La moneta unica non ha unito l'Europa
Sono ritornate le turbolenze sui mercati in particolare sulle borse europee e sul comparto obbligazionario. Hanno inciso i timori (a nostro avvisto abbastanza infondati) di una rapida ripresa del tasso d’inflazione in Europa; l’ipotesi che la Federal Reserve aumenti presto i tassi e, soprattutto, il lento ed incerto evolversi della crisi greca.
E’ evidente che tra Governo greco e vertici europei vi è un pericoloso “tira e molla”. Le trattative sono andate ben oltre i tempi previsti. In Grecia continuano intanto i prelievi dalla banche (la “fuga dei depositi”). Nell’immediato, è probabile che un accordo sulla vicenda greca possa contribuire a rasserenare in parte il clima. Un accordo a breve non vuol dire raggiungere la soluzione definitiva del problema greco (il debito greco ha superato il 170% del PIL). Ma determinerebbe un segnale di tregua sui mercati. “La soluzione greca” tuttavia è sempre più una decisione politica.
Cosa può portare ad una soluzione al tavolo negoziale dove vi è una seria situazione di stallo? Un alleggerimento delle richieste dei creditori (l’impatto nel breve termine sarebbe più assorbibile per la già esangue economia greca) oppure la minaccia della BCE di porre un termine al programma di sostegno di liquidità alle banche greche, l'Emergency liquidity assistance (Ela). Ciò produrrebbe un controllo dei capitali e avrebbe un forte impatto politico, determinando una sorta di “effetto Cipro”. E’ una ipotesi molto drastica e verrebbe utilizzata dalla BCE come deterrente di ultima istanza.
Quello che sta succedendo in Grecia dimostra, tuttavia, due evidenze: innanzitutto le politiche di austerità della troika non hanno funzionato. Lo ha addirittura constatato nel 2013 il Fondo Monetario Internazionale. I tagli drastici non hanno determinato nessuna ripresa economica.
Ma la crisi greca mette a nudo una questione ancora più importante, una questione nevralgica, che dimostra come le fondamenta dell’eurozona siano fragili. L’adozione della moneta unica europea non ha portato alla convergenza delle economie. Questo dato è emerso, con tutta la sua durezza, in modo forte e chiaro: cade pertanto uno dei pilastri del sogno europeo. Basti guardare i differenziali dei tassi di disoccupazione dei singoli Paesi europei.
Nel 1990 venne pubblicato -sulla rivista della Direzione generale per gli affari economici e finanziari della Commissione Europea - lo studio “One money, one market” di Daniel Gros and Jean Pisani-Ferry: l’unione monetaria avrebbe portato ad un solo grande mercato. Oggi, molti anni dopo, sappiamo che la moneta unica non ha determinato “la convergenza delle economie”. Anzi ha determinato uno status quo opposto ai desiderata dei fondatori: l’egemonia della Germania. Quello che sta avvenendo in Europa dimostra che le decisioni arrivano solo rispecchiando i rapporti di forza: la direzione delle decisioni prese è determinata dalla Germania.
Parlare solo di Grecia nasconde i grandi squilibri dell’eurozona, la mancanza di giochi cooperativi tra i singoli stati e distoglie l’attenzione da un aspetto fondamentale: l’enorme surplus commerciale tedesco. Ci siamo trovati di fronte ad una unione monetaria in cui è successo che mentre alcuni paesi erano in pesante recessione altri sfioravano la piena occupazione. Mancano nell’area euro dunque politiche di compensazione dei diversi cicli economici
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