Perché la Cina ora punta su Intesa, Unicredit e Mps. Parla Forchielli
La Banca centrale della Repubblica Popolare Cinese, People’s bank of China, ha aumentato la propria presenza in Italia
entrando nel capitale di due delle principali banche del Paese:
Unicredit e Monte dei Paschi di Siena; e negli scorsi si era affacciata
in Intesa Sanpaolo. Una circostanza che segue gli investimenti fatti in
altre realtà strategiche della Penisola e che avviene in momento
delicato per Pechino, alle prese con una bolla finanziaria.
Quali sono le mire di Pechino? E quanto è alta la possibilità che i problemi sulle borse cinesi contagino i mercati occidentali?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Alberto Forchielli, socio fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo, e Osservatorio Asia, centro di ricerche non-profit.
Forchielli, perché la Cina ora investe anche nelle banche italiane?
Non è un investimento mirato alle banche. La banca centrale cinese,
People’s Bank of China, ha in portafoglio partecipazioni di tutte le
principali aziende del mondo. Tuttavia di solito, come avevamo già raccontato su Formiche.net,
adotta un basso profilo, tenendosi sempre al di sotto della soglia da
dichiarare pubblicamente. In Italia invece, dove la soglia è il 2
percento, Pechino continua a fare investimenti che la superano di
pochissimo: Fca (Fiat), Prysmian, Eni, Enel e Telecom in passato, Mps e
Unicredit oggi. Ciò vuol dire che vuole farsi notare.
Quali sono i veri obiettivi, economici, finanziari e
geopolitici, di queste operazioni non solo in Italia ma in Europa su
reti e banche?
C’è una valenza di posizionamento geostrategico e di espansione
dell’influenza nazionale, non v’è dubbio. Si parla spesso di Via della
Seta, ad esempio. La Cina ha poi un grande problema di liquidità: i
consumi sono bassi, ha bisogno di reinvestire una grande massa di denaro
e lo fa anche così. Ma il loro è innanzitutto un messaggio sia di
amicizia, sia di potere. Nella loro testa gesti come questi, che
comportano un investimento minimo, dovrebbero rendere la Cina più amata
nel nostro Paese. Le ultime ricerche di società autorevoli come Pew
sostengono che il 70% degli italiani vede di cattivo occhio Pechino. Una
percentuale altissima, superiore a quella di tutti i Paesi occidentali.
Questa strategia funziona?
Con l’opinione pubblica non saprei, sicuramente funziona con i media
italiani, sempre meno disponibili a raccontare criticamente le vicende
che riguardano la Repubblica Popolare Cinese, come nel caso del mega
riciclaggio “di Stato” sollevato da me già un anno fa.
Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersene. I più accorti hanno
lasciato quei mercati da tempo, in attesa di tempi migliori. Nei giorni
scorsi, il governo cinese ha fatto di tutto per ricondurre la situazione
alla normalità, senza però riuscirci. E la cosa inedita è proprio
questa: per la prima volta i vertici della politica di Pechino sono
stati sconfitti dalla finanza.
Questo che segnale è?
È innanzitutto il segnale di un Paese che cambia e che diventa
intrinsecamente capitalista e mette il denaro in cima alle proprie
priorità.
Secondo alcuni analisti, una delle cause di questa bolla
finanziaria è che Pechino investe troppo poco in economia reale e più
nel mercato azionario.
Non condivido questa lettura. Investono anche troppo in economia
reale. Il problema è che consumano pochissimo e soffrono di un eccesso
di investimenti anche nel mercato azionario, dove si è spostata
l’attenzione dopo il crollo del mercato immobiliare. Nei prossimi anni
assisteremo a un esodo epocale di soldi cinesi, che non trovano sfogo
interno.
Che effetti avrà questa bolla in Cina e in Occidente?
La vera conseguenza è politica: questa situazione ha spiazzato il
governo, che la vive come uno smacco e, data la chiusura del mercato
cinese, non può nemmeno essere addossata ad altri. Ma non credo che ci
sarà qualche effetto reale sull’economia cinese. Non è come in America,
dove l’andamento delle borsa sposta i consumi. Per la stessa ragione si
può star tranquilli: nemmeno da noi ci saranno riverberi.
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