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Leopolda. La tentazione di Matteo Renzi: rispondere a muso duro domani a Saviano. Ma il premier si tiene a distanza da
Boschi
Pubblicato: 12/12/2015
Matteo Renzi e i suoi non si aspettavano il “Saviano 2, la vendetta”, come dice per scherzo (amaro) qualcuno qui alla Leopolda. Irrompe alla vecchia stazione a metà pomeriggio, poco prima dell’intervento di Maria Elena Boschi sul palco. L’autore di Gomorra non si arrende: “Il ministro Boschi deve chiarire le tante opacità del caso Banca Etruria…”, scrive su Facebook, altrimenti “vorrà dire che nulla è cambiato, la Leopolda è una riunione di vecchi arnesi affamati…”. Dritto al cuore. Renzi è nel backstage. La risposta a caldo con i suoi: “Saviano cerca visibilità”. La tentazione per l’intervento di chiusura di domani, sul quale il premier punta tutte le sue fiches per restaurare l’immagine di questa Leopolda sfigurata dal caso Boschi, è di rispondere a muso duro a Saviano. Cosa che è riuscito a evitare fin qui, evitando persino difese esplicite del ministro per le Riforme: distanza di sicurezza, cautela e autotutela.
Renzi invece anche oggi non replica. Tenta tutto quello che può per tenere la Leopolda al riparo dal pericoloso attacco di Saviano. E punta tutto sull’intervento di chiusura domani. Intervento che sarà preceduto dall’incontro del premier con una delegazione degli investitori danneggiati dal decreto ‘salva banche’. Verranno qui davanti in corteo. In realtà Renzi vorrebbe incontrarli prima, per scongiurare la manifestazione. Ma il piano che appare più probabile è che una delegazione di manifestanti – sempre che la situazione di ordine pubblico lo permetta – verrà accompagnata nel backstage della Leopolda per parlare con il capo del governo. Un po’ come è successo l’anno scorso con gli operai della Thyssenkrupp di Terni venuti fin davanti alla Leopolda a manifestare. Renzi si presenterà con il pacchetto ‘riparatore’ illustrato ieri dal ministro Pier Carlo Padoan alla Camera: arbitrato per i truffati, anche se non per tutti. “La soluzione ce l’ha”, dice David Ermini, responsabile Giustizia del Pd, nonché conoscenza antica del premier in Toscana, già da quando era presidente della provincia di Firenze.
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