Società
Di Family Day e
distruzione della famiglia
Società
Ha fatto molto discutere,
in questi giorni, il
“Family Day” a Roma. Si è trattato, come è noto, di una manifestazione
contro il ddl Cirinnà,
che equipara il matrimonio costituzionale a quello tra persone dello stesso
sesso. E tra hashtag pro e contro
(#familygay, #chiconoscenonhapaura, ecc.) si è consumato l’ennesimo scontro in
salsa italiana tra tifoserie contrapposte.
Non è mio interesse
parteggiare per l’uno o per l’altro dei movimenti. Mi interessa, piuttosto,
comprendere un ben più profondo fenomeno, che è oggi in atto, e che – ho
cercato di argomentarlo nel mio studio Il
futuro è nostro (2014) – coincide con la distruzione capitalistica della famiglia.
Credo, infatti, che il modo migliore per impostare la questione, evitando
accuratamente le “tifoserie”, consista nel comprendere, con Marx, il movimento
della storia reale: e la storia reale ci insegna che la logica di sviluppo del
capitale, negli ultimi cinquant’anni, è stata quella di un progressivo
superamento di ogni limite reale e simbolico in grado di opporre resistenza all’estensione
onnilaterale della forma merce a ogni ambito della realtà e del pensiero.
Tra gli ostacoli che il
capitale mira ad abbattere vi è, anzitutto, la comunità degli individui
solidali che si rapportano secondo criteri esterni al nesso mercantile del do ut des. Il capitale aspira, oggi più
che mai, a neutralizzare ogni comunità
ancora esistente, sostituendola con atomi isolati incapaci di
parlare e di intendere altra lingua che non sia quella anglofona dell’economia
di mercato.
La stessa distruzione
della famiglia che si sta oggi verificando con intensità sempre crescente si
inscrive in questo orizzonte. Se la famiglia comporta, per sua natura, la
stabilità affettiva e sentimentale, biologica e lavorativa, la sua distruzione
risulta pienamente coerente con il processo oggi in atto di precarizzazione delle esistenze.
Il fanatismo economico
aspira a distruggere la famiglia, giacché essa – Aristotele docet, e con lui anche Hegel– costituisce la prima forma di
comunità ed è la prova che suffraga l’essenza naturaliter comunitaria dell’uomo. Il capitale vuole vedere
ovunque atomi di consumo, annientando ogni forma di comunità solidale estranea
al nesso mercantile.
Ecco allora che l’odierna
difesa delle coppie omosessuali
da parte delle forze progressiste non ha il proprio baricentro nel giusto e
legittimo riconoscimento dei diritti
civili degli individui, bensì nella palese avversione nei confronti della famiglia
tradizionale e, più in generale, di tutte le forme ancora
incompatibili con l’allargamento illimitato della forma merce a ogni ambito
dell’esistenza e del pensiero.
Il neoliberismo oggi
dominante è un’aquila a doppia apertura alare: la “destra del denaro” detta le
leggi strutturali, la “sinistra del costume” fornisce le sovrastrutture che le
giustificano sul piano simbolico. Così, se la “destra del denaro” decide che la
famiglia deve essere rimossa in nome della creazione dell’atomistica delle
solitudini consumatrici, la “sinistra del costume” giustifica ciò tramite la
delegittimazione della famiglia come forma borghese degna di essere
abbandonata, silenziando come
“omofobo” chiunque osi dissentire.
Chi, ad esempio, si ostini
a pensare che vi siano naturalmente uomini e donne, che il genere umano esista
nella sua unità tramite tale differenza e, ancora, che i figli abbiano secondo
natura un padre e una madre è immediatamente ostracizzato con l’accusa di
omofobia. La categoria di omofobia non fa valere soltanto una giusta presa di
posizione contro l’intolleranza di chi non rispetta le differenze: diventa essa
stessa una nuova categoria
dell’intolleranza, con cui non si accetta l’esistenza di
prospettive diverse. È, per dirla con Orwell, una categoria con cui si punisce
lo “psicoreato” di chi osi violare l’ortodossia del politicamente corretto.
Alla luce di quanto detto,
valgano, per quel che riguarda lo scontro tra difensori della famiglia e suoi
detrattori, le parole del 1984
di Orwell: “Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il malcontento (il che,
talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi perché privi
com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su
rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere
consapevolezza dei problemi più grandi”.
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