TELECOM/ Renzi, Enel e Vivendi: la
"girandola" in cui perde solo l'Italia
Pubblicazione:
mercoledì 13 maggio 2015
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Ieri sera, a mercato chiuso, il principale
azionista “industriale” di Telecom Italia Vivendi ha dichiarato che la propria
partecipazione nella società telecom è “opportunistica” e che “non intende
tornare nel settore telecom”. Oggi quindi il principale operatore telecom
italiano, nonché proprietario e gestore della, di gran lunga, principale rete è
senza azionista industriale; in compenso nel capitale è presente un gruppo
molto variegato di azionisti che vanno da Blackrock alla Peoples Bank of China.
Seguire le vicende di Telecom Italia è
diventato particolarmente appassionante. Dopo la saga Telecom Italia-Metroweb,
per il momento accantonata, è arrivato il turno di una vicenda molto più
esotica e originale con il coinvolgimento dell’Enel (che in teoria produce e
vende energia elettrica) in un investimento miliardario, si parla di 5,5
miliardi di euro, nella rete in fibra ottica. Nel mezzo ci sono i tweet del
primo ministro (“La BandaUltraLarga è obiettivo strategico. Non tocca a Governo
fare piani industriali. Ma porteremo il futuro presto e ovunque”) che hanno
lasciato, giustamente, interdetti anche gli osservatori più attenti.
Districarsi tra ipotesi, rumours e desideri
del governo diventa sempre più difficile e la ragione principale è che non
vengono mai esplicitati con sufficiente chiarezza gli obiettivi degli attori in
campo, in particolare quelli del governo.
Telecom Italia è fino a prova contraria un
gruppo privato senza alcun azionista pubblico che bene o male, fallendo o
avendo successo, tenta di mettere in atto una propria strategia privata in un
settore particolarmente difficile; il fatto che il management di Telecom sia o
non sia buono non è utile ai fini di questa discussione. Il settore è difficile
perché chi ha investito e deve investire in rete deve farlo tanto avendo ritorni
incerti ed è per questo che i gruppi telecom in diversi parti del globo tentano
o stanno tentando di arrivare all’utente finale con un’offerta diversa e
qualitativamente migliore di quella esclusivamente riconducibile alla rete
stessa; ieri, per esempio, è stato il turno di Verizon con Aol.
La differenza tra quello che vorrebbe o vuole
il governo e quello che fa Telecom Italia è riconducibile al fatto che la
seconda è obbligata a prendere in considerazione i fattori rischio/rendimento
nelle proprie decisioni di investimento. Telecom Italia, essendo l’ex
monopolista pubblico e gestendo la rete telecom italiana (o quella di gran
lunga più importante), è chiaramente “speciale” e legata a un bene
particolarmente sensibile per lo sviluppo economico italiano. Come gruppo
privato, però, è obbligato, per esempio, a prendere in considerazione il fatto
che fare un investimento nel centro di Milano o in mezzo alla campagna non è la
stessa cosa in termini di costo/rendimento e che, in un settore così in
evoluzione, decidere un investimento con i tempi sbagliati può essere un errore
economico; per esempio, la tecnologia legata al rame oggi riesce a portare
molti più dati di quanto si potesse anche solo lontanamente immaginare dieci
anni fa.
Il governo che
“non vuole fare piani industriali”, ma vuole “portare il futuro” alla fine,
praticamente, ha bisogno di qualcuno che spenda miliardi e di qualcuno capace
di fare, fisicamente, gli investimenti a costi ragionevoli. Senza questi
elementi pratici, ma necessari, portare il futuro è un’utopia. Non è chiaro se
l’obiettivo sia avere una rete moderna estesa a tutti, o al maggior numero
possibile di italiani, oppure se l’obiettivo sia avere delle persone che aprono
buchi e li richiudono (e minore disoccupazione) oppure un mix di entrambe le
cose. In ogni caso non si può aspettare che Telecom faccia investimenti in
perdita oppure che “ceda” il proprio vantaggio competitivo oppure che chi la
possiede oggi, il primo azionista è Blackrock, si sacrifichi per l’interesse
nazionale italiano; per cui, per la cronaca, facciamo il tifo.
Se Telecom e
la rete sono strategiche e se l’assetto attuale non garantisce gli interessi
economici, giustissimi, italiani, si cerchi chiaramente una soluzione diversa
regolando il settore in modo differente. In questo momento Telecom Italia, e da
poco anche Enel, che sarebbe anche quotata è in balia di rumours, dichiarazioni
e iniziative poco chiare; ma soprattutto si sta perdendo un sacco di tempo
mentre l’azionariato di Telecom, come dimostrano le dichiarazioni di ieri di
Vivendi, appare meno stabile che mai.
Se oggi
Telecom avesse un azionista “vero”, magari internazionale, siamo sicuri che la
reazione alle “proposte”, più o meno “velate”, del governo sarebbe molto
diversa. Oggi il mercato è costretto ad avere a che fare con una girandola di
ipotesi sempre più fantasiose. Basterebbe essere più chiari e decisi
esplicitando la politica industriale, giusta, e i mezzi per perseguirla,
considerando che siamo in una fase in cui il governo inglese, secondo il Financial
Times, ha fatto intendere chiaramente (ma non pubblicamente…) al management
di BP e ad “alcune figure senior della city” che si opporrà a qualsiasi Opa su
BP e che vuole che il gruppo energetico rimanga un campione nazionale. Con
questo siamo sicuri che qualsiasi velleità avesse avuto il mercato su BP sia
finita.
Neanche a
Londra “il mercato” può passare sopra il campione nazionale del petrolio e
anche a Londra gli interessi strategici vengono prima del “mercato”. Il tempo
non è infinito e prima o poi, più prima che poi, l’opportunista Vivendi troverà
qualcuno a cui vendere.
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