Cina, a chi e perché fa paura il tracollo del Dragone. Rischia anche l'export italiano
di
Marta Panicucci
@martapanicucci
01.08.2015
Una banconota cinese da 100 yuan su cui è rappresentato Mao Zedong
Reuters
Il tutto ha iniziato a manifestarsi a metà giugno
2015 quando il listino della Cina continentale, in poche sedute, ha
perso quasi un terzo del valore raggiunto grazie alla corsa degli ultimi
mesi. In pochi giorni il dragone cinese ha smesso di far paura
per la sua crescita esponenziale, ma ha iniziato a terrorizzare mercati
e investitori per il rischio di scoppio di una bolla che avrebbe
portato con sè mezzo mondo.
Così, a fine giugno, il governo cinese è sceso in campo per cercare di bloccare l’emorragia e riportare la serenità sul listino orientale.
Tra le misure schierate il governo ha tagliato i tassi d’interesse e
dei coefficienti di riserva obbligatoria, ha sospeso le IPO per evitare
che riducessero la liquidità sul mercato, ha vietato ai maggiori
azionisti di vendere azioni per sei mesi, incoraggiato le banche ad
acquistare azioni e continuare ad erogare credito.
Dopo qualche timido segnale di ripresa spinto dal forte intervento
dello stato cinese, il 27 luglio scorso il listino ha vissuto un’altra
giornata da dimenticare. Gli analisti aveva già anticipato che il lieve
rialzo era legato agli interventi statali, ma che a breve la
fuga degli investitori sarebbe ripresa riportando il listino cinese in
rosso con effetto domino sulle altre borse asiatiche. Il 27 luglio
Shanghai ha perso l’8,48%, mettendo a segno la seduta peggiore da oltre
otto anni, con Hong Kong al seguito a -3,1%.
Nonostante il tentativo di bloccare l’emorraggia il problema Cina al momento c’è e si vede. I
mercati internazionali temono che la crisi cinese possa farsi sentire
anche sull’economia reale, facendo rallentare i consumi e mettendo a
rischio una delle zone più proficue per l’export occidentale.
Nessuno al momento sembra in grado di dire se i ribassi continueranno a
lungo, ma non si può ignorare il fatto che la Cina è una grande
consumatrice di prodotti europei. A risentire maggiormente della
situazione saranno i Paesi europei che esportano maggiormente beni di
consumo e lusso, come Germania e Svizzera. Ma se la crisi
finanziaria diventasse presto anche crisi economica incidendo
pesantemente sui consumi anche l’Italia ne risentirebbe.
Ma non sono soltanto gli scambi commerciali ad aumentare il rischio contagio. Come riporta l’agenzia internazionale di rating Fitch, il Regno Unito, nonostante gli scarsi scambi commerciali con la Cina, rischia
di risentire in modo particolare della crisi del listino orientale a
causa della sovraesposizione delle banche inglesi verso la Cina.
Secondo Fitch le banche britanniche hanno almeno 92 miliardi di dollari
di asset esposti verso la Cina continentale, un dato che, in termini di
singoli territori, è secondo soltanto ad Hong kong che ha
un’esposizione di 869 miliardi di dollari. E i dati di Fitch non
includono l'esposizione potenziale della Gran Bretagna tramite HSBC o
Standard Chartered, due banche del Paese con una forte attenzione
sull'Asia. Includendo anche loro, i livelli di esposizione del Regno
Unito sarebbe ancora maggiori.
Nonostante i rischi per l’Europa e non solo ci siano, è inutile
negarlo, gli analisti si affrettando a precisare che la bolla cinese non
darà il via ad una seconda grande recessione, dopo quella partita negli
Stati Uniti e della quale paghiamo ancora le conseguenze. La
capitalizzazione totale delle società quotate sul listino cinese vale
circa il 66% del PIL nazionale, mentre negli Usa il rapporto vale almeno
il doppio. Questo basta a tranquillizzare Andrea Goldstein,
economista dell'OCSE: “Il settore borsistico cinese non è così
importante come era Wall Street per gli Stati Uniti, quindi vedo più
difficile che la crisi finanziaria si trasmetta con forza all'economia.
Il vero rischio è che il panico da bolla porti a un aumento
dell'instabilità politica, a una perdita di autorevolezza del governo di
Pechino, che potrebbe non avere più la forza per approvare le riforme
economiche promesse.”
Nessun commento:
Posta un commento