Nero.
Negli
anni successivi quella relazione come era stata espressa da Hill e
Taspinar avrebbe perso di cogenza, i due Paesi si sarebbero trovati
contrapposti su numerose questioni internazionali, non ultima in quella
che, a dispetto delle previsioni iniziali, si sta rivelando come una
delle più durature crisi dell’ultimo decennio, cioè la guerra civile
siriana.
Ciononostante,
con una mossa a sorpresa, a metà dicembre Putin ha deciso di porre fine
al progetto del South Stream sostituendolo con un asse privilegiato con
la Turchia, il cosiddetto Turkish Stream.
Turkish Stream – Fonte: Gazprom/Russia Today
Con
un summit tenutosi il 1 dicembre i due leader hanno deciso di divenire
partner strategici stipulando una serie di accordi di assoluta
rilevanza. Oltre all’annuncio del Turkish Stream, la Turchia potrà
acquistare il gas russo ad un prezzo scontato del 6% rispetto al prezzo
di mercato e il flusso aumenterà di tre miliardi di metri cubi rispetto a
quanto originariamente previsto. Inoltre, la Federazione Russa
aumenterà vistosamente l’acquisto di frutta e verdura dalla Turchia per
compensare le restrizioni che la stessa Russia ha posto in quest’ambito
nei confronti dell’Unione Europea come conseguenza delle sanzioni
economiche legate alla crisi ucraina [5]. In aggiunta, sono state anche
previste collaborazioni in ambito high tech e si è discusso della
tutela dei tatari di Crimea. Infine la compagnia russa Rosatom è stata
incaricata di costruire l’impianto nucleare di Akkuyu che, con una
capacità di 4800 MW, coprirà il 16% della domanda energetica turca.
Complessivamente due compagnie statali russe, Rosatom e Gazprom,
controlleranno il 74% del mercato energetico turco nel prossimo futuro
[6].
Questa
forte interdipendenza, che potrebbe creare problemi in futuro [7],
sembra derivare, più che da un progetto a lungo termine, da una serie di
circostanze che hanno portato i due Paesi ad essere ai ferri corti con
il mondo occidentale, l’Europa più degli Stati Uniti rispetto al
passato, e a trovare l’uno nell’altro un’ancora di salvezza. Quasi
citando, forse involontariamente, il saggio di Hill e Taspinar, BBC Turkish Service ha descritto l’incontro tra Putin ed Erdoğan come un “summit of precious loneliness” [8]. Con il grado di interdipendenza che si sta costruendo non è detto che questa si rivelerà un’opzione praticabile per i decision maker di domani.
* Filippo Urbinati è Dottore in Relazioni Internazionali (Università di Bologna)
[1] Fiona Hill and Omer Taspinar, Turkey and Russia: Axis of the Excluded?, in“Survival: Global Politics and Strategy”, Vol. 48, N° 1, pp. 81-92, 2006.
[7]
In particolare potrebbe nel lungo periodo minare la buona riuscita del
progetto TANAP-TAP finalizzato a rifornire i mercati europei con il gas
proveniente dai bacini del Caspio, in particolare dall’Azerbaijan, si
veda in proposito, Barçın Yinanç, Russian project jeopardizes Turkey’s energy advantage, “Hurriyet Daily News”, December 29, 2014.
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