Il risiko mediorientale si sta componendo. E lo scontro Iran-Israele riemerge sempre più pericoloso
December 5, 2015
Siamo sicuri che con la mossa di non tagliare la produzione dell’Opec, l’Arabia Saudita non abbia finito per spararsi nel piede, dopo aver minacciato con la pistola petrolifera mezzo mondo? O, forse, la mossa serviva ad altro, ovvero a lanciare un segnale in codice per segnalare che gli equilibri stavano saltando ed era giunta l’ora di un balzo in avanti della controffensiva in Medio Oriente? Per capire un po’ di più, conviene guardare al nemico giurato di Ryad, ovvero l’Iran. Come ci mostra questa mappa,
i giacimenti petroliferi più ricchi del Paese sono al confine occidentale con l’Iraq, non distante dall’area dove l’Isis ha le sue roccaforti e dove sfrutta il petrolio iracheno per i suoi traffici, come ci mostra la cartina.
E se Teheran sfruttasse questa contingenza, sentendo magari strumentalmente in pericolo il suo oro nero e decidesse di chiudere i conti in grande stile con l’Isis, magari portando a galla segreti inconfessabili riguardo il traffico di greggio rubato? L’Arabia Saudita accetterà la sfida che potrebbe portare alla creazione di un “ponte sciita” tra Iran-Iraq-Siria-Libano che isoli la Turchia e tagli fuori Ryad? Guarda caso, venerdì sera la CNN turca, citando fonti dell’esercito, informava del fatto che 1200 militari turchi erano entrati in Iraq e si trovavano nella città di Bashiqa, vicino a Mosul: le solite combinazioni, per come ci mostra il grafico,
siamo proprio in area di giacimenti di greggio.
Cosa farà, però, l’Arabia Saudita visto che la guerra proxy in Yemen costa 1,5 miliardi di dollari al mese e le condizioni economiche del Paese sono quelle che mostrano questi grafici,
i quali non necessitano di commenti? Ryad vuole forse la guerra totale per il predominio nell’area? Le formazioni paiono scese in campo: da un lato Turchia, Usa sempre più defilati più alleati europei in (dis)ordine sparso e Arabia Saudita, dall’altra Iran, Siria, Russia e nell’ombra il gigante cinese, il quale non solo sta sostenendo il settore petrolifero russo con i suoi acquisti ma che ha anche un rapporto privilegiato con l’Iran, soprattutto a livello di forze armate ma anche di interscambio, come mostra questa tabella.

Manca un solo grande player nel risiko del Medio Oriente in fiamme, uno che non ha ancora preso posizione ma che proprio ieri si scopriva aver dato vita a un’esercitazione contro il sistema di difesa aerea russo già nei mesi di aprile maggio. E’ Israele, la cui aviazione, infatti, in quel periodo era impegnata in un’esercitazione congiunta con quella greca e, casualmente, il sistema S-300 anti-aereo russo venduto 18 anni fa a Cipro ma oggi presente sull’isola di Creta, fu attivato. Insomma, Tel Aviv vuole essere sicura che i propri aerei non siano abbattibili dal sistema russo, già dispiegato da Mosca in Medio Oriente in risposta all’abbattimento del suo jet lo scorso 17 novembre, se decidesse di colpire Hezbollah in Siria? Senza contare i timori israeliani che Mosca fornisca veramente l’S-300 proprio all’Iran.

Se così fosse, Tel Aviv aveva capito con largo anticipo quale sarebbe stata l’evoluzione della situazione in Medio Oriente, ben prima dell’intervento militare russo. Israele resterà seduta a guardare Teheran andare incontro a un’epica vittoria? O, magari, se salteranno fuori prove della presenza sul terreno di milizie palestinesi della jihad islamica, allora Hezbollah diventerà un obiettivo legittimo?
Senza scordare che solo giovedì proprio l’aviazione israeliana ha colpito tre obiettivi delle forze di Assad e degli Hezbollah a Qalamoun in Siria. A riferirlo un tweet di IDF Elite, ovvero l’acronimo delle Forze armate israeliane. Stando alla stessa fonte, gli obiettivi colpiti erano vicini al confine con il Libano.
Non a caso, poi, dopo che l’Isis a inizio anno aveva attaccato Hamas per la poca durezza con cui applicava le norme religiose nei Territori, minacciando di marciare sulla Striscia di Gaza, sempre giovedì scorso i media israeliani riportavano la notizia in base alla quale il comandante delle forze dell’Isis nel Sinai era impegnato in una visita segreta proprio nella Striscia di Gaza per incontrare i leader di Hamas al fine di ampliare la cooperazione e coordinare attacchi contro obiettivi israeliani ed egiziani. Insomma, manca solo il casus belli e lo scontro sarà potenzialmente totale. Sul campo, contemporaneamente, ci sono pompieri e piromani.
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