- La legge è del
2004 e dice che ‘chiunque nella presentazione di un prodotto usurpa,
imita, o evoca una denominazione protetta è passibile di sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 2mila ad euro 13mila’.
Dieci anni dopo, esattamente dall’ottobre scorso,
dentro a questa legge che punta a tutelare i prodotti dotati di marchio
Dop o Igp, c’è finita anche la piadina romagnola che da quella data -
grazie alla battaglia sostenuta in particolare dalle associazioni
artigiane - ha ottenuto dall’Unione europea (con il beneplacito del
governo italiano) l’indicazione geografica protetta.
Paradossalmente, tra i primi, se non il primo in
regione a far le spese di questa tutela con la quale Bruxelles ha
imposto un rigido disciplinare a cui si deve attenere chiunque voglia
vendere ‘piadina romagnola’, c’è un agricoltore-commerciante di
Bagnacavallo che la piadina la fa da sempre come insegnano le azdore di
una volta e per giunta con grano a km zero, coltivato nel podere davanti
a casa e macinato a pietra nel mulino lì a fianco.
Come dire, che c’è di più tipico di una piadina
fatta al centro della Romagna con materie prime tutte romagnole?
Verrebbe da dire nulla. E invece, secondo la Forestale - che è bene
dirlo, non ha fatto altro che applicare alla lettera la legge italiana
recentemente rafforzata dalla normativa europea, la piadina di Sauro
Rossini, titolare dell’azienda agrituristica e fattoria didattica La
Rondine di Boncellino di Bagnacavallo, non ha i titoli per essere
venduta come ‘romagnola’.
Il rilievo da parte degli agenti del settore
Agroalimentare del Corpo Forestale di Ravenna risale al 21 aprile scorso
e per Rossini si è tradotto in una multa da 4mila euro. Quel giorno
l’imprenditore agricolo - che ha anche licenza per il commercio -
partecipava con il suo furgoncino per ‘street food’ al mercato
domenicale Madra, per la prima volta organizzato in piazza Kennedy in
occasione del convegno sull’Expo in corso a Palazzo Rasponi.
“Da anni frequentiamo i mercati con il nostro
chioschino artigianale - racconta - vendiamo le piadine che facciamo con
la farina frutto del nostro grano. E così stavamo facendo anche quella
domenica in centro a Ravenna quando si è presentata la Forestale e ci ha
detto che ci avrebbero multato perché non potevamo utilizzare il nome
‘piadina romagnola’”. All’esterno del chiosco, infatti, c’era un
cartello che pubblicizzava l’attività e il prodotto: “Un cartello che
usiamo da secoli e che - a nostro avviso - rispecchia fedelmente quello
che facciamo, ossia ‘la vera piadina romagnola’”.
Ma non per la Forestale, o meglio, non per
l’Unione Europea secondo la quale senza autorizzazione non è possibile
utilizzare il marchio Igp. Ma per essere autorizzati occorre, oltre che
pagare, anche fare un prodotto che rispetti il disciplinare e qui ecco
l’altro paradosso. Perché il disciplinare europeo non vincola i
produttori all’utilizzo di materie prime locali, limitandosi solo a
stabilire che debbano essere usati questi ingredienti - farina, acqua,
sale, grassi, lievito - e vietati conservanti, aromi e altri additivi.
Fatto sta che l’imprenditore agricolo
bagnacavallese, che la piadina la fa a km zero - “più tipica di così”
ribadisce - si è ritrovato tra le mani la salatissima multa. Dalla parte
dei produttori come Rossini, finito domenica anche davanti alle
telecamere di Report, stanno anche Slow Food, Confesercenti e
l’Associazione per la Valorizzazione della Piadina Romagnola, che hanno
raccolto migliaia di firme contro il marchio Igp.
Secondo questo fronte la vera piada romagnola è
quella preparata giornalmente nei chioschi e nei ristoranti dalle
sapienti mani delle azdore; prodotta tutti i giorni, manualmente e nel
rispetto della tradizione più autentica, con prodotti selezionati del
territorio. (AnC)
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