Che cosa resta di Expo? (oltre Giuseppe Sala)
Che eredità ci lascia Expo? Un quasi
candidato sindaco, la valorizzazione fondiaria ed immobiliare
dell'operazione... L'analisi di Alberto Abo Di Monte.
mercoledì 9 dicembre 2015 15:10
di Alberto Abo Di Monte*
Che cos'è oggi l'Expo? Se ne parla come se esistesse ancora, ma le
immagini cantieristiche dello smontaggio, del movimento-terra,
dell'evidenza che ci vorranno almeno tre anni per tornare a calcare il
sito espositivo con un progetto compiuto, non ci sono.
Eppure l'esposizione universale è presente nel dibattito politico con i
suoi protagonisti e la sua "legacy", un modo curioso che abbiamo per
definire un'eredità comunque incalcolabile prima che a dicembre siano
pubblicati i bilanci degli enti pubblici coinvolti. Cosa resta dunque di
Expo 2015? Anzitutto fondi di magazzino di gadget, avanzi di brand
rimasti incollati su bottiglie di birra e decalcomanie sui palazzi della
città. Banche, mezzi pubblici, ricordi di partnership talmente
pervasivi da divenire via via parte del paesaggio urbano.
In secondo luogo c'è Giuseppe Sala, amministratore delegato e
commissario straordinario dell'evento, già direttore generale del Comune
in epoca Moratti, oggi novello candidato renziano (avrebbe fatto tanta
gola pure a Berlusconi) per un cambio di rotta "liberal" capace di
archiviare ogni velleità arancione nel solco dell'immaginario turistico e
manageriale della partita-expo. Sala vuole garanzie per la sua
candidatura, raccoglie al centro ma non ama le primarie all'ombra
dell'albero della vita.
Se a destra nessuno sa ancora che pesci pigliare, lo scontro in corso
alla (sua) sinistra tra Majorino e la vice-sindaco Balzani, pare
architettato appositamente per facilitargli le cose, spartendo su due
nomi le preferenze di opposizione al primus inter pares. I risultati si
avranno a inizio febraio, anzi no a marzo, o forse a fine mese, non si
sa. In città si discute più della data che della.."vision", come direbbe
qualcuno.
Passando dagli argomenti seri a quelli importanti, dopo l'estetica e la
politica quel che resta di Expo è anzitutto la valorizzazione fondiaria
ed immobiliare di un'operazione che, se in Regione ha agevolato la
costruzione di un pacchetto di autostrade inutili e in città
un'antipatica bolla dei prezzi (ristorazione, ricettività...), a partire
da giugno 2015, deve cambiare passo.
Non restano che sei mesi di tempo per smontare tutti i padiglioni
nazionali ed una buona parte delle strutture di servizio, ad eccezione
del Padiglione Italia, l'albero della vita ed altre preziose
testimonianze architettoniche, prima che nella società Arexpo (quella
che gestisce i terreni) facciano ingresso il governo e Cassa Depositi e
Prestiti al fine di traghettare il sito verso l'edificazione di un polo
scientifico-tecnologico di ricerca, università e impresa.
Dietro la retorica dei maker e degli startuppari, prende forma un moto
rotatorio che, in senso orario, punta a ridefinire l'assetto accademico e
urbanistico di diversi spicchi della città. Il rettore dell'Università
degli Studi di Milano, senza peraltro che il senato accademico
dell'ateneo sia stato consultato in proposito, avrebbe intenzione di
spostare sul sito le sue facoltà scientifiche. Il costo dell'operazione
oscilla poco sopra i duecento milioni di euro.
La sede attuale di città studi andrebbe parzialmente abbattuta e
parzialmente ceduta al Politcenico di Milano per un'operazione
complessiva di compravendita di terreni ed edifici valutata in
quattrocento milioni di euro. Con gli spazi così ricavati, il
Politcecnico avrebbe poi interesse ad accorpare tutte le sue facoltà,
lasciando l'attuale sede di Bovisa e portando design e ingegneria
nuovamente in direzione di Città Studi.
L'intero indotto economico dell'universo universitario attende
ansiosamente il balletto. Di fronte a tali cubature il renziano progetto
"Milano 2040", con i suoi 70000 mq, pare poca cosa. Eppure gli appetiti
di Assolombarda invitano a tenere lo sguardo aperto su una partita che
va a scadenza nel 2018 e i cui giochi sono tutti ancora da fare. Quel
che appare chiaro è che, una volta spenti i riflettori, sul palco le
scenografie vengono spostate celermente in attesa del prossimo show.
I presagi parlano di ulteriori investimenti statali, i furbi di un altro
giro di carte alle porte, gli attenti di una finestra sulla Milano del
2020, a misura di vetrina o di abitante, starà a tutte e tutti noi
deciderlo.
*Testo tratto da Zero Violenza per gentile concessione dell'autore.
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