Sconfinamenti e affari con l’Isis, la Turchia è accerchiata: accuse da Iraq e Iran. E la Russia non molla
In queste ore la Turchia sembra più isolata. Certo protetta da un
ombrello americano sempre aperto, visto che non troppi giorni fa il
presidente Barack Obama l’ha “difesa” nella disputa sul jet russo
abbattuto nello spazio aereo turco dicendo che il Paese ha il diritto al
rispetto dell’integrità territoriale, ma circondata da accuse di
due governi mediorientali che si sommano al pressing russo. Mentre
infatti come nuova mossa per punire i turchi colpevoli di aver abbattuto
il jet militare, le autorità di Mosca pensano a una risoluzione Onu con gli Stati Uniti per
colpire chi fa affari col califfo, Ankara viene attaccata da Baghdad e
Teheran. Pare dunque che nella variegata coalizione anti-Isis di 65
Paesi vi siano alleati mediorientali che aiutano poco la campagna
americana - si stima che i raid degli alleati arabi in Siria siano stati
solo il 5% del totale - e chi invece stia eccedendo in zelo.
Iraq contro Turchia, le truppe turche a Mosul
Premier e presidente a a Baghdad attaccano la Turchia per
l'ingresso in Iraq di almeno 150 soldati turchi, 1.200 secondo fonti
Usa, che si sono posizionati nella regione di Mosul.
Mosul è la capitale del Nord iracheno, centro petrolifero la cui
presa nel 2014 segnò un salto di qualità dell’Isis in ascesa qualche
mese prima la proclamazione del califfato, città di un milione di
abitanti, capitale della provincia di Niniveh, i cui tesori sono stati
distrutti dalla furia iconoclasta dei terroristi, oggi roccaforte
dell'Isis in Iraq. Niniveh è anche la regione riconquistata il 13
novembre dai peshmerga curdi in cui sono state trovate almeno 16 le
fosse comuni - dice oggi la portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i
diritti umani, Cecile Pouilly - intorno a Sinjar, città abitata in
maggioranza da yazidi, minoranza non sunnita brutalizzata dall’Isis.
Il governo iracheno chiede oggi «il ritiro immediato» dei militari
da Mosul e condanna «la grave violazione della sovranità irachena». Il
premier Haider al-Abadi tramite il suo ufficio conferma che «un
reggimento con carri armati e artiglieria è entrato in territorio
iracheno, ufficialmente per addestrare gruppi iracheni, senza la
richiesta o l'autorizzazione dalle autorità federali irachene». Si fa
sentire anche Fouad Massoum, il presidente iracheno condanna la
«violazione delle regole e del diritto internazionale» che aggrava le
tensioni nella regione. Massoum chiede alla Turchia di ritirare i
militari e invita il ministero degli Esteri a prendere le misure
necessarie per garantire il rispetto della sovranità e dell'indipendenza
del Paese.
Il governo turco si difende. Ahmet Davutoglu dice che i soldati
turchi fanno attività di routine e addestramento a protezione della
zona; inoltre la Turchia non mira al territorio di nessun Paese e non
aumenterà le azioni militari in Iraq. Da Antalya il ministro degli
Esteri Cavusoglu esorta i russi a continuare a dialogare, e solo
Erdogan non sfoggia oggi toni concilianti sulla crisi innescata dal jet
abbattuto: la Turchia, dice, troverà alternative al gas e al petrolio
che compra dalla Russia.
In queste ore gli unici a difendere l’iniziativa turca nel nord
dell’Iraq sono i peshmerga curdi che precisano tramite comunicato che
il contingente fa parte di un programma di addestramento a rotazione e
ha solo funzioni di protezione (i peshmerga schierati nella zona di
Bashiqa sono leali al presidente del Kurdistan iracheno Barzani,
tradizionalmente in buoni rapporti con la Turchia). Secondo gli sciiti
di Unità per la mobilitazione popolare, invece, le forze turche si
preparerebbero a partecipare all'offensiva su Mosul.
Il governo federale di Baghdad si regge su un equilibrio tra
sciiti, sunniti e curdi, e non accetta che i turchi si siano mossi da
soli senza informare il governo iracheno per rispondere a una richiesta
di sunniti e curdi. Ufficialmente il governo iracheno non accetta
nessun tipo di truppe straniere: al-Abadi aveva già criticato l’annuncio dell'invio di forze speciali Usa per la lotta all'Isis avvertendo che qualsiasi arrivo sarà considerato «un'aggressione».
Iran contro Turchia per il petrolio all’Isis
È stata definita “la coalizione dei due”. Una coalizione dentro una
coalizione, ovvero l’alleanza di Russia e Iran contro l’Isis all’interno
della più larga coalizione anti-Isis ma col perseguimento dello stesso
obiettivo in Siria: la difesa del presidente Assad, alleato di Mosca e,
in quanto alawita-sciita, dell’Iran. Non sorprende quindi che anche
l’Iran si metta nella scia russa e accusi la Turchia e gli ambigui
rapporti economici che intrattiene con l’Isis.
Da Teheran arriva così una conferma alle accuse russe alla Turchia
sul traffico del petrolio esportato dall'Isis. «Se il governo turco non
ha informazioni sul commercio di petrolio da parte dell'Isis nel suo
Paese, siamo pronti a metterle a sua disposizione» dice Mohsen Rezai,
segretario del Consiglio per il discernimento (organo che risolve le
controversie tra Parlamento e Consiglio dei Gardiani). Sono le stesse
parole usate dai russi qualche giorno fa. I consiglieri militari
iraniani in Siria, dice Rezai citato da Irna, «hanno fatto foto e
filmato tutto il percorso dei camion che portano il petrolio dell'Isis
in Turchia, prove che possono essere rese pubbliche». «Importanti novità
sulla cacciata dell'Isis e dei gruppi Takfiri saranno rese note il più
presto possibile» dice Rezai, politico conservatore già candidato alle
presidenziali, di recente rientrato negli alti ranghi delle Guardie
della rivoluzione.
Rezai ha anche sottolineato che i Paesi impegnati nella lotta contro
il terrorismo dovrebbero mantenere la calma e concentrare tutte le
energie sulla guerra all'Isis: un riferimento alle tensioni tra Russia e
Turchia per il jet militare russo abbattuto dalla contraerea turca.
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