la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune.
Produrre, organizzare, trovare soluzioni,
impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
sabato 26 dicembre 2015
Siria&Parigi non se ne esce se non si stannano l'Arabia Saudita-Turchia-Qatar
La coalizione araba per combattere il terrorismo vede in gioco complesse dinamiche che potrebbero minarne la credibilità
Di Muhammad Abu Rumman. Al-Aaraby al-Jadeed (22/12/2015). Traduzione e sintesi di Annamaria Bertani.
Vi sono tre letture possibili per
spiegare le cause e gli obiettivi che stanno dietro all’annuncio,
avvenuto nei giorni scorsi a Riyad, della formazione di una coalizione
antiterroristica che comprende 35 paesi islamici.
La prima lettura afferma come la
coalizione non comporterà un reale sforzo militare in quanto si tratta
solamente di un tentativo di rispondere alle accuse riguardo alla
posizione dei paesi islamici nei confronti del terrorismo e in
particolare riguardo alla mancanza di una presenza seria e reale nella
lotta contro di esso. Per questo motivo il discorso religioso che ha
accompagnato l’annuncio della formazione della coalizione appare come un
tentativo di affermare l’estraneità degli Stati arabo-islamici nei
confronti di ogni organizzazione o azione terroristica. Stando a questa
lettura dunque, la coalizione non sarebbe niente di più di una campagna
di pubbliche relazioni.
Per quanto riguarda la seconda lettura,
questa indica la coalizione come una risposta alle pressioni americane.
Per realizzare una vera missione sul campo, è necessaria la formazione
di una forza di terra arabo-islamica che combatta Daesh (ISIS) in Siria e
che lo sostituisca con le forze siriane moderate. Questa mossa segue le
dichiarazioni del segretario di Stato americano John Kerry sulla
necessità di una forza di terra araba e siriana.
La terza lettura è la più vulnerabile e
vede la coalizione come il risultato della preoccupazione di alcuni
leader arabi riguardo al vuoto strategico di stampo sunnita seguito alla
disintegrazione dei principali paesi arabi e all’espansione
dell’influenza iraniana in Iraq, Siria, Libano e Yemen. Secondo questa
lettura, dopo l’accordo nucleare iraniano le regole del gioco regionale
sono cambiate e la coalizione Russia-Iran-Iraq sarebbe ora un pericoloso
asse che ha drammaticamente cambiato l’equilibrio dei poteri imponendo
la necessità di un’altra forza seduta al tavolo. Questa alleanza era già
stata proposta non appena l’attuale guida saudita prese il potere. Ora
si assiste ad una nuova mossa per portarla alla luce nel tentativo di
costruire un blocco regionale che unisca le risorse finanziarie, umane,
militari e che restituisca onore agli arabi, i quali potrebbero
guadagnare una posizione migliore nei negoziati.
Se assumiamo che la terza lettura sia
realistica e che sia necessaria una nuova coalizione regionale, le
condizioni attuali sarebbero garanzia di successo della nuova idea?
Era chiaro fin dal primo momento come la
coalizione soffrisse di squilibri strutturali, ovvero come mancasse una
definizione chiara degli obiettivi e delle priorità e soprattutto una
coesione fra i paesi aderenti. Oggi c’è una
cerchia compatta in questa coalizione formata dall’asse Arabia
Saudita-Turchia-Qatar, un vero anello regionale con una visione opposta
rispetto al nuovo asse Iran-Russia. La presenza degli altri stati nella
coalizione è solamente una cortesia nei confronti dell’Arabia Saudita.
All’indomani dell’annuncio, il Pakistan ha dichiarato la sua ritrosia ad
immergersi in una situazione di polarizzazione regionale.
Rimane un altro gruppo di stati che in
teoria farebbero parte della coalizione, ma in pratica no. Egitto,
Emirati e Giordania sono al fianco dell’Arabia Saudita nella lotta
contro Daesh, ma non condividono l’insistenza del triplice asse
sull’uscita di scena di Assad. Non sono concordi nemmeno sulla
definizione delle priorità e sulla definizione stessa di terrorismo e ci
sono divergenze non dichiarate sulla gestione della crisi yemenita.
Una mancanza di entusiasmo è apparsa
chiara nelle fredde dichiarazioni rilasciate da questi tre Stati
(Egitto, Emirati, Giordania) all’indomani dell’annuncio, il che implica
che il peso principale rimane nell’asse Arabia Saudita-Turchia-Qatar. Come
risultato di queste condizioni, la lettura che prevale è la prima: la
coalizione si limiterà dunque al livello delle pubbliche relazioni e la
palla rimarrà nel campo del triplice asse Riyad-Ankara-Doha.
Muhammad Abu Rumman è un ricercatore all’Università di Giordaniaed esperto di movimenti islamici.
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