10/06/2015
Da CL a Mafia Capitale. Affari, opere e miracoli della
Cascina
Da un gruppo di
studenti al colosso con 7mila dipendenti. La buvette del Senato e le mense
scolastiche. Oggi l’indagine sul business dei migranti
La
sede della coop La Cascina (Fattorini/Linkiesta)
Viene citata 167 volte nell’ordinanza di custodia cautelare
di Mafia Capitale Bis. La Cooperativa “bianca” La Cascina è al centro delle
cronache giudiziarie. La sede di Roma, un imponente palazzo a vetri in zona Tor
Vergata, è stata perquisita dai carabinieri. Arrestati quattro manager.
L’amministratore delegato del Gruppo Salvatore Menolascina, l’ad della
cooperativa di lavoro La Cascina Domenico Cammisa, il vicepresidente Francesco
Ferrara e Carmelo Parabita, componente del cda de La Cascina Global Services.
Tutti si erano già dimessi a dicembre, spiegano dal coop. «I provvedimenti
non riguardano in alcun modo reati di mafia». Nell’occhio del ciclone i
rapporti con Luca Odevaine e il business dell’accoglienza dei migranti per il
CARA di Mineo. Secondo il gip i quattro avrebbero promesso all’ex
collaboratore di Veltroni una retribuzione di 10mila euro mensili, aumentata a
20mila dopo l’aggiudicazione del bando di gara del 7 aprile 2014 «per la
vendita della sua funzione». Turbativa d’asta, pressioni, bandi di gara
concordati. Odevaine avrebbe orientato le scelte del Tavolo di Coordinamento
Nazionale sull’accoglienza «al fine di creare le condizioni per l’assegnazione
dei flussi di immigrati alle strutture gestite dal gruppo La Cascina». Un colpo
duro per una delle più grandi realtà cooperative in Italia. Ristorazione, mense
scolastiche e ospedaliere, pulizie e turismo. La Cascina è un colosso da 7600
dipendenti con 364 milioni di euro di ricavi, 37 milioni di pasti
erogati ogni anno e 12mila persone curate ogni giorno attraverso i servizi
socio-assistenziali.
L’irresistibile
ascesa comincia nel 1978, quando un gruppo di universitari di Comunione e
Liberazione dà vita alla cooperativa. L’obiettivo è quello di fornire un
sostegno ai fuorisede. «Siamo nati abbastanza casualmente - spiegava nel 1987
Giampaolo Gualaccini, uno dei fondatori - siccome le mense universitarie
pubbliche non funzionavano mai, erano sempre chiuse e si mangiava malissimo, un
gruppo di universitari ha cominciato a preparasi il pranzo e la cena da soli
facendo dei turni. Poi si sono accorti che questo problema del mangiare in modo
decente non era solo loro ma riguardava anche tutti gli altri loro amici
universitari». La realtà si ingrandisce, arrivano appalti. L’idea è quella
dell’impegno cristiano nella società. L’amicizia che si concretizza nelle opere
sociali. Don Giacomo Tantardini, carismatica guida dei ciellini romani
nonché amico di Josè Mario Bergoglio, diventa il punto di riferimento per
quell’esperienza. «Era il 24 ottobre 1978 - raccontava il presidente del gruppo
La Cascina Giorgio Federici - quando don Giacomo Tantardini, nostro amico
sacerdote, chiese ad alcune mamme degli studenti universitari romani di
cucinare per gli studenti fuorisede. Il Cardinale Luciani, condividendo lo spirito
dell’iniziativa, donò alla cooperativa La Cascina 70mila lire per
favorirne la realizzazione».
L’opera
sociale cresce e si espande, dà fastidio ai poteri consolidati e agli ambienti
del PCI, ma gode di amicizie importanti come quella del diccì Vittorio Sbardella
Per
anni La Cascina, ricorda chi l’ha frequentata, equivaleva a Comunione e
Liberazione. Un impegno militante. Raccontano di don Giacomo ai consigli
d’amministrazione. Sempre più ragazzi trovano un posto di lavoro nella coop,
imparano un mestiere. L’opera sociale cresce e si espande, dà fastidio ai
poteri consolidati e agli ambienti del PCI, ma gode di amicizie importanti come
quella del diccì Vittorio Sbardella, luogotenente di Giulio Andreotti a
Roma. Proprio Sbardella, insieme al leader laico di CL Giancarlo Cesana,
presentò nel 1989 al Meeting di Rimini il libro “Il
gigante e la cascina”. «Il cristianesimo - spiegava Cesana in quell’occasione -
si traduce in un'opera, che è l’espressione del lavoro dell’uomo in cui si vede
l’ideale dell’uomo. La nostra è stata una iniziativa concreta di risposta ai
problemi delle persone che si incontravano nell’università».
Opere
sociali ma anche affari e politica. Qualcosa si mischia, non tutto si conserva.
Sono gli anni d’oro per l’ascesa di Comunione e Liberazione nella società. Il
peso culturale e religioso procede insieme a quello politico-economico. Ma sono
anni complessi, le tensioni non mancano. Uno dei manager storici della Cascina
è stato Marco Bucarelli, arrestato nel marzo del 1993 con l’accusa di
aver obbligato un imprenditore a sottoscrivere le azioni del settimanale vicino
a CL Il Sabato, minacciando altrimenti di compromettere alcune commesse.
A margine del suo soggiorno a Regina Coeli, mille giovani ciellini si riunirono
a pregare per lui alla basilica di Santa Maria Maggiore. Altri tremila, a
Milano, fecero una messa a Sant’Ambrogio. «Si può stare in prigione avendo il
volto dei santi, si è disperati soltanto senza la grazia di Dio», l’omelia
romana di don Giacomo Tantardini. Amministratore delegato della Cascina fu
anche Raffaello Fellah, esponente di spicco della Comunità Ebraica, già
consigliere di Arafat e amico di Andreotti, che nel 1999 si candidò alle europee
sostenuto dai voti di Comunione e Liberazione. C’era anche La Cascina. Ne dava
conto Stefano Di Michele sull’Unità: «Bucarelli
ha inviato una lettera, allegata alla busta paga, a tutti i soci
residenti nel collegio elettorale. “Una richiesta di aiuto in un momento
cruciale nella vita della nostra cooperativa. La vittoria di Raffaello Fellah,
nostro collega e consigliere di amministrazione de La Cascina, rappresenta la
vittoria della Cascina”».
Negli
anni la coop si è ramificata in tutta Italia. Commesse importanti, fatturati
che lievitano. Nel mezzo un’inchiesta sui cibi avariati nelle mense, chiusasi
con l’assoluzione degli imputati. «Sfortuna vuole - ricorda Sergio Rizzo nel
libro “Rapaci” - che quel fatto si verifichi pochi mesi dopo che la cooperativa
aveva vinto la gara per la buvette del Senato». È il settembre del 2002 quando La
Cascina varca le soglie di Palazzo Madama. L’inchiesta è di aprile 2003. I
senatori rumoreggiano. Qualcuno fa polemica per la qualità, altri per la
sicurezza. Il socialista Ottaviano Del Turco, tra le altre cose, annota:
«Quando è arrivato il nuovo gestore, sono comparsi nella buvette del Senato
tavoli che sembravano trafugati da una stazione delle Ferrovie dello Stato di
seconda classe». Nell’ottobre 2003 arriva l’accordo per la rescissione consensuale del contratto. Pazienza.
La Cascina, che ha gestito anche la buvette del Campidoglio, è leader in
molti settori, ha preso commesse in giro per l’Italia. Dalla manutenzione del
verde alla logistica, dalla ristorazione al turismo. Una reputazione da prima
della classe, mille impianti di produzione e distribuzione. Ma la Cascina
controlla anche le coop Domus Caritatis, Tre Fontane, Osa Mayor e Mediterranea.
Si occupano di emergenza abitativa, minori e immigrati. Proprio il
vicepresidente della Domus Caritatis Tiziano Zuccolo è finito agli arresti
nell’ambito di Mafia Capitale.
La
buvette del Senato e quella del Campidoglio, ma anche emergenza abitativa,
minori e immigrati. La Cascina si è ramificata in tutta Italia con commesse
importanti e fatturati che lievitano
Nel
2010 il giudice monocratico del tribunale di Bari condanna a pene comprese tra
i sei mesi e i due anni e mezzo di reclusione 17 persone tra cui i vertici
romani e baresi de La Cascina per i reati di truffa e frode nelle pubbliche
forniture. Nella lista dei condannati in primo grado c’è anche
l’amministratore delegato Salvatore Menolascina, oggi ai domiciliari per Mafia
Capitale. Scoppiata nel 2003, l’indagine riguardava appalti contestati per il
confezionamento di pasti in ospedali e scuole del barese. Dalla Cascina
spiegano di aver vinto la parte civile e i procedimenti con le amministrazioni
che volevano rivalersi dopo quella vicenda. I reati sarebbero caduti in
prescrizione ma la coop ha deciso di tenere in piedi il processo per arrivare
fino in fondo. Il nome della Cascina torna nelle carte dell’inchiesta sulle
grandi opere e il sistema Incalza. Fino ad arrivare a Mafia Capitale, con il
business dei migranti, gli arresti eccellenti e il clamore mediatico. Agli atti
anche diverse interlocuzioni con Salvatore Buzzi e le sue coop. Secondo il gip,
i quattro dirigenti della Cascina «commettono plurimi episodi di corruzione e
di turbativa d’asta spalmati nell’arco di tre anni, dal 2011 al 2014, e ciò
rivela una spiccata attitudine a delinquere».
Sui
giornali la sigla che ricorre è quella di «cooperativa bianca», «vicina
a CL». Le intercettazioni fanno il giro delle televisioni, i riflettori
lambiscono la megasede di Tor Vergata. Da tempo, racconta chi ha frequentato la
coop, La Cascina non è più collaterale a Comunione e Liberazione. O almeno non
come una volta, con quell’esercito cristiano al servizio delle opere guidato da
don Giacomo Tantardini (morto nel 2012). L’impegno di molti uomini del
Movimento si è diradato, fino ad affievolirsi con l’ingresso dei “pugliesi”
ai vertici della cooperativa. «Abbiamo dipendenti di tutte le religioni e di
tutte le estrazioni anche in posizioni apicali, gente che CL non sa nemmeno
cosa sia», spiegano da Tor Vergata. Le ricostruzioni mediatiche si aggrappano a
periodi storici superati. Resta il fatto che La Cascina è stata sponsor della
scorsa edizione del Meeting di Rimini, con tanto di stand allestito in Fiera. A
ottobre 2014 in cooperativa è entrato anche Emanuele Forlani, storico capo segreteria
del ciellino Maurizio Lupi. Proprio l’ex ministro delle Infrastrutture
conosce bene Salvatore Menolascina, con cui non sono mancati incontri e
telefonate, alcuni finiti nel calderone dell’inchiesta sul sistema Incalza.
Dalla
coop spiegano: «I dirigenti coinvolti si sono dimessi a dicembre, nei verbali
redatti dopo la perquisizione della sede non è emersa alcuna documentazione
d’interesse investigativo»
Oggi
intorno alla coop regna la prudenza, ma anche «unità e solidarietà» tra i quasi
8mila dipendenti. Il lavoro continua e non potrebbe essere altrimenti, in ballo
ci sono molte famiglie. È il presidente Giorgio Federici a vergare un comunicato. «I provvedimenti che hanno
interessato alcuni dirigenti non riguardano in alcun modo i reati di mafia, il
fulcro degli addebiti mossi nei confronti de La Cascina riguarda il CARA di
Mineo, a tal riguardo è ferma convinzione della Cooperativa che le procedure di
affidamento si siano svolte nel pieno rispetto della normativa vigente». E
ancora: «La Cascina conferma il proprio impegno per la tutela della qualità dei
servizi resi ed attesta la quotidiana passione profusa dalle migliaia di
lavoratori che hanno reso la cooperativa uno dei gruppi imprenditoriali di
maggior rilievo nel territorio nazionale». Il management della coop aggiunge
alcuni elementi: «Da dicembre i dirigenti coinvolti si sono dimessi da
ogni incarico, noi siamo i primi a volere che la giustizia faccia il suo corso.
Nei verbali redatti all’esito dell’attività di polizia giudiziaria non è emersa
“alcuna documentazione d’interesse investigativo” confermando l’assenza
di rapporti economici, commerciali o di ogni altro genere con le società
facenti riferimento a Buzzi o Odevaine».
http://www.linkiesta.it/la-cascina?utm_medium=email&utm_source=Moxiemail%3A9237+Nessuna+cartella&utm_campaign=Moxiemail%3A22182+Linkiesta++Recap+-+Questioni+morali+e+materiali
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