Modelli e indici economici a confronto: Atene,
Londra, Parigi, Berlino, Madrid e Roma crescono con lo spettro del
declino economico e della disuguaglianza sociale
di Brian Woods
Il Commissario per gli Affari Economici Pierre Moscovici ha
presentato a inizio dello scorso maggio a Bruxelles le previsioni
sull’economia dell’Unione nel 2015, che indicano una crescita media
dell’Eurozona attesa attorno all’1,5%. Escludendo la
Germania, per la quale si prevede una crescita dell’1,9% e sulla cui
peculiarità si è a lungo parlato, ed escludendo anche la Spagna, che con
il suo 21% di tasso di disoccupazione certo non sembra un modello
replicabile, emergono due possibili sentieri alternativi di uscita dalla
recessione.
Da una parte la Francia, con una crescita attesa dell’1,1% nel 2015 (1,7% nel 2016) e dall’altra il Regno Unito,
con un +2,4% del PIL atteso nel 2015 (+2,6% nel 2016). A favore del
modello britannico si sono levati, dopo l’inatteso successo elettorale
del conservatore David Cameron, anche i sempiterni rigoristi e teorici
dell’austerità italiani.
Secondo un’interpretazione molto in auge sui quotidiani nazionali, il successo elettorale di Cameron
è il risultato delle politiche di austerità fatte di tagli di spesa
(-14 miliardi di sterline nel 2014) e di riduzione di imposte e tasse.
Va però aggiunto che il Regno Unito ha potuto attuare, fin dal
manifestarsi in Europa della crisi dei mutui subprime (2009), una
politica monetaria anticiclica di acquisti di titoli sul mercato
secondario (375 miliardi di sterline), che ha ridotto il valore della
sterlina contro l’euro, sostenendo così le esportazioni nell’Eurozona, e
spinto allo 0,5% il tasso d’interesse, dove è tuttora. Questo ha
permesso a Cameron di essere il primo ministro dai tempi di Attle, ad
aver governato per un intero mandato in assenza di aumenti del tasso
d’interesse, con un tasso d’inflazione a zero.
Uno sportello bancomat della Royal Bank of Scotland a Londra
Quindi, il modello francese basato sulla spesa in
deficit, che ha consentito di limitare la riduzione del PIL (-2,9%
contro il -5,6% della Germania) negli anni bui della Grande Recessione
(2008-2009). La Francia, durante l’ultimo lustro ha accresciuto la spesa
pubblica fino a raggiungere il 57% del PIL (+4%), portando il rapporto
deficit pubblico/PIL al 4,4% e il debito pubblico a 2091 miliardi di
euro (95% del PIL). Questa politica ha consentito a Parigi di contenere
gli effetti della recessione, di arrestare l’esplosione della
disoccupazione (10,5%), di tutelare il potere d’acquisto dei salari e di
limitare i fenomeni di esclusione sociale.
Tutto ciò è stato realizzato solo violando il fiscal compact e senza
pagare il dazio dello spread. Infatti, i rendimenti sui titoli a 10 anni
hanno raggiunto i minimi storici (0,51% contro lo 0,23 della Germania)
mentre quelli a più breve scadenza sono andati in territorio negativo,
in conseguenza del Quantitative Easing della BCE. Il
modello francese è però gravato dalla crescente ipoteca della bilancia
delle partite correnti che, ormai in negativo da anni, manifesta la
perdita di competitività dell’economia transalpina a vantaggio di quella
tedesca.
Il presidente della BCE Mario Draghi
Quello di Londra non è un modello esportabile, né tanto meno
desiderabile. Il Regno Unito è il paese del vecchio continente con la
più alta disuguaglianza sociale, con le minori prospettive di mobilità
sociale e i salari minimi “da fame” (working poor). A testimonianza di
ciò, basterebbe ricordare la rivolta di Tottenham del 2011,
che poi si estese ad altre città inglesi, e l’esodo delle 500 famiglie
che ogni settimana sono costrette ad abbandonare Londra per motivi
economici, fenomeno definito da alcuni quotidiani una vera e propria
“pulizia sociale in stile Kosovo”.
Non resta che il modello francese, ma senza un asse Parigi-Roma
per una nuova politica economica espansiva basata sugli investimenti
pubblici in deficit, non c’è alternativa al declino economico e sociale e
all’esplosione della disuguaglianza e dell’esclusione.
La vicenda greca testimonia che non c’è alcuna ragione economica che
legittimi i sacrifici imposti ai popoli dell’Eurozona se non la rigida
osservanza di regole arbitrarie, la cui fondatezza è stata negata da
esperti, premi Nobel ed economisti, e il cui unico effetto sarà la
desertificazione industriale di intere aree geografiche.
http://www.lookoutnews.it/eurozona-previsioni-2015/
Nessun commento:
Posta un commento