19 mag 2015
di Andrea Salati
Il collasso dell’intero sistema nel 2008
non è bastato. A trainare l’economia americana, in ripresa dopo anni,
sono infatti strumenti derivati e mercato immobiliare. Proprio come in
passato. E i colossi finanziari cominciano a temerne gli effetti. Sono
loro stavolta, non i politici, a chiedere normative più forti,
direttamente a Bce e Fed
Illustrazione di Noah Kroese per Investing.com
Sono oltre 20 i gruppi mondiali, da Blackrock a Hsbc, fino alle italiane Generali Ass. e Intesa Sanpaolo che avrebbero presentato, secondo quanto riportato da repubblica.it, alla Banca Centrale europea e alla Federal Reserve statunitense una proposta di “misure prudenziali”
volte a ridurre il rischio di nuovi sconvolgimenti finanziari Ovvero,
la possibilità che una nuova bolla speculativa faccia vacillare l’intero
sistema, che solo a distanza di anni ha cominciato faticosamente a
riprendersi. Il documento è stato predisposto dal Davos World Economic Forum e presenta un carattere piuttosto insolito per la condotta quotidiana degli istituti bancari.
La richiesta di una maggiore regolamentazione
infatti non giunge né dai politici di turno né tantomeno da
associazioni di categoria allarmiste, ma da chi, stranamente, si è
arricchito per decenni alle spalle della mano invisibile della
legislazione corrente e ha contribuito all’esplosione di una bolla
speculativa. Ora però le cose sembrano cambiate e gli stessi istituti,
spaventati dalla ripresa intensiva di attività troppo rischiose,
hanno colto la palla al balzo per chiedere di essere messe in catene e
non rischiare di ricadere nella trappola del facile profitto.
I timori nascono dalla ripresa economica d’oltreoceano,
dove non solo gli strumenti derivati, ma anche il settore immobiliare,
hanno ricominciato a trainare l’economia con volumi di affari quantomeno
preoccupanti, sintomatichi della memoria corta degli operatori finanziari
e degli stessi istituti. Sta di fatto che gli enti preposti al
controllo della salute di questi ultimi hanno dimostrato di non riuscire
a monitorare l’andamento di tutte le banche e talvolta, seppur
rispettose della legge, le operazioni avvenute a poca distanza le une
dalle altre hanno portato a situazioni critiche, che hanno poi richiesto
interventi extra delle principali banche di riferimento. Una bolla
speculativa, in questo momento, potrebbe essere fatale.
Sembra che il rapporto non contenga nessuna misura specifica,
ma solo linee di indirizzo generali. Douglas Flint, presidente di Hsbc,
ha dichiarato a tal proposito che gli enti «sono favorevoli ad
aumentare la trasparenza del mercato dei derivati, a
evitare il sistema bancario ombra, a controllare come siano limitati gli
indici di indebitamento. In generale, le banche sono bendisposte ad
accogliere qualsiasi soluzione che faciliti la stabilizzazione del
sistema».
Ma il problema finanziario non riguarda solo le banche e la regolamentazione, perché esiste un articolato mondo complementare costituito da asset manager
ed altre figure analoghe ugualmente, determinanti nello scenario
considerato. È per queste ragioni che nel documento si fa riferimento
anche alle difficoltà di manovra delle Banche Centrali,
per il momento incapaci di gestire contemporaneamente il monitoraggio,
la crescita economica e la riduzione dei rischi di una bolla
speculativa. Sta di fatto che dal 2008, nonostante i proclami e i
riflettori di mezzo mondo puntati contro, non è cambiato quasi nulla
e ora il timore di una ricaduta è quantomai concreto. Per queste
ragioni il documento congiunto sembrerebbe un invito a nozze per la
politica, in qualche modo incoraggiata ad abbattere quel muro di
interessi fino ad oggi invalicabile dando vita a un processo di riforme
di carattere transoceanico.
Tuttavia, il legame tra la ripresa economica e la libertà degli istituti bancari è innegabile.
Una maggiore regolamentazione, se molto restrittiva, potrebbe
comportare ricadute difficilmente prevedibili sull’economia reale,
vanificando gli sforzi appena intrapresi dopo anni di austerity. Ancora
una volta, dunque, è evidente come l’errore sia stato fatto a monte,
quando intervenire sarebbe stato semplice, mentre ora si rischia di
distruggere quel poco di buono costruito. Secondo Michel Liès,
amministratore delegato di Swisse Re, «non è chiaro se [le misure
prudenziali, ndr] saranno efficaci nel ridurre i rischi sistemici o il
loro impatto sull’economia reale ma, nel caso in cui fossero concepite
in maniera errata, tali misure potrebbero provocare ancora più rischi».
In fin dei conti, il documento si pone come una presa di coscienza
ed un’ammissione di responsabilità da parte dei venti istituti. Un
invito ad intervenire finché c’è tempo, ma senza la presunzione, o la
consapevolezza, di dire cosa sia giusto e opportuno fare. La patata bollente passa alla politica,
che difficilmente potrà sottrarsi a cogliere un appello del genere e
agire di conseguenza. Non resta che aspettare per vedere se questa possa
essere la (s)volta buona.
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