Corruzione: Cantone, chiacchiere da evitare
Non ho dubbi di sorta - per quello che può contare l’opinione di un vecchio cronista - sul fatto che la nomina di Raffaele Cantone alla guida della neonata Autorità anti-corruzione rappresenti uno dei fatti più positivi dell’ultimo anno e che il lavoro suo e della sua équipe sia un concreto passo avanti sulla strada minata del ristabilimento della legalità in un Paese capillarmente inquinato dalla corruzione.
Proprio per questo ho invece seri dubbi sul fatto che il commissario anti-corruzione debba comparire quasi quotidianamente sui giornali, sulle tv e su altri organi di informazione con interventi, chiarimenti, messe a punto.
A me pare insomma che in un anno si stia producendo una “sovraesposizione mediatica” del presidente Cantone. La quale non è destinata a giovare a lui né alla missione di «vigilare per prevenire la corruzione creando una rete di collaborazione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche e al contempo aumentare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, riducendo i controlli formali, che comportano tra l’altro appesantimenti procedurali, ecc.». Compito strategico in uno dei Paesi sviluppati più invasi da corruttori e corrotti e che richiede il massimo di concentrazione: di energie, di mezzi, di apparati tecnici.
Cantone stesso ha più volte rilevato come il sistema dei controlli amministrativi sia stato smantellato. Nella prima fase della Repubblica c’erano le Giunte Provinciali Amministrative (Gpa) che operavano un esame preventivo spesso anche “politico” delle deliberazioni più importanti di Comuni e Provincie, facendo perno sui Prefetti. Era lo Stato “verticale”. Poi sono nati nel 1971 i Comitati Regionali di Controllo (Co.re.co) sugli atti degli Enti locali, all’origine prevalentemente tecnici, poi via via sempre più “occupati” da ex politici e quindi resi inutili. Tanto che nelle Regioni e negli Enti locali ne sono successe di tutti i colori essendo i controlli delle Corti dei conti successivi. Col Titolo V della Costituzione si è creato lo Stato “orizzontale”: via i controlli, Regioni ed Enti locali dovevano sostanzialmente autocorreggersi e invece hanno finito per dare libero corso all’uso più disinvolto del denaro pubblico, fino alle spese “pazze” più grottesche. Intanto, con la elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione, si erano largamente svuotate di poteri le assemblee elettive e con esse era venuto meno il controllo politico interno esercitato dalle opposizioni (concetto quest’ultimo sempre più evanescente). Lo stesso presidente emerito della Corte dei Conti, Manin Carabba, ha sottolineato «lo stato terribile di vacuità e di perdita di peso dei Consigli regionali» (dai quali sono venuti i piatti più maleodoranti) e «il totale svuotamento dei consigli comunali».
Ha senso allora che il presidente dell’Autorità anticorruzione in pieno caso Bindi-De Luca critichi, in maniera, certo, argomentata, minuziosa, la presidente dell’Antimafia? Giudizio critico che mi permetto di condividere e che però da parte sua non suona opportuno, istituzionalmente. Così come fornire un parere, in altra intervista, su eventuali modifiche alle legge Severino, per poi dover respingere il sospetto che le stesse avvantaggino il neo-eletto e contestato De Luca.
Va benissimo che, di fronte allo Sblocca-Italia che riprende le linee delle leggi-obiettivo, l’Autorità definisca “criminogeno” il meccanismo del General Contractor fonte oggettiva di ogni corruzione. Ma, di fronte a casi politicamente delicati, in fieri, un soggetto terzo come l’Autorità deve davvero entrare nel dibattito di giornali e tv? Da cronista di lungo corso - che ha visto cadere tante attese di legalità venendo dall’Italia della
ricostruzione e del primo centrosinistra indubbiamente migliori di quella più recente - penso di no. Raffaele Cantone stesso e il lavoro dell’Anac sono troppo importanti perché si debba rischiare di vederli logorare nel solito “chiacchiericcio” assordante.
http://iltirreno.gelocal.it/italia-mondo/2015/06/14/news/corruzione-cantone-chiacchiere-da-evitare-1.11613279
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