Banda Larga: investimenti non si sa quando, ma subito mega-tagli a Poste italiane
di Angelo Curiosi
(Il Ghirlandaio) Roma, 13 ago. - Strano Paese, l’Italia. Mentre Poste
Italiane, per quotarsi in Borsa, ha dovuto definire per quella “palla al
piede” che è il cosiddetto “servizio universale” e ha deciso di
tagliare 600-700 milioni di costi da quella voce di bilancio, chiudendo
alcune centinaia di uffici e passando alla distribuzione fisica delle
lettere a giorni alterni (e non di sabato!) in molte zone… il governo
stanzia 12 miliardi per portare in tutta la penisola la banda
ultralarga. Per carità: il futuro è quello. Meno, molta meno,
corrispondenza cartacea e tanto traffico Internet in più, in banda
ultralarga. Solo che quest’ultima è di là da vedersi, mentre i tagli
delle Poste sono a decorrenza immediata. Anche questa è politica
economica.
Ma non solo politica economica: c’è anche una consumata arte
dell’annuncio, dietro questa dinamica strabica del governo. Già, perché –
come peraltro nessuno ha tentato nemmeno di nascondere, e ci sarebbe
mancato – dei 12 miliardi promessi dal premier Renzi soltanto 7 sono
pubblici. E di essi, quelli veramente già sbloccati sono 2,2 di cui fino
a 1,9 in conto capitale o come partnership pubblico-privato. Sbloccati
poi: si fa per dire. Stanziati, a futura memoria: nel senso che, a ben
leggere le tabelle, lo scadenza cronologico di questi stanziamenti si
rivela, come dire, molto proiettata in avanti. Nel 2016, solo 40 milioni
di euro; nel 2017 e nel 2018, 350 milioni ciascuno; nel 2019, 400
milioni e poi 450 nel 2020-21, e infine 160 nel 2022: campa cavallo, che
la banda cresce.
Ma cosa faranno crescere questi stanziamenti? Di sicuro, la sola rete:
non è detto che crescano anche i servizi che dovrebbero utilizzarla.
Infatti, la condizione alla quale questi soldi potranno essere spesi
dallo Stato – secondo le regole europee – è che vengano concentrati
sulle aree a cosiddetto “fallimento di mercato”, dove cioè i privati non
avrebbero convenienza a “far da sé”: esattamente le aree in cui le
Poste stanno smobilitando, sicure di non essere rimpiazzate dai loro
concorrenti privati. Ma in questo modo si rischia il paradosso che le
aree di mercato debole saranno finanziate dallo Stato e potranno essere
‘’infrastrutturate’’, mentre in quelle a mercato forte i privati
dovranno far da sé, ma ovviamente non è detto che ne trovino poi davvero
la convenienza. E se non ci trovano convenienza, è perché è prevedibile
che la domanda dei servizi “abilitati” dalla banda ultralarga, in
quelle zone, sia e resti debole. Antieconomica. Anche perché chi sono
gli attori forti della banda ultralarga in Italia?
Questa è la domanda chiave. E questo è il ristretto panorama degli
operatori, e il loro piano d’azione fin qui noto. Innanzitutto, Fastweb,
che è per ora co-leader, con Telecom, nei collegamenti in fibra
direttamente nelle case dei clienti (“fttb”, cioè “fiber to the
building”, fibra fino al palazzo, o addirittura “ftth”, cioè “fiber to
the house”, fibra fino alla casa), vuol far da sé e annuncia che porterà
le sue linee al 30% della popolazione, con 500 milioni di investimenti.
Tolta Fastweb, restano Vodafone e Wind e naturalmente Telecom. I primi
due hanno sottoscritto un accordo preliminare con Metroweb, società
semipubblica (controllata dal Fondo strategico italiano e dalla Cassa
depositi e prestiti) per lavorare insieme. Le tre aziende hanno
ipotizzato insieme un piano per cablare 500 città investendo 4-5
miliardi, compresi però degli aiuti che allo Stato, dopo le delibere
Cipe, sembrerebbero non essere previsti. Inoltre, mentre Vodafone ha
spalle finanziarie solide, Wind non ne ha e, dopo l’annunciata fusione
con 3 Italia, sembra più che altro determinata a rientrare dalla sua
strampalatissima posizione debitoria, 10,5 miliardi pari a 4,9 volte
l’ebitda.
Certo, per stare nel giro, a Wind basterebbe “conferire” i suoi 2,4
milioni di clienti su telefonia fissa a qualsiasi aggregazione,
considerando che anche Vodafone ne ha circa 1,5. Ma insomma, sono
progetti tutti da verificare e concretizzare…Quindi, se il ruolo diretto
della mano pubblica deve esprimersi – com’è ovvio che sia – attraverso
Metroweb, che già dispone di una grande rete di fibra che affitta agli
operatori telefonici, con chi lavorerà Metroweb? Con i suoi due promessi
sposi o con Telecom? Al Sud i fatti dicono “Telecom”. L’ex Sip,
infatti, si è finora aggiudicata tutti i bandi Eurosud, disertati dai
concorrenti, candidandosi così a portare da sola la fibra in sette
regioni (Lazio, Molise, Puglia, Campania, Calabria, Basilicata,
Sicilia), con 750 milioni di investimenti, di cui quasi 400
suoi…Riepilogando: di sicuro c’è il ruolo effettivamente dinamico
recuperato nell’ultimo anno da una Telecom che oggi, con Giuseppe
Recchi, presidente appunto da un anno, e Vincent Bollorè, primo
azionista da un mese, sembra aver riscoperto un dinamismo di vecchia
tempra; e i primi 2,2 miliardi stanziati dallo Stato, sia pure spalmati
in 7 anni. Poco ma sicuro. E certamente utile, anche se insufficiente.
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