Germania in piazza contro il trattato Ttip
Domenica,
11 Ottobre 2015
I giornali mainstream sanno
essere molto discreti, certe volte. Per esempio, se centinaia di migliaia di
persone manifestano da qualche parte si limitano a dare le cifre della questura
(oscillanti tra il 10 e il 30% dei manifestanti reali). Se poi le manifestazioni
avvengono altrove, allora non c'è quasi necessità di darne notizia, a meno che
non si concludano con una strage.
Può dunque capitare che la
Germania – ieri, 10 ottobre – sia attraversata da centinaia di migliaia di
persone che protestano contro il trattato Transatlantic Trade and
Investment Partnership (Ttip), ancora in corso di negoziazione) e che
allaa notizia siano dedicate poche righe, ovviamente sminuenti l'evento.
Un esempio? L'Ansa, l'agenzia
“ufficiale” da cui tutti gli altri media riprendono sia la notizia che
l'”impostazione”, si limita a dire che sono scese in piazza un po' più di
100.000 persone, che hanno risposto alla convocazione da parte di 16
organizzazioni della “società civile”, a partire da Greenpeace, Oxfam e la
Confederazione dei sindacati tedeschi. Pudicamente si aggiunge che tutte queste
persone e organizzazioni “temono che il trattato possa abbassare gli standard
di qualità, sicurezza e tutela ambientale, nonché mettere in pericoli i diritti
dei lavoratori”.
Non
c'è che dire, trattano molto peggio gli scioperi dei tranvieri o le assemblee
sindacali che si svolgono in Italia, criminalizzati a prescindere. Ma si sa, i
tedeschi meritano un occhio di riguardo...
Non troppo, però, se si muovono –
a livello di “società civile” - contro un negoziato che qui da noi viene
descritto come in non plus ultra delle possibilità di far ripartire la mitica
crescita che non si vede mai (da otto anni a questa parte).
Qualcuno meno stupido, davanti
alle foto provenienti da Berlino, ammette che “ameno 250.000 persone” hanno
percorso le strade della capitale. E molte altre – niente numeri, per carità –
quelle di altre città di primo piano.
Il fatto è politicamente enorme.
La popolazione “cosciente” del paese-guida dell'Unione Europea si oppone a una
trattato che punta a istituire un zona di libero scambio sul modello
dell'Unione di oltre 25 anni fa, prima che si cominciassero a costruire
strutture di governance a-democratica e semi-dittatoriali.

Ci
vogliamo chiedere perché? Secondo noi perché hanno visto cosa sta accadendo
agli altri paesi europei, una volta che il libero scambio – senza più barriere
tariffarie e adottando la stessa moneta – è andato a regime. Come previsto da
qualsiasi manuale di macroeconomia, i sistemi produttivi dei paesi
relativamente più arretrati hanno cominciato a sgonfiarsi (tra fallimenti,
acquisizioni dall'estero, riduzione della produzione, ecc). E i comparti, o le
singole aziende, più competitive sono stati risucchiati nelle filiere
industriali più avanzate, perdendo comunque autonomia strategica e diventando
“contoterzisti” delle aree più sviluppate (la Germania, naturalmente, oltre a
qualche propaggine francese, olandese, ecc). Questo declino industriale si è
ovviamente tradotto in riduzione dell'occupazione, della sua stabilità, delle
retribuzioni e dei diritti. Con ovvie e drammatiche ricadute sulla coesione
sociale, i flussi migratori verso le aree top, ecc. La Grecia fa da
laboratorio estremo, ma in Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda o persono
Francia, non è che le cose vadano molto meglio.
Questo i normali cittadini
tedeschi mediamente informati l'hanno capito benissimo perché si sono accorti
che il loro standard di vita è rimasto mediamente più alto grazie a prodotti a
basso costo provenienti dai Piigs euromeridionali, nonché dai nuovi schiavetti
dell'Est europeo, nonstante un congelamento salariale ultradecennale.

Il
Ttip, ovvero l'integrazione economica totale con gli Stati Uniti (più Canada e
Messico), non può che distruggere anche questo residuo di “modello europeo”
sopravvissuto all'austerità imposta a tutta Europa. Cambiando oltretutto gli
standard qualitativi del mercato alimentare (via libera agli ogm di ogni prdine
e fantasia), quelli relativi ai servizi sociali e al welfare, ecc. Anche lo
scandalo Volkswagen, a suo modo, è un anticipo di Ttip, sebbene rovesciato (le
motorizzazioni diesel, negli Usa, non hanno mai avuto grande spazio nel mercato
automobilistico, proprio a causa della fissazione di standard più rigidi – e
controlli più seri – di quelli adottati nell'Unione Europea, dove l'industria
tedesca detta letteralmente legge, ovvero le “direttive” di Bruxelles).
È comunque un bene che larga
parte del popolo tedesco abbia cominciato a mobilitarsi in massa per cercare di
convincere il proprio governo – che altrettanto detta legge a livello politico
nella Ue – a mettere la parola fine al trattato Ttip.
Il problema è tutto nostro,
italiano ma non solo. Qui si è msso finora molto poco, con forze come noi
minoritarie. Si vede che, al contrario di quanto compreso dai certo non
agguerriti sindacati tedeschi, nei sindacati “ufficiali” nostrani non esiste
più neppure un centro studi in grado di segnalare i pericoli per il normale
funzionamento del sistema...
Ultima modifica il Domenica, 11 Ottobre 2015
Nessun commento:
Posta un commento