La liquidità esce dalla porta ma rientra dalla finestra: l’80% dei soldi del «Qe» è parcheggiato a Francoforte
Olycom
Evidentemente c’è qualcosa che non sta funzionando come previsto. A
marzo la Bce ha avviato il piano quantitative easing europeo, sta cioè
stampando nuova moneta attraverso la quale acquista sui mercati titoli
di Stato dell’Eurozona e titoli privati per un controvalore mensile di
60 miliardi. L’obiettivo è fornire nuova liquidità alle banche (che
incassano anche plusvalenze dalla vendita dei titoli di Stato in
portafoglio acquistati a prezzi bassi durante la crisi dello spread nel
periodo 2011-2012) al fine di spingerle ad erogare più prestiti a
famiglie e imprese.
Lo scopo finale è far ripartire l’economia e l’inflazione. Come
ulteriore mossa per esortare le banche a prestare, la Bce ha anche
fissato su livelli negativi (-0,2%) il tasso sui depositi presso la Bce,
ovvero quello che difatti pagano alla Bce le banche che decidono di
parcheggiare presso l’istituto di Francoforte guidato da Mario Draghi la
liquidità che non intendono utilizzare al momento nella propria
attività ordinaria.
Ebbene, nonostante questo variegato pacchetto di stimoli orchestrato
dalla Bce, al momento i dati non sono molto confortanti. Leggendo il
bilancio della Bce emerge che le banche dell’Eurozona hanno parcheggiato
presso la Bce l’80% della liquidità immessa attraverso il «Qe». Come
riporta uno studio di Lyxor, difatti, la gran parte della liquidità del «Qe» non è stata ancora utilizzata.
Così la cinghia di trasmissione del denaro nella catena
Bce-banche-prestiti a famiglie e imprese resta piuttosto inceppata. «La
creazione di denaro viene interrotta quando le riserve in eccesso
vengono accumulate presso la Banca centrale e non diminuite attraverso
un'accelerazione dei prestiti all'economia. Ad oggi, le riserve in eccesso
ammontano a 566 miliardi di euro, con un costo che è pari a più di 1
miliardo di euro l'anno per le banche private (dato il tasso sui
depositi pari a -20bps) - spiega Lionel Melin, strategist di Lyxor -.
Nonostante la compressione dei tassi di interesse, il re-leveraging ha
molta più strada da percorrere. I prestiti alle famiglie per
l'acquisto di case si stanno timidamente riprendendo, ma i prestiti alle
aziende sono in ritardo».
Quindi al momento, nonostante il «Qe» il problema delle riserve in
eccesso non è migliorato. «Benché in media dal 2008 il 65%
dell'iniezione di liquidità fornita dalla Bce sia rimasto a Francoforte
(come riserve di liquidità), questa proporzione è salita all'80% da marzo 2015, quando il programma di «Qe» della Bce è iniziato».
La crisi economica che ha colpito l’Eurozona a partire dal 2008
(range in cui l’Italia ha perso 9 punti di Pil reale) ha spinto le
autorità verso politiche de-leveraging (riduzione dell’indebitamento).
Adesso, per favorire la ripresa, con il «Qe» la Bce sta cercando di
favorire nuovo indebitamento, il cosiddetto re-leveraging. Ma, a quanto
risulta, le banche private preferiscono restare sedute su una pila di
costosi contanti parcheggiati presso la Bce, piuttosto che iniettarli
nell’economia reale completando così la cinghia di trasmissione. E
preferiscono pagare una tassa alla Bce per parcheggiare pur di immettere
tutta la liquidità nell’economia reale.Va detto che l’eccesso di
riserve bancarie è un problema che riguarda anche Giappone e Usa, le cui
riserve viaggiano nell'ordine del 70-80% della base monetaria.
«Tuttavia, la Bce è l'unica fra queste tre banche centrali che impone
tassi negativi sui depositi (-20bps), mentre lo stesso tasso per le
riserve in eccesso è pari a 25bps per la Fed e 10bps per la Bank of
Japan». In Europa le banche pagano per parcheggiare i soldi, mentre
negli Usa e Giappone ricevono un interesse dalle rispettive banche
centrali.
In realtà non ce la si può prendere con le banche europee. Queste
siedono sì su una montagna di liquidità inutilizzata ma devono anche
fare i conti con una montagna di crediti deteriorati da smaltire (solo
le banche italiane ne hanno in pancia circa 200 miliardi). La verità è
che gli ultimi anni di crisi hanno deteriorato il rating medio (livello
di solvibilità) di famiglie e imprese europee e quindi gli istituti, pur
essendo spronati in tutti i modi dalla Bce ad erogare, lo stanno
facendo in modo molto prudenziale, proprio per non accrescere la quota
di crediti deteriorati. In più «alcuni timori profondamente radicati
sulla deflazione e sulla crescita potrebbero giustificare la mancanza di
entusiasmo nel settore immobiliare e degli investimenti
imprenditoriali. A meno che l'accesso al credito non sia limitato dagli
istituti di credito, formulando richieste di garanzie particolarmente
pesanti».
Questa dinamica la si vede anche sul mercato dei mutui. Nei primi 10
mesi dell’anno i mutui sono cresciuti del 92% su base annua. Questo dato
va filtrato con il fatto che una buona parte sono surroghe (ovvero
miglioramenti di contratti esistenti) e che in ogni caso la percentuale
risulta molto alta anche perché confrontata a un 2014 piuttosto magro
sul fronte delle erogazioni. Se poi si osserva lo stock di mutui e non
solo il flusso delle nuove erogazioni, rispetto all’anno scorso è
rimasto praticamente invariato: quindi i nuovi mutui sono andati a
compensare quelli che si sono estinti. Allo stesso tempo va detto che le
banche sono tornate a fare prestiti ma adottano giustamente in questa
fase una politica di pricing differenziato: applicano cioè spread più
vantaggiosi per chi chiede mutui percentualmente meno alti rispetto al
valore dell’immobile (e quindi ha un rating più elevato) che funge da
garanzia, rispetto a chi chiede mutui all’80% o oltre.
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