Bolivia
Papa Francesco: «Abbiamo bisogno
di un cambiamento: si metta l’economia al servizio dei popoli»
Il discorso del Pontefice a Santa Cruz per
l’incontro mondiale dei movimenti popolari. L’appello: modificare il
sistema che «ha imposto la logica del profitto ad ogni costo»
di Gian Guido Vecchi, inviato a Santa Cruz (Bolivia)
«Nei
vari incontri, nei diversi viaggi, ho trovato che esiste un’attesa, una
ricerca forte, un desiderio di cambiamento in tutti i popoli del mondo…
Il tempo, fratelli e sorelle, il tempo sembra che stia per giungere al
termine». Il discorso che Papa Francesco ha scritto di suo pugno per
l’incontro mondiale dei movimenti popolari è rivolto «a tutta
l’umanità». Un intervento che parla di «economia comunitaria, direi di
ispirazione cristiana» ed è destinato a segnare la storia del suo
pontificato: «Diciamolo senza timore: abbiamo bisogno e vogliamo un
cambiamento, un vero cambiamento, un cambiamento redentivo. Questo
sistema non regge più». Giovedì pomeriggio, la notte in Italia.
Bergoglio è seduto accanto al presidente Evo Morales che gli dice:
«Benvenuto, hermano Francisco». È il discorso più atteso del pontefice
nel viaggio di otto giorni tra Ecuador, Bolivia e Paraguay. Le cose non
vanno, nel pianeta, e bisogna riconoscerlo: «Contadini senza terra,
famiglie senza casa, lavoratori senza diritti, persone ferite nella loro
dignità», e ancora «guerre insensate, violenza fratricida» e «il suolo,
l’acqua, l’aria e tutti gli esseri della creazione sotto costante
minaccia». Tutte «realtà distruttive» che «rispondono a un sistema
diventato globale», un sistema che «ha imposto la logica del profitto ad
ogni costo». Così il Papa si fa voce dei poveri e dei popoli del mondo,
«che il grido degli esclusi si oda in America Latina e in tutta la
Terra», come un’ anticipazione della riflessione che svilupperà
all’Assemblea delle Nazioni Unite di New York il 25 settembre. «Si
stanno punendo la terra, le comunità e le persone in modo quasi
selvaggio. E dopo tanto dolore, tanta morte e distruzione, si sente il
tanfo di ciò che Basilio di Cesarea chiamava lo sterco del diavolo».
Contro l'austerità
Questo
è il punto: «L’ambizione sfrenata di denaro che domina. E il servizio
al bene comune passa in secondo piano». Un sistema che «continua a
negare a miliardi di fratelli i più elementari diritti economici,
sociali e culturali, attenta al progetto di Gesù». È tempo di
«un’alternativa umana» alla «globalizzazione dell’esclusione e
dell’indifferenza», di un cambiamento radicale «che nasce dai popoli e
cresce tra i poveri», di una «resistenza attiva» al «sistema idolatrico
che esclude, degrada e uccide» le persone e sta producendo «danni forse
irreversibili all’ecosistema». Un discorso molto ampio, che proponiamo e
merita d’essere letto per intero, con un passaggio sul neocolonialismo
della finanza e dei potenti che sembra evocare anche la crisi greca: «Il
nuovo colonialismo adotta facce diverse. A volte, è il potere anonimo
dell’idolo denaro: corporazioni, mutuanti, alcuni trattati chiamati «di
libero commercio» e l’imposizione di mezzi di «austerità» che aggiustano
sempre la cinta dei lavoratori e dei poveri».
Conversione
Per questo bisogna cambiare. il Papa si rivolge ai movimenti, a Santa
Cruz c’è anche il presidente boliviano Evo Morales. Non è più tempo di
«pessimismo parolaio». Né può bastare un cambiamento strutturale,
avverte Francesco: «Sappiamo dolorosamente che un cambiamento di
strutture che non sia accompagnato da una sincera conversione degli
atteggiamenti e del cuore finisce alla lunga o alla corta per
burocratizzarsi, corrompersi e soccombere. Per questo mi piace molto
l’immagine del processo, dove la passione per il seminare, per
l’irrigare con calma ciò che gli altri vedranno fiorire sostituisce
l’ansia di occupare tutti gli spazi di potere disponibili e vedere
risultati immediati». Non si tratta di ideologia, tutto nasce dal
guardare nella realtà il volto concreto delle donne e degli uomini: «Non
si amano né i concetti né le idee: si amano le persone».
Proprietà privata
«È
tempo di proposte concrete. Anche all’interno di quella minoranza in
diminuzione che crede di beneficiare di questo sistema regna
insoddisfazione e soprattutto tristezza». Francesco spiega che «né il
Papa né la Chiesa hanno il monopolio della interpretazione della realtà
sociale né la proposta di soluzioni ai problemi contemporanei». Tuttavia
propone «tre grandi compiti», per cambiare. A cominciare dalla
necessità di «mettere l‘economia al servizio dei popoli». L’economia
«non dovrebbe essere un meccanismo di accumulazione, ma la buona
amministrazione della casa comune». E non può bastare il «decoroso
sostentamento» dei poveri. Le parole di Francesco sono nette, come la
riflessione sulla proprietà privata: «L’equa distribuzione dei frutti
della terra e del lavoro umano non è semplice filantropia. È un dovere
morale. Per i cristiani, l’impegno è ancora più forte: è un
comandamento. Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli ciò che
appartiene a loro. La destinazione universale dei beni non è un
ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. È una realtà
antecedente alla proprietà privata. La proprietà, in modo particolare
quando tocca le risorse naturali, dev’essere sempre in funzione dei
bisogni dei popoli». E ancora: «La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il
grido del suo popolo e anch’io desidero unire la mia voce alla vostra:
terra, casa e lavoro per tutti i nostri fratelli e sorelle. L’ho detto e
lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pena, vale la pena di lottare
per essi».
Neocolonialismo
Il
secondo compito che propone il Papa è «unire i nostri popoli nel
cammino di pace e giustizia». Francesco ha parole durissime contro il
neocolonialismo, la globalizzazione che annienta le differenze: «I
popoli del mondo vogliono essere artefici del proprio destino. Vogliono
percorrere in pace la propria marcia verso la giustizia. Non vogliono
tutele o ingerenze in cui il più forte sottomette il più debole.
Chiedono che la loro cultura, la loro lingua, i loro processi sociali e
le loro tradizioni religiose siano rispettati. Nessun potere di fatto e
costituito ha il diritto di privare i paesi poveri del pieno esercizio
della propria sovranità». Nessuno dei grandi problemi dell’umanità può
essere risolto senza «l’interazione» tra i Stati e Popoli, «nessun
governo può agire al di fuori di una responsabilità comune». Così
Bergoglio scrive: «Il colonialismo, vecchio e nuovo, che riduce i paesi
poveri a semplici fornitori di materie prime e manodopera a basso costo,
genera violenza, povertà, migrazioni forzate e tutti i mali che abbiamo
sotto gli occhi... proprio perché mettendo la periferia in funzione del
centro le si nega il diritto ad uno sviluppo integrale. Questo è
inequità e l’inequità genera violenza che nessuna polizia, militari o
servizi segreti sono in grado di fermare». Il terzo compito è «difendere
la Madre Terra», e vale lo stesso discorso: «Non si può consentire che
certi interessi – che sono globali, ma non universali – si impongano,
sottomettano gli Stati e le organizzazioni internazionali e continuino a
distruggere il creato».
Mea culpa e lotta
Francesco
è il primo Papa gesuita della storia e da queste terre i gesuiti furono
cacciati nel 1767 perché difendevano gli indios. La Compagnia di Gesù
si era messa contro le potenze dell’epoca e pagò per questo con la
soppressione, nel 1773. Per questo è notevole che proprio Bergoglio, nel
suo discorso, scheda «umilmente perdono» a nome della Chiesa per «le
offese» e «i crimini contro le popolazioni indigene». Ma la Chiesa è
anche «i molti vescovi, sacerdoti e laici» che hanno difeso gli indios
fino al martirio. Una testimonianza in favore degli ultimi che prosegue
ancora oggi: «La Chiesa, i suoi figli e figlie, sono una parte
dell’identità dei popoli dell’America Latina. Identità che, sia qui che
in altri Paesi, alcuni poteri sono determinati a cancellare, talvolta
perché la nostra fede è rivoluzionaria, perché la nostra fede sfida la
tirannia dell’idolo denaro». L’ultima parola è rivolta ad artigiani,
contadini, pescatori, cartoneros, a tutti coloro che lo stanno
ascoltando all’incontro mondiale dei movimenti popolari nella Fiera di
Santa Cruz : «I popoli e i loro movimenti sono chiamati a far sentire la
propria voce, a mobilitarsi, ad esigere – pacificamente ma tenacemente –
l’adozione urgente di misure appropriate. Proseguite nella vostra
lotta».
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