Economia, la sfida cinese all’egemonia Usa
L’obiettivo è sfidare l’egemonia economica americana costruita sin dalla fine della seconda guerra mondiale (vedasi Piano Marshall). Il piano d’azione è molteplice: in Asia, si affermano gli standard tecnologici cinesi su un numero crescente di paesi vicini (protocolli Internet, social networks, tecnologie di telefonia e comunicazione,…); sul piano globale, sempre nuove iniziative mirano a irrobustire il peso strategico della Cina. È una strategia di crescita “tranquilla”, di basso profilo; la dirigenza cinese sa che, almeno nel prossimo futuro, sarà impossibile sfidare gli americani sul piano della potenza militare e, anzi, l’egemonia militare americana fa comodo perché la crescita economica cinese, prima priorità dei dirigenti di Pechino, necessita di un quadro globale di stabilità.
Altra importante iniziativa economica, che sta molto a cuore al Presidente Xi Jinping, è la New Silk Road, un progetto di rete infrastrutturale ed energetica fra Cina ed Europa, con un ambizioso piano che prevede il coinvolgimento di nazioni in Asia centrale, Medio Oriente e Africa Orientale. Un collegamento viario-ferroviario congiungerà la città di Xian, situata nella Cina occidentale, a Rotterdam; attraverserà i paesi ex sovietici dell’Asia centrale (Kazakhstan, Uzbekistan) e passerà per Iran, Turchia, Balcani e Germania.
Una rotta marittima, invece, partirà dalla città costiera di Quanzhou, nel sud della Cina, per giungere nel Mediterraneo in Grecia e a Venezia. La rotta attraverserà lo stretto di Malacca e interesserà i porti di Kuala Lumpur, Calcutta, Colombo e Nairobi per poi transitare per il Mar Rosso ed il Canale di Suez. La costruzione e l’ampliamento di porti e ferrovie sarà finanziata dai cinesi con la loro moneta, il renminbi, cominciando così anche il processo di affermazione internazionale di tale divisa, accanto al dollaro e all’Euro.
La competizione economica tra Cina e Stati Uniti si gioca in modo evidente nell’ambito degli accordi di libero commercio; agli americani che propongono la Trans Pacific Partnership, con l’adesione di paesi quali Canada, Messico, Giappone, Vietnam, Malesia, Australia e di fatto escludendo la Cina, i cinesi rispondono con la propria Regional Economic Comprehensive Partnership, cui hanno aderito il Giappone, l’India, la Corea del sud e paesi dell’Asean.
Più in generale, laddove l’influenza politica di Pechino in Asia è ancora abbastanza limitata (Laos, Cambogia e Mongolia), i volumi commerciali cinesi – primo partner economico di Giappone, Corea del Sud e Australia – potrebbero avere un peso determinante nell’orientare le politiche dei paesi asiatici e del bacino del Pacifico. Molti prevedono che, nel giro di qualche tempo, paesi quali la Corea del Sud e la Thailandia si allontaneranno dai tradizionali alleati americani in favore di Pechino. Gli Stati Uniti hanno compreso la portata della sfida cinese; la strategia americana del “ribilanciamento verso l’Asia” , lanciata da Hillary Clinton nel 2011, ha una importante componente militare: i marines hanno una nuova base a Darwin in Australia, navi militari americane stazionano a Singapore con continuità, e paesi come Indonesia, Vietnam e Filippine hanno adesso accesso a tecnologie e materiali bellici di fabbricazione americana.
Insomma, una partita in pieno svolgimento, destinata a modificare gli equilibri non soltanto economici, ma anche politici e militari, nel continente asiatico.
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