Napolitano? “De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, sanno di Giulio”
Politica
L'intercettazione del
febbraio 2014 fra Dario Nardella, vice di Renzi quando il premier era
sindaco di Firenze, e Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della
guardia di Finanza, evoca ombre su attività e "conflitti d'interesse"
di Giulio Napolitano, figlio dell'allora presidente della Repubblica.
"Sanno qualcosa di lui". Al centro la nomina a sorpresa del generale
Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Gdf da parte del
governo Letta
di F. Q. | 10 luglio 2015
Il 5 febbraio 2014, quando già la staffetta era matura, alla Taverna Flavia di Roma pranzano in quattro: il vicesindaco (poi sindaco) di Firenze Dario Nardella, il generale della Guardia di Finanza allora a capo di Toscana ed Emilia-Romagna Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della Gdf, il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco e l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti nonché presidente di Invimit, società di gestione del risparmio che amministra immobili pubblici ed è di proprietà del ministero dell’Economia, Vincenzo Fortunato.
I carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio intercettano il colloquio con una cimice sotto il tavolo. Due le partite: la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Finanza da parte del morituro governo Letta. E la staffetta tra questi e Renzi, amico dei commensali. In questo contesto l’attuale numero due della Guardia di Finanza dice che il figlio di Napolitano “Giulio oggi a Roma è potente, è tutto”. Poi sembra dire che il capo dello Stato sarebbe ricattabile perché “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella non fa una piega, anzi.
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Scrive il Noe: “Nardella dice che la strada è più semplice. Bisogna fare la legge elettorale e andare alle elezioni anticipate”. Poi dice che Letta
gli sembra “andreottiano” e “attaccato alla seggiola”. E allude
malizioso: “A meno che non ci sia anche da coprire una serie di cose,
come uno nomina sei mesi prima il comandante, perché… a me è venuta la Santanchè pensa, che dice tanto tutti sanno qual è la considerazione di Giulio Napolitano. Prima o poi uscirà fuori”. Insomma, il segreto non sarebbe più tale. “Se lo sa la Santanchè, vabbè ragazzi”.
Adinolfi resta sul tema: “Giulio oggi a Roma è tutto o comunque è molto. Giusto? Tutto, tutto… e sembra che… l’ex capo della Polizia … Gianni De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”.
Nardella commenta criptico: “A quello si aggiunge, quello è il
colore…”, seguono parole incomprensibili. Fortunato pensa al potere del
figlio del presidente: “Comunque lui è un uomo, c’ha studi
professionali, interessi. Comunque tutti sanno che lui ha un’influenza
col padre. Come è inevitabile… ha novant’anni c’ha un figlio solo”.
Nardella concorda: “È fortissimo!”. Adinolfi: “Non è normale che tutti
sappiano che bisogna passare da lui per arrivare” e Nardella sembra
accennare a un possibile conflitto di interesse: “Consulenze, per dire
consulenze dalla pubblica amministrazione”.
A conferma dell’ipotetica relazione tra la nomina di Capolupo e una presunta ricattabilità di Giulio Napolitano c’è una telefonata del giorno seguente. Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato per la Legalità di Confindustria nazionale, parla con Adinolfi. Mentre aspetta Montante
confida a qualcuno vicino: “Perché è stato prorogato… chissà perché…
Figlio di puttana ha beccato ha in mano tutto del figlio di Napolitano,
tutto… me l’ha detto Michele… ha tutto in mano sul figlio di
Napolitano”. Dove Michele, secondo i carabinieri, è Adinolfi.
Non è chiaro, dalla registrazione, cosa abbia in mano Capolupo. Potrebbero essere parole in libertà ma una democrazia non tollera ombre. Anche Giorgio Napolitano non esce bene dalle intercettazioni, come quella di una conversazione tra Fabrizio Ravoni, già al Giornale dei Berlusconi e poi a Palazzo Chigi con Berlusconi e Fortunato. Il Noe definisce “interessante” la conversazione del 5 febbraio 2014 in cui il burocrate più potente ai tempi di Tremonti, “in contrasto con l’attuale governo Letta sente il bisogno di esternare circa un ruolo anomalo di Giulio Napolitano.
Il discorso – prosegue il Noe – parte da Fortunato che racconta a Ravoni le sue considerazioni sull’azione del Presidente della Repubblica, che avrebbe favorito provvedimenti favorevoli al figlio Giulio
imponendo il rigore su altri: ‘Guarda è un uomo di merda io so’
convinto da tempo… prima ha fatto cadere questo poi ha spostato il
rigore a parole perché tra l’altro quando si trattava di far passare i
provvedimenti per l’Università che gli stavano al cuore al figlio era il
primo a imporci le norme di spesa ma comunque poi ha imposto a tutto il
paese un anno di governo Monti al grido rigore, rigore, rigore…’”. E il Noe ricorda che Napolitano jr. è professore ordinario a Roma tre.
di Vincenzo Iurillo e Marco Lillo
da Il Fatto Quotidiano del 10 luglio 2015
*Riceviamo e pubblichiamo:
“Il Fatto Quotidiano di oggi riferisce di una conversazione da
taverna fra una serie di persone, da me mai frequentate, le quali, per
spiegare il loro mancato ottenimento di vantaggi e nomine sostengono che
ciò sarebbe dovuto al fatto, risibile e assurdo, che io sarei
“ricattato” o “ricattabile”.
Nei nove anni di presidenza di mio padre ho sempre assunto un
profilo pubblico e professionale volutamente in disparte, rifiutando
moltissimi incarichi che anche indirettamente avrebbero potuto
riverberarsi negativamente sulla attività e la immagine del presidente
della Repubblica.
Tant’è che i commensali, nei cui confronti valuterò le azioni da
intraprendere, non riescono ad evidenziare un solo fatto, evento,
provvedimento che in qualche modo mi avrebbe favorito.
Rimane una domanda di fondo: come sia possibile che conversazioni
manifestamente irrilevanti, per la loro forma e il contenuto, siano
potute entrare nella carte di un procedimento penale che riguarda
tutt’altre vicende e da qui diffuse ad arte. Ma si tratta di malattia
antica che va ben oltre il maldestro tentativo di gettare fango sulla
mia persona”.
Giulio Napolitano
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