Il caso. Sergio Romano: “Le basi Usa in
Italia? È giunta l’ora di rivedere gli accordi”
Pubblicato il 10 ottobre 2015 da Camillo Ricci
Sergio Romano
“È
giunta l’ora di rivedere gli accordi sulle basi. Non credo che l’Italia possa
continuare a ospitare sul proprio territorio senza qualche necessario
aggiornamento alcune enclave militari americane, strumento di una politica che
non è sempre quella del suo governo”: l’ambasciatore Sergio Romano ha sollevato
con chiarezza il nodo delle basi americane in Italia, luoghi dai quali partono
iniziative militari di orientamenti differente, se non antitetico, rispetto a
quelle in linea con l’interesse nazionale italiano. L’analisi di Romano è stata
pubblicata sul Corriere della Sera, nella rubrica delle lettera, in risposta ad
una richiesta di opinione in merito alla prese di distanze del generale Leonardo Tricarico dopo l’attacco
americano all’ospedale di Medici Senza Frontiere in Afghanistan. Secondo
Tricarico, “un altro equivoco è quello di chiamare sistematicamente
“americane” o “Nato” alcune basi militari in Italia come basi, scambiando
indifferentemente i termini. In realtà non esistono né le une né le altre, ma
solo basi italiane su cui il nostro paese conserva la piena sovranità e che
concede in uso a particolari condizioni stabilite con specifici accordi, sulla
cui puntuale applicazione occorrerebbe piuttosto esercitare una più attenta
vigilanza.”.
Per
Sergio Romano “le basi americane in Italia rappresentano un duplice
problema. In primo luogo sono regolate da accordi largamente superati
dalle condizioni e circostanze in cui stanno operando dopo la fine della Guerra
fredda. Gli accordi garantiscono la continuità della sovranità italiana, ma
dubito che il Dipartimento della Difesa, a Washington, presti a quelle intese
una particolare attenzione”.
Il caso Cermis
“Nell’articolo – prosegue Romano – che il generale
Tricarico ha scritto per Formiche ho letto: «Quando il Prowler statunitense
tranciò nel 1998 la funivia del Cermis causando 20 morti, all’equipaggio fu
concesso di avvalersi dello status Nato e dei relativi privilegi, quando invece
la loro condizione legale era quella di aviatori statunitensi di passaggio in
Italia. In altre parole, il nostro Paese avrebbe potuto rivendicare il diritto
di processarli in un nostro tribunale. Quell’equipaggio infatti, pur di potere
operare con le regole più semplici che si applicano all’interno della Nato,
inserì il proprio volo, con l’inganno, nell’elenco dei voli giornalieri (quelli
sì Nato!) del gruppo Usaf dislocato permanentemente sulla base di Aviano».
L’episodio del Cermis dimostra, insieme ad altri, che gli accordi sono meno
importanti del peso dominante degli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza. Il
secondo problema è quello della funzione che le basi hanno assunto per la
politica estera americana”.
Il ruolo differente delle basi Nato in Italia: prima contro
l’Urss, adesso?
“Quando furono create, all’inizio degli anni Cinquanta, vi
era per i tutti membri della Nato uno stesso potenziale nemico; e le
circostanze potevano giustificare qualche eccezione alla regola. Oggi, a meno
che non si vogliano risvegliare le passioni della Guerra fredda, il nemico
comune, dopo l’intervento dell’Isis in Iraq e in Siria, non è quello di allora.
Ma gli Stati Uniti continuano a usare le loro basi, soprattutto nel
Mediterraneo, come se i loro obiettivi fossero necessariamente quelli
dell’Alleanza. Lo fecero contro la Libia di Gheddafi negli anni Ottanta, ma vi
fu allora il caso in cui il governo Craxi impedì agli americani di usare una
base in Sicilia (Sigonella) per impadronirsi di un commando palestinese. Il
commando aveva dirottato la nave «Achille Lauro» e Craxi, per liberarla, aveva
negoziato con i buoni uffici del leader palestinese Yasser Arafat e si era
impegnato a permettere che il commando partisse per la Tunisia. È giunta l’ora
di rivedere gli accordi sulle basi”.
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