Il rapporto ONU sui crimini di guerra durante l’attacco a Gaza
Ad un anno di distanza dall’operazione
Barriera Protettiva, un’analisi del Rapporto ONU illustra le violazioni
commesse da Israele
Di Richard Falk. The Palestine Chronicle (06/07/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.
Esattamente un anno fa, per 51 giorni –
dal 7 luglio al 26 agosto – Israele lanciava il terzo grande attacco
militare su Gaza degli ultimi sei anni. “Barriera Protettiva” – questo
il nome dato all’operazione dalle Forze di Difesa Israeliane – ha
causato tra i palestinesi 2.251 morti, di cui 1.462 civili, 299 donne e
551 bambini, e 11.231 feriti. Sono state distrutte 18.000 abitazioni e
circa 500.000 palestinesi sono stati costretti a sfollare. Il blocco
israeliano ha impedito la normale ripresa, prolungando le sofferenze
patite dalla popolazione di Gaza. L’entità delle perdite palestinesi e
il confronto con quelle israeliane (73 morti, di cui 67 militari, e 1600
feriti) suggeriscono che il carattere essenziale di questa impresa
israeliana era fare “terrore di Stato” contro la popolazione di Gaza nel
suo complesso – conclusione rafforzata dalle provocazioni di Israele il
mese prima dell’attacco e dal rifiuto del suo governo difronte alle
proposte di un cessate il fuoco a lungo termine sotto la supervisione
internazionale avanzate da Hamas.
Questa impressione unilaterale degli
eventi non è riportata dal molto atteso Rapporto ONU della Commissione
d’Inchiesta istituita dal Consiglio dei Diritti Umani per indagare sulle
violazioni durante l’operazione Barriera Protettiva. Il rapporto si
sforza di essere “equilibrato”, elencando attentamente le violazioni di
Israele e quelle dei “gruppi armati palestinesi”, generando nel lettore
la sensazione profondamente errata che siano entrambi parimenti
responsabili di comportamenti illegali.
Aldilà di quello che potrebbe risultare
un linguaggio eccessivamente cauto, una lettura onesta del Rapporto
sostiene 3 importanti conclusioni:
- i presunti sforzi di Israele di
proteggere la popolazione civile di Gaza sono stati ampiamente
insufficienti dal punto di vista del diritto internazionale umanitario e
probabilmente hanno costituito crimini di guerra;
- le tattiche militari impiegate da
Israele sono state “il riflesso di una politica più ampia, approvata
almeno tacitamente dai piani alti del governo”;
- l’attenzione della Commissione era
concentrata sulle vittime civili piuttosto che su una blanda
accettazione di argomenti basati sulla “necessità militare” o sulla
“guerra asimmetrica”.
La Corte Penale Internazionale ha
avviato, su richiesta della Palestina, un’inchiesta sulla criminalità di
Israele. Che possa assicurare alla giustizia eventuali fautori di
politiche criminali è estremamente improbabile in quanto Israele, da
non-membro del Trattato di Roma, denuncerà il tentativo e rifiuterà ogni
forma di collaborazione. Ciononostante, anche solo la prospettiva di
rinvii a giudizio e mandati di cattura costituisce una sfida al modo in
cui Israele si approccia a Gaza e ai palestinesi in generale.
Nel Rapporto ci sono altri importanti
elementi degni di nota. Per la prima volta viene specificato il
contesto, facendo riferimento al blocco di Gaza come “punizione
collettiva contro la popolazione” e come parte integrante nella
valutazione dell’impatto delle ostilità da parte di Israele. Il Rapporto
tiene anche conto del fatto che i palestinesi soffrono “un’occupazione
prolungata” e che le prospettive di pace sono assenti – in un contesto
diplomatico in cui Israele insiste nel trattare Hamas come un’entità
terroristica.
Il Rapporto di basa su una metodologia di
interpretazione ragionevole del diritto internazionale consuetudinario
in riferimento a tre principi: distinzione (limitare gli attacchi ad
obiettivi militari separati e distinti); proporzionalità (evitare un uso
della forza sproporzionato al valore dell’obiettivo); precauzione
(adottare misure ragionevoli per evitare morti civili e distruzione).
Nelle conclusioni e raccomandazioni ci
sono diversi appelli ad una maggiore vigilanza sulle violazioni del
diritto internazionale, rilevante affinché l’esperienza
di Barriera Protettiva non si ripeta. Un forte accento è stato posto
sul superamento dell’impunità rispetto a tali crimini, in particolare
sul fatto che “Israele deve rompere col suo deplorevole record di
criminali”. C’è anche una richiesta specifica di sostenere il lavoro
della Corte Penale Internazionale e di entrare nel Trattato di Roma.
Nonostante l’equilibrio, il Rapporto è
stato attaccato da Israele e dagli Stati Uniti in quanto non obiettivo e
la sua presentazione al Consiglio dei Diritti Umani boicottata.
Se la lotta palestinese avanzerà, ciò
dipenderà dall’attivismo della società civile e non dalle politiche dei
governi o dall’attuazione da parte dell’ONU delle raccomandazioni
contenute nel presente Rapporto. Al tempo stesso, è importante che la
Commissione d’Inchiesta abbia documentato le accuse con prove elaborate e
legittimi le tattiche coercitive della resistenza palestinese e la
militanza nonviolenta del movimento di solidarietà globale.
Richard Falk è
professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton
e reporter speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei
palestinesi.
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